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Società gilaniche

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La storica e archeologa Riane Eisler ha indicato con il neologismo gilania - dalle parole greche gynè, "donna" e andros, "uomo" (la lettera l tra i due ha il duplice significato di unione, dal verbo inglese to link, "unire" e dal verbo greco lyein o lyo che significa "sciogliere" o "liberare") - quella fase storica plurimillenaria (8.000-2500 a.c in rapporto soltanto al neolitico) fondata sull’eguaglianza dei sessi e sulla sostanziale assenza di gerarchia e autorità, di cui si conservano tracce tanto nelle comunità umane del Paleolitico superiore quanto in quelle agricole del Neolitico.

La Eisler quindi contesta duramente l'opinione dominante, particolarmente diffusa nella società occidentale, « grazie » soprattutto all'opera di propaganda svolta dalla storiografia ufficiale, secondo cui gli esseri umani sarebbero sempre stati violenti proprio a causa di una loro intrinseca natura. Questo « assioma » si è sviluppato perché storici e antropologi hanno arbitrariamente collocato l’inizio della civilizzazione umana in un periodo dove la nascita e lo sviluppo del linguaggio scritto sono andati di pari passo alla diffusione della violenza e delle guerre [1].

Le società gilaniche

«È provato che il matrismo costituisce la forma più antica, più primitiva e più innata di comportamento umano e dell'organizzazione sociale, mentre il patrismo, perpetuato attraverso istituzioni sociali traumatizzanti, si è innanzitutto sviluppato tra gli Homo Sapiens in Saharasia, sotto la pressione di una desertificazione e di una carestia durissime e da migrazioni forzate.» (James de Meo, Le origini e la diffusione del patrismo in Saharasia)

Gli studi di alcuni archeologi e storici - tra cui Marija Gimbutas, Riane Eisler ecc. - dimostrano che per buona parte della loro storia gli esseri umani hanno vissuto in comunità sostanzialmente pacifiche ed egualitarie all'incirca sino al 3000 e il 4000 a.c, come ampiamente dimostrato dai reperti ritrovati dagli archeologi [2], allorché una serie di grandi migrazioni [3] Indo-Europee dal sud della Russia e dall'Eurasia (Europa orientale, Asia centrale e Siberia) verso l’Europa, avrebbero completamente distrutto le popolazioni locali. La Eisler, che ha dedicato gran parte dei suoi lavori proprio allo studio di queste antiche comunità, definisce come androcrazia - termine derivato dalle parole greche andros, "uomo" e kratos, "governato"- il sistema dominatore maschile importato dagli Indo-Europei (i Kurgan) che impose alcune forme di dominio come il patriarcato, la gerarchia, le classi sociali e l'autorità.

Il paleolitico

left|thumb| Venere di Willendorf Della civiltà gilanica, seppur con il termine gilania la Eisler si riferisca più propriamente alle società agricole del Neolitico, si ritrovano i primi segni a partire da circa 40000 anni fa, cioè nel Paleolitico Superiore. Per Eisler e la Gimbutas i nostri antenati credevano in una Dèa che governava l’universo e che era fonte di unità universale, la quale sovveniva alle necessità materiali e spirituali degli umani, proteggeva i suoi bambini dalla morte riprendendoli nel suo ventre cosmico. Alcuni ritrovamenti, come quello celeberrimo della “venere di Willendorf” - una statuetta di 11 cm d'altezza, raffigurante una donna dai seni e fianchi prosperosi -, mostrano una straordinaria rassomiglianza tra queste figure femminili e quella che più specificamente viene chiamata Dèa Madre [4], riconducibile più propriamente al Neolitico.

Il culto egualitario e non violento della Dèa Madre o Grande Madre “dominò” quindi in Europa, nel Vicino e Medio Oriente (altre tracce sono state ritrovate anche in America e in Asia) per almeno tutto il Paleolitico superiore e il Neolitico. Ciò è ancora dimostrato dal fatto che nell'arte del paleolitico superiore non vi è nessuna rappresentazione di violenza: non una raffigurazione di guerre, di eroi guerrieri, di armi utilizzate da umani contro altri umani. È rappresentato soltanto quello che corrispondeva alla venerazione della vita: la donna, le piante e gli animali.

Le sculture e gli affreschi delle grotte, ritrovate in varie parti del mondo, dimostrano senza ombra di dubbio che questi “valori” furono trasmessi alle società neolitiche da quelle paleolitiche, in particolare la figura femminile era associata alle forze della vita e alla non violenza e le donne spesso erano rappresentate come dèe o sacerdotesse.

Il neolitico

«Ci sono libri che insistono su questo fatto, che suggeriscono idee folli come per esempio che l' agricoltura e la guerra sarebbero cominciate allo stesso tempo. Dicono che quando i villaggi hanno iniziato a svilupparsi, la proprietà ha dovuto essere difesa, ma non ha senso! C'era la proprietà, ma era una proprietà comunitaria. Infatti, c'era una sorta di comunismo, nel migliore senso della parola. Non potrebbe esistere nel ventesimo secolo. Inoltre, credevano che tutti fossero uguali in relazione alla morte. Mi piace molto questa idea. Non sei nessuno, ne regina ne ré, quando le tue ossa sono raccolte insieme ad altre ossa» (Intervista a Marija Gimbutas)

thumb|right|187px|Marija Gimbutas (settembre 1989), studiosa di primo piano delle civiltà che ruotavano intorno alla dea madre

Per quanto riguarda i nostri antenati del neolitico i resti archeologici sono molto più numerosi, ciò ha permesso di comprendere meglio l'organizzazione economica-sociale dei "gilanici".

Le ricerche di Riane Eisler stabilirono che le società neolitiche funzionavano sul culto della dèa non erano né matriarcali né patriarcali, ma basate sul modello del partenariato o gilania, modo di funzionamento assolutamente non violento ed egualitario. Queste società vivevano secondo un modello comunitario, attestato dalla loro architettura, e durante le cerimonie religiose, i cui costi erano a carico dell'intera comunità, i poveri e i deboli sedevano al centro, occupando quindi un posto d'onore. Inoltre i siti funerari non mostrano alcuna differenza legata al sesso o alla condizione sociale, quindi nessuna rigida gerarchia [5]. Quando queste società presero tecnologicamente a svilupparsi, è certo che queste innovazioni non furono utilizzate per creare disvalori o, meno ancora, per costruire armi. Nell'arte di queste società non compaiono descrizioni di armi, di guerre e di conquistatori. Non una traccia di schiavitù, di sacrifici umani, manifestazioni religiose a carattere fortemente dominante ecc. Non esistono tracce di fortificazioni militari: in queste società, le località d'abitazione non erano scelte in funzione della loro posizione strategica (vertice di una collina) bensì sulla base di criteri di bellezza del luogo, legati al mito del giardino dell’Eden, ancora molto presente.

Le società gilaniche, in cui le necessità delle persone erano soddisfatte anche da un principio mutualismo, furono distrutte tra il 4000 e il 2500 a.c, da orde nomadi venute dal sud della Russia, i cosiddetti Kurgan. Queste popolazioni, come nota Marija Gimbutas, erano «governate da classi sacerdotali e guerriere che avevano il dominio sui cavalli e le armi da guerra» [6] ed erano organizzate su base gerarchica e autoritaria, con una volontà di potere fortemente dominatrice e distruttrice, secondo cui le persone soddisfacevano i propri bisogni anche facendo ricorso alla minaccia fisica e all’uso della violenza.

In questo modo, violentemente, sorse la civilizzazione del dominio che sostituì quella fondata sul parternariato o gilania, portando alla nascita del patriarcato, delle classi sociali ed anche, attraverso un lunghissimo processo storico che ebbe inizio proprio in quella fase storica, di quegli apparati di dominio che ebbero il loro culmine nello Stato.

Esempi di civiltà gilaniche

left|thumb|Catal Huyuk, statuetta della dea madrethumb|300 px|Scavi a Catal Huyuk I contributi maggiori per una migliore descrizione dell'organizzazione sociale del neolitico sono venuti dai reperti ritrovati a Çatal Hüyük e Hacilar (nell'attuale Turchia), Vinca (ex-Yugoslavia), Cucuteni (Romania), Gerico (Palestina), Cnosso (Creta), Harappa e Mohenjo-Daro nella valle dell'Indo. Numerose tracce di queste società si trovano anche in altri luoghi dell’Asia minore, Asia orientale (cultura Yomon in Giappone) e meridionale, nel Vicino e Medio Oriente, Europa e America.

Çatal Hüyük e Hacilar

Il sito archeologico di Çatal Hüyük fu scoperto alla fine degli anni Cinquanta. L’archeologo James Mellaart condusse una serie di campagne di scavi tra il 1961 ed il 1965, interrotte poi fino al 1993, che portarono alla luce una vera e propria città (fondata intorno al 7000 a.c). Numerosi sono stati i ritrovamenti di sculture e disegni raffiguranti figure femminili e la stessa Dea Madre [7].

In particolare, una delle caratteristiche più sorprendenti di Çatal Hüyük e Hacilar è stata la loro stabilità politica, durata diverse migliaia di anni, che suggerisce, senza alcun dubbio, che dovesse regnare il principio della non violenza. Qui si sviluppò un'economia agraria con un commercio fiorente, una pianificazione urbana particolarmente ordinata e uno sviluppo considerevole nei settori delle arti, della religione e della cultura. thumb|left|Affresco del Palazzo di Cnosso (Creta): acrobazie di fanciulle con un toro

La civiltà cretese

A Cnosso (Creta) i numerosissimi reperti ritrovati, quali ceramiche, sculture e affreschi, dimostrano che l’isola cretese godeva di una buona floridezza economica, nonostante le asperità climatiche e territoriali dell’isola. I cittadini, comprese le donne – sempre rappresentate in vestiti eleganti oppure come sacerdotesse o comunque in posizioni di rilievo – godevano di una grande libertà e autonomia.

Già nel XVI secolo a.c nell'isola vengono introdotte nuove armi (scudi, spade, corazze ecc.), prima di allora sconosciute, indicative della percezione di nuove preoccupazioni militari prima d'allora inesistenti. Infatti, intorno al 1450 a.c i fastosi palazzi cretesi furono distrutti e mai più ricostruiti, come invece accadde intorno al 1650 a.c, quando il palazzo di Crosso crollò probabilmente a causa di un devastante terremoto. Ciò indicherebbe l'invasione ad opera di un popolo, probabilmente i Kurgan, - violento, rozzo e guerriero –, che già parecchie centinaia d’anni prima aveva attacato altre popolazioni europee, risparminado però l’isola di Creta, probabilmente per il semplice fatto che non conoscevano l’arte navale.

Vinca

thumb|Statuetta che raffigura una donna ritrovata a Vinca (nei pressi di Belgrado) La cultura di Vinca era ubicata a circa 20 km ad est di Belgrado (capitale dell’attuale Serbia). Gli scavi del Prof. Vasic, tra il 1908 e il 1932, collocarono inizialmente questa civiltà intorno al II millennio a.c, poiché si riteneva che una società così avanzata non potesse essere troppo antica. Successivamente i metodi di datazione moderna (dendrologia e radiocarbonio) dimostrarono che la cultura di Vinca è collocabile tra il 5300 e il 4000 a.c.

La vita a Vinca era incentrata sul culto della Dèa Madre e sull’uguaglianza sociale. Il livello tecnologico avanzato è inoltre attestato dalla scoperta delle cosiddette tavolette di Tartara, in cui sono presenti dei segni assimilabili ad una scrittura rudimentale (altre ne sono state ritrovate a Tisza e Karanovo), probabilmente la prima vera forma di scrittura dell’umanità [8].

Cucuteni

La mostra tenuta a Roma nel settembre/ottobre 2008 sulla cultura pre-indoeuropea di Cucuteni-Trypillia conferma l'ipotesi di Marija Gimbutas sul carattere pacifico, sulla struttura sociale egalitaria e sull'importanza del ruolo femminile di questa cultura dell'Europa Antica. La documentazione della mostra, curata dal Ministero della cultura e degli affari religiosi di Romania nonché dal Ministero della cultura e del turismo di Ucraina, dice a pag.40:

«Non vi erano differenze tra le varie tipologie abitative. Dunque non è possibile stabilire quali case appartenessero a persone ricche e quali a persone povere. Le variazioni nelle dimensioni delle abitazioni potrebbero essere attribuite al numero dei membri della famiglia che vi risiedeva, o dipendere dalle tecniche di costruzione delle case. Pertanto non è possibile parlare di ineguaglianza sociale (come nelle società in cui vigeva la schiavitù), ma solo l'esistenza di una naturale gerarchia all'interno di ciascuna comunità. Come non si può sostenere che esistesse una categoria di guerrieri, in quanto la maggior parte degli abitanti era dedito all'agricoltura. Gradualmente iniziarono ad emergere gli artigiani (ceramisti, addetti alla lavorazione dei metalli, intagliatori del legno e della pietra, costruttori), così come dei personaggi con un ruolo specifico nel campo della religione. L'abbondanza di statuine antropomorfe femminili e la parallela scarsità di sculture a soggetto maschile sembra suggerire l'importanza del ruolo delle donne all'interno di queste comunità.»

La civiltà dell'Indo

Intorno al 2500 a.c, nei pressi della foce del fiume Indo, prendeva forma una vera e propria civiltà urbana molto evoluta e in grado anche di utilizzare la scrittura. La vita si dipanava intorno alla figura della Dea Madre, le due città maggiori, Harappa e Mohenjo Daro, erano fabbricate seguendo tecniche all’avanguardia: le case erano costruite mediante mattoni cotti, sotto le strade scorrevano le fognature, vi erano grandi silos che contenevano i cereali ecc. L’economia si basava essenzialmente sull’agricoltura: si coltivavano prevalentemente cereali (grano e orzo) ma anche cotone, utilizzato prevalentemente come mezzo di scambio.

La civiltà dell’Indo crollò intorno al 1550 a.c a causa delle solite invasioni ad opera dei popoli giunti dalla Russia del sud: i Kurgan.

Il lascito storico delle società gilaniche

Carta che rappresenta le ondate migratorie dei Kurgan tra il 4000 e il 1000 a.c, secondo l' ipotesi kurgan sviluppata da Marija Gimbutas, che determinarono la scomparsa delle società gilaniche. L'emigrazione verso l' Anatolia (freccia con tratti punteggiati) è avvenuta attraverso il Caucaso o i Balcani. La zona viola corrisponde al supposto Urheimat [9] (cultura di Samara, cultura di Sredny Stog). La zona rossa corrisponde alla zona di ubicazione degli indoeuropeo intorno al 2500 a.c. La zona arancione corrisponde alla loro progressione intorno al 1000 a.c.

Il cardine su cui ruota tutta la storiografia ufficiale è che la storia proceda linearmente e progressivamente, dalle civiltà meno evolute a quelle più evolute. L’autorità, la gerarchia e lo Stato non sarebbero altro che l’inevitabile risultato di questo presunto percorso evolutivo. Implicitamente si lascia intendere che questi siano elementi necessari per la creazione di una civiltà evoluta, pena il ritorno ad uno stadio primitivo e barbaro.

Le società gilaniche dimostrano la falsità di questo “principio” storico. Prima di tutto queste erano comunità organizzate, complesse ed evolute, almeno relativamente all’epoca, ma con una una sostanziale assenza di gerarchia e di qualsiasi forma di dominio. Quindi, è storicamente falso che l’organizzazione sociale necessiti di un’autorità governativa.

Il secondo aspetto riguarda coloro che soppiantarono i “gilanici”, cioè i Kurgan. Questi erano un popolo notevolmente rozzo, violento e con aspetti culturali e artistici chiaramente inferiori alle società gilaniche, tuttavia erano strutturati in una rigida gerarchia classista e sessista. Questo porta nuovamente ad evidenziare che la storia procede tutt’altro che linearmente; quando i Kurgan soppiantarono la gilania, la storia ha fatto un passo indietro, passando da una civiltà evoluta ed egualitaria ad una meno evoluta tuttavia, organizzata gerarchicamente.

Alcuni elementi tipici della "cultura gilanica" non scomparvero del tutto nei territori europei che avevano subito le influenze di questa civiltà libertaria, basterebbe pensare, tanto per fare un esempio, alle comunità di villaggio (mir) russe dell'800, su cui molti grandi pensatori socialisti russi, soprattutto i cosiddetti populisti specularono non poco avendo a disposizione molti testi di ricerca storica editi nel XIX secolo (von Haxthausen, von Mamer), oggi del tutto dimenticati.

Si può quindi affermare che, non solo è possibile concepire una società egualitaria, diversa da quella attuale, ma che questo modello sociale è già esistito! E' esistito per buona parte della storia dell'umanità e le sue tracce sono giunte indelebili sino ad oggi.

Bibliografia

  • Riane Eisler, Il piacere è sacro: il mito del sesso come purificazione, edizioni Frassinelli, 1996
  • Riane Eisler, Il calice e la spada. La presenza dell'elemento femminile nella storia da Maddalena a oggi, edizioni Frassinelli, 2006
  • Marija Gimbutas, Il linguaggio della dea, Venexia edizioni, 2008
  • Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea: mito e culto della Dea madre nell'Europa neolitica [1989]; introduzione di Joseph Campbell; traduzione di Nicola Crocetti di The Language of the Goddess

Voci correlate

Intervista a Marija Gimbutas

Collegamenti esterni

Signs Out of Time, documentario sottotitolato su Marija Gimbutas, le società gilaniche e i Kurgan: I parte, II parte, III parte, IV parte; V parte ; VI parte , VII parte

Il sindacalismo rivoluzionario è una corrente del sindacalismo ispirata da Georges Sorel e Arturo Labriola. Nel senso più ampio del termine solitamente si intende denominare quelle correnti sindacali che si oppongono radicalmente al parlamentarismo democratico, non intendendo delegare le lotte dei lavoratori ad alcun partito politico. Il sindacalismo rivoluzionario è caratterizzato dalla difesa dell’autonomia delle lotte dei lavoratori secondo i principi della Prima Internazionale: «la liberazione dei lavoratori sarà dai lavoratori stessi o non sarà».

Similmente, ma gli storici ne dibattono ancor oggi, in alcuni paesi il sindacalismo rivoluzionario è usato come sinonimo di anarco-sindacalismo, ovvero come rifiuto di negoziazione con i padroni e il governo.

Origine storica

[[Immagine:Pelloutier.jpg|thumb|Fernand Pelloutier]] Il sindacalismo rivoluzionario nacque in Francia alla fine del XIX secolo, nel momento in cui si svilupparono crisi interne ai sindacati anarchici e socialisti. Alla fine del XIX secolo i socialisti cominciarono ad intraprendere la via democratica e la promozione delle conquiste sociali mediante una progressiva presenza di sindacalisti nei parlamenti; questo cammino intrapreso condusse poi alla creazione di sindacati concertativi e istituzionali. Molti rivoluzionari al contrario, delusi dal percorso parlamentare, intrapresero la via insurrezionale della «propaganda col fatto» e dell'azione diretta, scatenando una durissima repressione del movimento operaio organizzato.

A partire dal 1895 un gruppo di dirigenti sindacali diretti dall’anarchico Fernand Pelloutier e dal socialista blanquista Victor Griffuelhes, preoccupati per l’isolamento che si riscontrava nel movimento sindacale, cominciarono a sostenere la necessità che l’organizzazione dei lavoratori fosse indipendente dalle correnti ideologiche e politiche. Ciò significava mantenere i sindacati fuori dai compromessi politici dei socialisti e dalle azioni violente degli anarchici insurrezionalisti, al medesimo tempo significava aprire una tradizione di convivenza pluralista nei sindacati (comunisti, rivoluzionari, anarchici ecc.).

In Francia: CGT e Sorel

[[Immagine:Georges Sorel.jpg|left|175px|thumb|Georges Sorel]] Il principale teorico del sindacalismo rivoluzionario in Francia fu Georges Sorel (1847-1922), il quale divenne conosciuto mediante la pubblicazione del libro Riflessioni sulla violenza (1908). Il sindacalismo rivoluzionario ebbe come sindacato guida quello della CGT tra il 1895 e il 1914 e di alcuni sindacati degli altri paesi industriali (USA, Italia, Spagna e Italia), come l'USI e l'IWW. I sindacalisti rivoluzionari, similmente agli anarcosindacalisti, diedero grande importanza allo sciopero, in particolare allo sciopero generale, ponendolo al centro della loro metodologia di lotta.

Nel Congresso di Amiens del 1906 si imposero finalmente le correnti sindacaliste rivoluzionarie che presero materialmente forma nella cosiddetta Carta di Amiens, documento chiave e fondante del sindacalismo rivoluzionario e redatto fra l'altro da Victor Griffuelhes. Il documento stabilì la stretta distinzione tra il sindacato e l’ideologia politica, concedendo agli aderenti ampie libertà d’agire al di fuori dell’organizzazione sindacale rivoluzionaria, in funzione delle proprie peculiarità politiche, purché mantenessero l’unità d’intenti all’interno del sindacato.

In Italia

In Italia il sindacalismo rivoluzionario si affermò inizialmente nel PSI grazie alla corrente, guidata dai meridionali Arturo Labriola e Enrico Leone, non del tutto contrari all'ottica anarchica (Labriola guardava con simpatia all'individualismo di Stirner), che agli inizi del Novecento riuscì a saldarsi con l'opposizione antiriformista settentrionale. Il sindacalismo rivoluzionario si affermò al congresso di Bologna nel 1904 e durante lo sciopero generale del 1904. Abbandonarono il partito nel 1907.

I sindacalisti rivoluzionari dopo aver promosso con Alceste De Ambris il grande sciopero di Parma del 1908, fuoriuscirono dalla CGL e fondarono, nel 1912, l'Unione Sindacale Italiana di cui Filippo Corridoni fu un esponente di rilievo tra coloro che si adoperavano per superare le divisioni corporativistiche cosiddette di mestiere. Molti anarchici entrarono fra le file dell'USI. Nel dibattito del 1914-1915 sulle scelte di intervento o neutralità, la frazione interventista fu battuta dal neutralismo antimilitarista dell'anarchico Armando Borghi. Gli interventisti furono espulsi dall’USI a guerra inoltrata e fondarono nel 1918l'Unione italiana del lavoro.

Sindacalismo rivoluzionario e anarcosindacalismo: differenze e analogie

L’anarco-sindacalismo e il sindacalismo rivoluzionario rifiutano il principio comunista anarchico del dualismo organizzativo, ovvero quell’idea organizzativa che separa l’organizzazione di massa (sindacato) dall’organizzazione specifica (organizzazione politica) . Per entrambi il sindacato nasce come rivoluzionario e si deve contrapporre al padronato e allo Stato sino allo scontro finale: organizzazione politica e sindacato sono quindi fusi insieme in entrambi i modelli organizzativi.

Gli storici hanno idee differenti su differenze e analogie: per Edouard Dolléans [10] «il sindacalismo rivoluzionario è una rottura nei confronti tanto dell’anarchismo quanto del socialismo»; storici più attuali invece sostengono che «l’anarcosindacalismo, o sindacalismo rivoluzionario, volle essere una sintesi fra la teoria marxista dell’analisi di classe o della sua concezione del processo storico e la tradizione anarchista della lotta senza intermediari politici».

Anarchopedia propone una differenziazione basata sull'omogeneità dei sindacati, ovvero mentre i militanti anarcosindacalisti sono anarchici, quelli sindacalisti non è detto lo siano. In altre parole, mentre l'anarco-sindacalismo è per forza di cose rivoluzionario, il sindacalismo rivoluzionario non è necessariamente anarchico.

In tutti i modi oggi sembra universalmente accettatat la definizione elaborata da Marcel Van der Linden [11] e Wayne Thorpe [12]:

«Il movimenti rivoluzionari di azione diretta… possono etichettarsi alternativamente come industrialismo rivoluzionario, sindacalismo rivoluzionario, anarcosindacalismo, concilismo o conciliarismo…».

Società gilaniche Società gilaniche

Società gilaniche
  1. Riane Eisler, contrariamente ai suoi predecessori, ha provato ad avere uno sguardo d’insieme della storia di quel periodo, inserendo le proprie ricerche nell’ambito degli studi degli antropologi, degli zoologi, dei paleontologi e degli archeologi. In questo modo è riuscita a non cadere negli stessi equivoci in cui caddero i vecchi archeologi, i quali poiché frequentemente lavoravano in solitario, e quindi avevano un punto di vista molto limitato delle cose, giungevano a delle errate e non oggettive interpretazioni della realtà
  2. Nell'Ottocento gli archeologi e gli storici del mito trovarono i resti dell'esistenza di società preistoriche avanzate che non erano né androcratiche né patriarcali. Essi però le definirono come matriarcali [J.J. Bachofen, 1967]; tuttavia le più recenti scoperte archeologiche dimostrano che queste società erano orientate verso un modello di società gilanico o di partnership.
  3. Il geografo James DeMeo sostiene che i cambiamenti climatici avvenuti nell’Asia centrale e occidentale, provocarono una tale carestia (siccità particolarmente prolungata e progressiva desertificazione) da costringere all’emigrazione molti popoli e individui tra il quinto e il quarto millennio a.C. [J. Demeo, 1991, pp. 247-71].
  4. M. Gimbutas preferisce il termine Grande Dea a quello di Dèa Madre per indicare tutti i molteplici aspetti legati alla Dea oltre a quello della nascita e cioè il sostenere la vita, governare la morte, la rigenerazione, la fertilità della terra, ecc
  5. E' bene sottolineare, come suggerisce la stessa Riane Eisler, che non si trattava di società ideali e perfette: vi era qualche differenza sociale, ma non estremizzata e comunque non basata sull'appartenenza ad un genere sessuale
  6. J.P. Mallory, 1989, p. 288; M. Gimbutas, 1991
  7. Vedi anche: [1]
  8. The Goddesses an Gods of Old Europe (Dei e dèe dell’Antica Europa), di Marija Gimbutas
  9. L'Urheimat corrisponde alla cosiddetta “patria” originaria degli indoeuropei, cioè il luogo da cui partirono poi le loro ondate migratorie, che secondo la tesi di Marija Gimbutas corrisponderebbe alla Russia del sud
  10. Edouard Dolléans (1877-1954) è stato uno storico francese del movimento operaio.
  11. Marcel Van der Linden
  12. Wayne Thorpe