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User:Lupo rosso/sandbox/mafia e fascismo copia
- Un processo lento, che in Italia si è sviluppato per tappe e acquisizioni a partire dal riconoscimento dello status quo feudale nel sud da parte della monarchia sabauda in cambio della propria legittimazione. La mafia, dalle trattative per preparare lo sbarco alleato in Sicilia al sistema di scambio voto-favore dell'epoca democristiana, ha in seguito rappresentato un costante interlocutore per la repubblica. In tale contesto, il ruolo della capitale morale settentrionale è andato focalizzandosi sulla controparte legale, il riciclaggio di denaro. Equilibrio che si è tuttavia definitivamente infranto a cavallo degli anni '80, con lo scoppio di una sanguinosa guerra intestina. Conflitto che, con un bilancio assimilabile a una guerra civile, ha portato al prevalere dei clan più arretrati e feroci, i corleonesi, e a una tardiva reazione istituzionale.(Antistato totalitario e antistato mafiosodi Massimo Annibale Rossi)
La propaganda fascista è stata da sempre abilissima nel dipingere il regime mussoliniano quale acerrimo nemico della mafia. Se è pur vero che numerosi mafiosi furono arrestati durante il fascismo (soprattutto nell’epoca del cosiddetto “Prefetto di Ferro†Cesare Mori), è vero anche che nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di “pesci piccoli†ed è anche vero che i fascisti non ebbero scrupoli nel liberare molti di essi quando si trattò di utilizzarli in sporche operazioni contro gli antifascisti (vedi l’assassinio dell’anarchico Carlo Tresca). I rapporti mafia-fascismo furono ben saldi prima e anche dopo l’8 settembre 1943, quando mafia, fascisti e istituzioni collaborarono in chiave repressiva dei movimenti sociali che si andavano a sviluppare in Sicilia.
Indice
Il periodo del prefetto di ferro: Cesare Mori
Cesare Mori, figura mitizzata dal fascismo, nel 1922 era prefetto di Bologna, dimostrandosi inflessibile nell'applicazione della legge, essendo fra i pochissimi rappresentanti degli "organi di repressione dello Stato" che considerassero lo squadrismo fascista al pari del "sovversivismo" di sinistra e quindi da reprimere in egual maniera. Dopo aver bloccato una spedizione punitiva di squadristi fu duramente contestato dal fascismo rampante, ormai appoggiato dalla borghesia industriale e agraria, per cui all'ascesa al potere di Mussolini Mori fu dispensato dal servizio attivo. Si ritirò in pensione nel 1922 a Firenze, assieme alla moglie; medesima sorte toccò nello stesso periodo ai militari Guido Jurgens, Vincenzo Trani e a Federico Fusco, tuttavia quest'ultimi non ebbero altre possibilità di carriera durante il fascismo, poiché non vollero scendere a compromessi col regime.
In seguito Mori venne richiamato in servizio e gli fu affidato da Benito Mussolini l'incarico (vista la sua fama di inflessibilità ) di repressione dei fenomeni criminali in Sicilia. Qui impiegò metodi al quanto sbrigativi, arrivando perfino a prendere in ostaggio donne e bambini per raggiungere il suo scopo; a tale riguardo scrive lo storico Christopher Duggan nel suo "Prefetto di ferro": "I metodi brutali di Mori crearono malcontento nella popolazione, che spesso fu tentata a schierarsi dalla parte dei mafiosi, di fronte a forze di polizia che apparivano quasi come invasori stranieri, senza rispetto delle più elementari regole di legalità . Leggiamo ancora Denis Mack Smith: "Ironicamente, l'operato di Mori potrebbe aver rafforzato proprio quella diffidenza nei confronti dello Stato che, come il governo, era stato così desideroso di vincere".}} e ancora sempre Denis Mack Smith "Mori era amico dei latifondisti. [...] Dal 1927 gli agrari erano di nuovo al potere, e la Sicilia ne pagò a caro prezzo la riabilitazione; e gli anni Trenta furono caratterizzati da abbandono e declino"[1].
Riguardo a Cesare Mori e al suo ruolo di "catturatore di pesci piccoli", persino in un sito dedicato a Mussolini si può leggere: "In effetti il fascismo, dopo la grande retata di "pesci piccoli" realizzata da Cesare Mori, viene a patti con l'"alta mafia", nel 1929 richiama a Roma il "Prefetto di Ferro" (verrà nominato senatore) e, in un certo senso, "restituisce" la Sicilia ai capi mafiosi ormai fascistizzati. Infatti, i condoni e le amnistie, subito concesse dal governo dopo il richiamo di Mori, hanno favorito molti pezzi da novanta che, appena tornati in libertà , si sono subito schierati fra i sostenitori del regime anche se, dopo il 1943, gabelleranno i pochi anni di carcere o di confino come prova del loro antifascismo."[2] [I fascisti di codesto sito ammettono quindi sia l'inefficienza dell'azione di Mori che la collusione mafia-fascismo. In poche righe essi stessi sono riusciti a condensare il ruolo avuto da Cesare Mori durante l'epoca fascista. In seguito i rapporti tra mafia e neofascisti, soprattutto dopo il tentato golpe dei Junio Valerio Borghese, si incrinarono e la mafia privilegiò le alleanze con la DC di Giulio Andreotti. E' a questo che si deve forse l'accredine dei neofascisti contro la mafia, anche se vi è altresì da dire che, nel suddetto sito web, in seguito si sono dissocciati dai contenuti dalle critiche a Mori, addebitandole allo scritto di un qualche anonimo (N.d.R)].
L'efficacia della lotta alla mafia, prima e dopo Cesare Mori, furono quindi condizionati dai rapporti mafia e fascismo, secondo cui spesso il regime si servì della "caccia al mafioso" come strumento repressivo atto a giustificare gli attacchi agli antifascisti (es. assassinio dell'anarchico Carlo Tresca) e\o ai fascisti non in linea con il PNF (caso Alfredo Cucco).
Tali rapporti contraddicono, o quantomeno ridimensionano, le tesi dello scontro irriducibile fra mafia e fascismo, peraltro evidenziate da questi scritti:
"Il fascismo oramai aveva il pieno appoggio della classe dominante siciliana, quella della grande proprietà terriera, soprattutto da quando furono abolite le norme di legge che limitavano il diritto dei proprietari terrieri ad elevare i canoni di affitto e a liberarsi dei mezzadri. In tale situazione la mafia non aveva motivo di esistere, visto che le contese tra latifondisti e contadini venivano regolate dallo stato fascista [...] Ma ciò c he Mori colpì non fu altro che la bassa mafia, come lui stesso raccontò nelle sue memorie, semplici esecutori di ordini che potevano essere briganti, gabellotti e campieri. Ciò a cui egli mirava era l'alta mafia che allignava nelle città attorno ai centri del potere, ove era stretto il legame tra mafia e politica [...] Invece la realtà era che la mafia non era affatto morta, si era nuovamente istituzionalizzata. Se tanti briganti e piccoli delinquenti erano stati rinchiusi nelle carceri o mandati al confino, gli esponenti dell'alta mafia, se non emigrarono in America, aderirono in blocco al fascismo, sicuri di poter proseguire nei loro affari e nei loro traffici una volta che la Sicilia era stata liberata dall'incubo Mori". (Mafia e Fascismo, L'operazione incompiuta del prefetto Moridi Davide Caracciolo)
"...dopo che Mori fu sollevato dall’incarico, si preoccupò di diffondere l’idea che la Mafia, ormai, non fosse più un problema, ma essa “era tutt’altro che morta e si era anzi nuovamente istituzionalizzata†(da Mafia e fascismo, Davide Caracciolo, InStoria, GB EditoriA 2008)"[3]
Il giudizio espresso sul sito dell'arma dei Carabinieri, a cura di Alessandro Politi [4], sull'operato di Cesare Mori in Sicila concorda con i giudizi precedenti (per esempio con quello dello storico Christopher Duggan), sottolineando l'effetto di fascistizzazione di grossi capi mafiosi ".....La stessa politica della repressione poliziesca, per quanto efficiente, non aveva spostato di una virgola le condizioni sociali in cui stagnava la Sicilia ed alla fine il regime si accontentò del successo di facciata."[5].
Cesare Mori e il caso Alfredo Cucco
Cesari Mori non si pose alcun problema, col consenso di Benito Mussolini, di andare a colpire il fascista siciliano maggiormente in vista, Alfredo Cucco, che probabilmente in questa fase non era integrabile nella linea del PNF in Sicilia, il che giustificava il desiderio di Mussolini di allontanare dal partito (Non fu risparmiato neppure l'ex ministro della Guerra, il potente generale Antonino Di Giorgio), seppur temporaneamente, individui che potevano ostacolare la diffusione del fascismo nell'isola ((Cucco era mal visto dagli agrari, molti dei quali erano mafiosi, quindi Mussolini auspicò l'allontanamento di quest'individuo allo scopo di non alienarsi la simpatia dei latifondisti).
Nel 1927 Cucco venne espulso dal PNF "per indegnità morale" e accusato, grazie alle indagini di Cesari Mori, di essere colluso con la mafia. Dopo essere stato assolto quattro anni dopo, Cucco rientrò nell'isola e riprese l'attività politica, quando, grazie anche alla sua assenza, l'insediamento nel PNF siciliano dei latifondisti dell'Isola, collusi con la mafia o essi stessi mafiosi, era oramai completato.
La personalità di Cucco è così descritta da Leonardo Sciascia: "figura del fascismo isolano, di linea radical-borghese e progressista, per come Christopher Duggan e Denis Mack Smith lo definiscono, che da questo libro ottiene, credo giustamente, quella rivalutazione che vanamente sperò di ottenere dal fascismo, che soltanto durante la repubblica di Salò lo riprese e promosse nei suoi ranghi."[6].
Nel libro Le mafie, lo storico Paolo Pezzino ipotizza che l'esautorazione di Cucco fu un particolare caso politico in quanto fascista avverso agli agrari. Mori, grazie anche ad una propaganda fascista sulle sue azioni, molto ben orchestrata mediaticamente, divenne notissimo sino a quando fu rimosso dal suo incarico e richiamato. Quando gli aspetti più propagandistici della dura lotta alla mafia vennero a cessare, Mori fu insignito del titolo di senatore del Regno, richiamato dalla Sicilia e messo fuori gioco. Contemporaneamente i più importanti mafiosi, collusi col fascismo, subivano pene lievi ed amnistie, che li consentirono di ritornare ad operare sotto la copertura dei gerarchi fascisti siciliani o persino ad divenire gerarchi loro stessi. La mafia era rientrata, come accade anche attualmente, in rapporto simbiotico con i poteri dello Stato.
Arrigo Petacco nel suo libro "Il prefetto di Ferro [7], spiega bene come avvenne la fascistizzazione della mafia, ovvero grazie soprattutto attarverso l'utilizzo di Cesare Mori.
Considerazioni sul caso Tresca
Emblematico del rapporto mafia- fascismo (che poi si intersecherà con l'intervento dei servizi segreti americani nel periodo pre, durante e post seconda guerra mondiale) è stato anche la protezione data dal regime nel 1935 a Vito Genovese, che si sdebiterà con la costruzione della "Casa del fascio" di Nola e l'assassinio dell'anarchico Carlo Tresca[8]. Assassinio che permise il riciclo degli antifascisti dell'ultima ora (ovvero ex-fascisti che cercavano di sbarazzarsi del loro scomodo passato), come Generoso Pope (precedentemente sostenitore di Mussolini), nella Mazzini Society attiva in America, questa vicenda è riferibile all'aspra lotta intestina nella "Mazzini Society" per ammettere o meno alcuni italiani, presenti in in America, ma con passato di netto appoggio al fascismo, nei comitati di fronte unito antifascista nati nel 1943. Nel periodo dell'assassinio di Carlo Tresca, Vito Genovese si trovava in Italia e quindi la ricostruzione delle sue responsabilità è stat più che comprovata dal punto di vista investigativo. Genovese fu probabilmente il mandante dell'omicio di Tresca, personaggio scomodo che denunciava pubblicamente gli antifascisti fasulli, mente l'esecutore materiale fu Carmine Galante [9], poi affiliato alla famiglia di Joseph Bonanno [10]. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia, Vito Genovese, uno dei personaggi chiave anzi citati, avrà un enorme potere in Sicilia anche nel periodo post bellico dimostrando una costante duratura e ascendente importanza.
Considerazioni sul caso Vito Cascio Ferro
Per inquadrare il caso di Vito Cascio Ferro, è necessario ricordare la figura del "superpoliziotto" italo-americano Joe Petrosino [11], inizialmente informatore della polizia, soprannominato «’u spione», poi "super poliziotto protetto da Theodore Roosvelt, allora assessore alla polizia [12]. Petrosino fu impiegato in numerose operazioni contro la criminalità , ma anche contro i rivoluzionari. In "Petrosino odiava gli anarchici li considerava delinquenti o pazzi da portare in manicomio"[12].
Secondo quanto riportano molti storici, Petrosino fu assassinato dal boss Vito Cascio Ferro, che in gioventù era stato anarchico, attivista delle "occupazione delle terre" del 1892 rifugiatosi poi in Tunisia per sfuggire alla repressione ordinata dal Ministro degli Interni Francesco Crispi. Emigrato negli USA, fu accolto a Patterson (città in cui risiedeva Gaetano Bresci e molti altri anarchici) come un compagno; in seguito divenne mafioso ed esecutore materiale di Joe Petrosino. Si ipotizza che uno dei motivi che portò Vito Cascio Ferro ad assassinare Petrosino fu il sospetto che il "superpoliziotto" avesse torturato in carcere Sophie Knieland, moglie dell'anarchico Gaetano Bresci, in modo da estorcerle qualche informazione su presunti rapporti tra la mafia americana e gli anarchici, peraltro mai dimostrati da alcuno storico.
Non si sa bene perchè Vito Cascio Ferro abbia voluto vendicare Sophie Knieland, è certo che gli fu trovato in tasca un biglietto della moglie di Gaetano Bresci, anche si ignora il contenuto; resta comunque certo che don Vito aveva molto probabilmente mantenuto amicizie fra gli anarchici di Patterson.
Vito Cascio Ferro fu arrestato da Cesare Mori nel 1927 e condananto all'ergastolo in carcere, dove morì nel 1943 di fame e sete, dimenticato dai carcerieri che avevano fatto evacuare il carcere appena bombardato [Vito Genovese, ben più importante dell'anziano e fuori tempo mafioso don Vito Ferro, fu invece protetto dal fascismo, N.d.R], scordandosi di portar via Vito Cascio Ferro.
E' quindi quantomeno curioso che uno dei pochi mafiosi di garnde importanza ad essere catturato durante l'epoca fascista fu don Vito Cascio Ferro, "amico degli anarchici" e con un passato di anarchico, lasciato morire "per sbaglio".
Il lavoro dello Casarrubea dimostrerà che questi starni episodi sono stati troppo a lungo trascurati dalla "sinistra" italaina a da molti storici.
Testimonianze su Mafia e fascismo
Dopo il congedo di Mori, vi fu ben presto una recrudescenza del fenomeno mafioso in Sicilia. Come scrisse nel 1931 un avvocato siciliano in una lettera indirizzata a Mori:[13]
Ora in Sicilia si ammazza e si ruba allegramente come prima. Quasi tutti i capi mafia sono tornati a casa per condono dal confino e dalle galere... Alfredo Cucco invece rientra nel partito solo nel 1937, e nel 1938 è tra i firmatari del Manifesto della razza, nell'aprile del 1943 Mussolini lo nomina vice segretario nazionale del PNF, quindi aderisce alla Repubblica Sociale Italiana dove diviene Sottosegretario alla Cultura popolare. Alla fine della guerra, nonostante tali precedenti, sarà prosciolto "stranamente" da ogni accusa e diverrà un notabile del neonato MSI. "Il Fascismo non unì alla lotta sul piano militare, alcun intervento di tipo sociale, facendo anzi dei passi indietro, soprattutto nelle campagne, riaffidando quasi interamente il potere ai latifondisti. Ha scritto uno dei massimi storici dell'Italia contemporanea, Denis Mack Smith: "Mori era amico dei latifondisti. [...] Dal 1927 gli agrari erano di nuovo al potere, e la Sicilia ne pagò a caro prezzo la riabilitazione; e gli anni Trenta furono caratterizzati da abbandono e declino" ("Introduzione" a Duggan, p. IX)(Christopher Duggan, La mafia durante il Fascismo nota fuori citazione). Un dato può dare l'idea di cosa significò questo nuovo ordine sociale in Sicilia: dal 1928 al 1935 le paghe agricole, secondo le statistiche ufficiali, diminuirono del 28% ;Commissione parlamentare Antimafia, p. 66;." [14] definire poi quale fu l'operato nella realtà dei fatti del prefetto Cesare Mori non è cosa semplice se si sfronda dai residui della propaganda fascista che ancora adesso sono ricordati a livello popolare. Si può dire, in linea di massima, che fu congruente allo sviluppo del regime che, se da una parte era impossibilitato a prendere il potere della mafia, dall'altra doveva vincolare la mafia ad un certo "ordine di regime" in modo che la facciata fosse salva e Mori, forse anche in gran parte incolpevole, fu lo strumento del Mussolini per arrivare a tale obiettivo.[15] [16] "In effetti il fascismo, dopo la grande retata di "pesci piccoli" realizzata da Cesare Mori, viene a patti con l'"alta mafia", nel 1929 richiama a Roma il "Prefetto di Ferro" (verrà nominato senatore) e, in un certo senso, "restituisce" la Sicilia ai capi mafiosi ormai fascistizzati. Infatti, i condoni e le amnistie, subito concesse dal governo dopo il richiamo di Mori, hanno favorito molti pezzi da novanta che, appena tornati in libertà , si sono subito schierati fra i sostenitori del regime anche se, dopo il 1943, gabelleranno i pochi anni di carcere o di confino come prova del loro antifascismo."da il sito dedicato a Benito Mussolini[17] vi e' l'ammissione dell'inefficienza dell'azione di Mori da parte proprio attuali degli ammiratori del dittatore fascista, nonché l'ammissione della collusione mafia-fascismo.[18] [19][20] [21] "Fece infatti piazza pulita di briganti, ma quando si trattò di mettere in galera la gente di rispetto ammanigliata con Roma fu licenziato in tronco. Finì senatore, con velleità letterarie inappagate e un libro di ricordi, Con la mafia ai ferri corti, che dette qualche grana a Mondadori. Mussolini gli scrisse garantendogli che i suoi quattro anni di Sicilia sarebbero rimasti «scolpiti nella storia della rigenerazione morale, politica e sociale dell'isola nobilissima», ma a quanto risulta la mafia riprese indisturbata il suo cammino. Lo scalpello era moscio." Giovanni Grazzini in un suo articolo di commento al film Il prefetto di ferro concorda con simile visione degli effetti dell'intervento di Mori. [22]
"La sua azione energica permise di distruggere quasi interamente la struttura di base della malavita organizzata siciliana e offrì a Mussolini un argomento per la sua propaganda. Ma quando Mori iniziò a diventare troppo famoso e soprattutto a indagare troppo in alto, venne messo da parte, e le tracce del suo lavoro accuratamente eliminate."[23] Anche secondo Arrigo Petacco nel suo libro Il Prefetto di Ferro il fascismo si occupa dei "pesci piccoli" riportando alla Sicilia i capi mafiosi fascistizzati che avevano subito nulle o lievi pene tramite tramite varie forme giuridiche utilizzate ad hoc. [24] Dagli studi di Giovanni Raffaele, studioso della storia di Sicilia, che ha scritto L'ambigua tessitura. Mafia e fascismo nella Sicilia degli anni Venti si riassume [25] "La conclusione è che nella zona presa di mira da Mori non vi fosse mafia in senso stretto, proprio perché i meccanismi dell'accumulazione, del consenso e del controllo politico seguivano altri canali consolidati, che della mafia - intesa come organizzazione specifica e gerarchicamente strutturata - potevano fare a meno. Dalla ricerca emergono però anche la complicità del fascismo col sistema di mafia e, per certe zone, la forza intatta di un'élite che, per il controllo sociale, di mafia non aveva bisogno."
Dallo sbarco alleato in Sicilia all'immediato dopoguerra
Il rapporto che la mafia ebbe col fascismo fu quella di cambiare posizione verso quest'ultimo per seguire i propri interessi come è la strategia generale della mafia che non avendo ideali lega gli " ideali momentanei " in modo diretto agli interesi economici e di potere del fenomeno mafioso. Così ci ritroviamo Vito Genovese e Albert Anastasia diventarono stretti collaboratori di Charles Poletti che e' il plenipotenziario per l'occupazione alleate nel sud dopo lo sbarco statunitense: è ben conosciuta una foto [26] in cui Genovese è ritratto, con la divisa dell'esercito americano in compagnia di Salvatore Giuliano[27].
Giuliano godeva della protezione di Genovese quando questo passò con i gli statunitensi ma, dai documenti desecretati dall'OSS, era appoggiato sia da fascisti che dagli agenti segreti americani e seguendo le ipotesi suffragate da ampia documentazione di Giuseppe Casarrubea sembrerebbe che ilbandito Giuliano fosse stato un fascista della X MAS. È ancora da rimarcare che i capi mafiosi riciclati dagli americani avevano il compito, quasi di polizia, di eliminare i gruppi criminosi che lavoravano in modo autonomo e lo fecero con zelo. Di questa situazione di cambio di campo, o quantomeno di riciclaggio dei mafiosi amici o meno del fascismo,uno dei principali registi fu Lucky Luciano.
"Lucky Luciano, il noto boss rinchiuso nelle carceri americane, passò i nomi di 850 persone su cui “contare" e gli ufficiali dell'OSS, che dirigeranno sul campo "l'operazione sbarco", saranno Max Corvo, Victor Anfuso e Vincent Scamporino[28] Il loro gruppo sarà conosciuto come il "cerchio della mafia". Tra gli americani, in divisa dell'esercito, c'erano Albert Anastasia (ucciso nel dopoguerra in un negozio di barbiere) e don Vito Genovese, (il don Vito Corleone del film "Il padrino"), stretti collaboratori di Charles_Poletti. Scrivono Roberto Faenza e Marco Fini “Gli americani in Italiaâ€: "È così che quando nel 1943 gli americani sbarcheranno in Sicilia, la prima azione dell'OSS sarà [...] restituire la libertà ai mafiosi imprigionati dal regime fascista".[29]"
Sempre dalla stessa fonte viene precisato gli scopi delle inchieste USA sulla criminalità organizzata italiana avevano altro scopo che cacciare dei criminali:
"Quando, nel 1951, la Commissione americana si occupò degli italiani è evidente che ne approfittò per liberarsi di alcune componenti anarchiche. Perché allora la componente anarchica era molto presente tra gli italiani negli Stati Uniti: penso a gente come Nicola Sacco , Bartolomeo Vanzetti e Carlo Tresca [30]"
In un'intervista al regista Pasquale Scimeca , questi afferma: "I mafiosi che erano sfuggiti alla repressione del Prefetto Mori, emigrando in America, avevano fatto fortuna, esercitavano una rispettabile influenza e disponevano di non poche entrature in vari ambienti come quelli militari, dove prestavano il loro ausilio come interpreti, o strani accompagnatori. Alcuni di loro furono addirittura arruolati direttamente nei servizi segreti della Marina Americana. Illustrissimi, del calibro di Joe Profacy, Vincent Mangano, Nick Gentile, Vito Genovese e l'immancabile Lucky Luciano, si resero disponibili ad offrire la loro preziosa consulenza sfruttando gli antichi legami mai interrotti con la terra natia. Per portarsi avanti, nel contempo, L’OSS (Office Strategic Service) mandò Max Corvo e Vincent Scamporino, il capo del settore italiano del secret intelligence, a Favignana dove erano rinchiusi i mafiosi “perseguitati†dal Prefetto di ferro e li fece liberare [31] "
Cosi' scrive Giorgio Bongiovanni direttore di Antimafia 2000: "Dopo lo sbarco il loro primo incarico fu quello di mettere ordine, chi poteva farlo meglio di coloro che avevano sempre avuto un controllo serrato del territorio? In pochissimo tempo i padrini ripresero il comando e eliminarono con accanita sistematicità le decine di bande che infestavano l’isola, tutte tranne una: quella di Salvatore Giuliano, ricondotta sotto l’egida della famiglia di Montelepre, che controllava da giusta distanza la mitica azione rivoluzionaria del bandito. In men che non si dica venne a crearsi in Sicilia una catena di persone e personaggi, in numero sempre crescente, disposti a mettersi dalla parte dei vincitori. I capimafia di fatto si sentirono nobilitati e vennero elevati al grado di “liberatoriâ€. Ma la vera legittimazione venne con l’assegnazione dei comuni ai vecchi boss che si ritrovarono di nuovo padroni dei loro feudi e con la fascia tricolore posta di traverso sul petto: Don Calò (Calogero Vizzini) divenne sindaco di Villalba, Salvatore Malta di Vallelunga, Genco Russo (Giuseppe Genco Russo) sovraintendente agli Affari Civili di Mussomeli e altri rivestirono incarichi ufficiali in diversi ambiti [32] "
Tutto ciò era inserito in un momento di scontri sociali e rivendicazioni da parte degli strati meno abbienti della popolazione siciliana, che portarono ad un gran numero di caduti in piazza. I morti fra i manifestanti in questo periodo furono circa 80, a fronte di due appartenenti agli organi di polizia dello stato, con un rapporto di circa 40 ad 1; i feriti, più o meno gravi, fra i manifestanti furono centinaia.
Note
- ↑ Si legga articolo da Il "prefetto di ferro"
- ↑ da il ilduce.net
- ↑ Lo stato italiano e la guerra civile contro la camorra
- ↑ Analisi strategica
- ↑ Arma " [...] Le statistiche testimoniavano il crollo di reati come abigeati, rapine, estorsioni, omicidi, danneggiamenti ed incendi dolosi, ma i pezzi grossi restavano ancora in giro. E attuavano un disegno classico della mafia. Abbandonavano lo scontro frontale per scegliere la strada della connivenza, cercando di instaurare rapporti con i vertici del fascismo. Mori, alla fine, sarà promosso per essere rimosso quando i danni avrebbero potuto essere irreparabili per i mafiosi. La stessa politica della repressione poliziesca, per quanto efficiente, non aveva spostato di una virgola le condizioni sociali in cui stagnava la Sicilia ed alla fine il regime si accontentò del successo di facciata"
- ↑ scritto di Leonardo Sciascia
- ↑ "E, infatti, un western siciliano più che un'indagine storica sulla mafia, vicino a Sergio Leone più che a Francesco Rosi"da recensione dell'omonimo film tratto dal libro su Repubblica
- ↑ Tutta la Verità sul caso Tresca di Mauro Canali
- ↑ da Wikipedia inglese: Carmine Galante
- ↑ Leggere tutta la verità sul caso Tresca di Mauro Canali, l'autore e fra quelli accreditati dal SISDE per i suoi lavori che spesso ne riportano stralci sul sito]
- ↑ da Wikipedia, articolo su Petrosino
- ↑ 12.0 12.1 da tesi su rapporti fra mafia e fascismo
- ↑ Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro, 1975, Mondadori
- ↑ da Il "prefetto di ferro"
- ↑ approfondire su Mafia e Fascismo L'operazione incompiuta del prefetto Mori a firma di Davide Caracciolo
- ↑ Il "prefetto di ferro"
- ↑ da il ilduce.net
- ↑ da il ilduce.netovvero vi é l'ammissione dell'inefficienza dell'azione di Mori proprio dagli attuali ammiratori del cosidetto duce
- ↑ critica Il prefetto di ferro di Giovanni Grazzini
- ↑ approfondire su Mafia e Fascismo - L'operazione incompiuta del prefetto Mori a firma di Davide Caracciolo
- ↑ Il "prefetto di ferro"
- ↑ da articolo di Giovanni Grazzini Il Corriere della Sera, 2 ottobre 1977
- ↑ da recensione libro
- ↑ da ilduce.net
- ↑ scheda Libro
- ↑ Foto di Vito Genovese con Salvatore Giuliano
- ↑ e lo stato.htm Il bandito Giuliano e lo stato
- ↑ "Ma Scamporino è anche il legale dei sindacati controllati da Cosa Nostra. In Sicilia, prima dello sbarco, le missioni degli agenti di Scamporino si avvalgono di una fitta rete di protezione mafiosa, che oltre a dare riparo e assistenza, fornisce loro ogni genere d’informazione di valore militare"da Italia Sociale
- ↑ da corsa infinita dei bersaglieri
- ↑ trombealvento "Un certo Ezio Taddei, livornese" Bersagliere un po' anarchico intervista al regista Pasquale Scimeca
- ↑ da Una storia di stragi e misteri di Giorgio Bongiovanni
- ↑ da Una storia di stragi e misteri di Giorgio Bongiovanni direttore di [1]=Antimafia 2000