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User:Lupo rosso/sandbox/mafia e fascismo copia

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Un processo lento, che in Italia si è sviluppato per tappe e acquisizioni a partire dal riconoscimento dello status quo feudale nel sud da parte della monarchia sabauda in cambio della propria legittimazione. La mafia, dalle trattative per preparare lo sbarco alleato in Sicilia al sistema di scambio voto-favore dell'epoca democristiana, ha in seguito rappresentato un costante interlocutore per la repubblica. In tale contesto, il ruolo della capitale morale settentrionale è andato focalizzandosi sulla controparte legale, il riciclaggio di denaro. Equilibrio che si è tuttavia definitivamente infranto a cavallo degli anni '80, con lo scoppio di una sanguinosa guerra intestina. Conflitto che, con un bilancio assimilabile a una guerra civile, ha portato al prevalere dei clan più arretrati e feroci, i corleonesi, e a una tardiva reazione istituzionale.(Antistato totalitario e antistato mafiosodi Massimo Annibale Rossi)

La propaganda fascista è stata da sempre abilissima nel dipingere il regime mussoliniano quale acerrimo nemico della mafia. Se è pur vero che numerosi mafiosi furono arrestati durante il fascismo (soprattutto nell’epoca del cosiddetto “Prefetto di Ferro” Cesare Mori), è vero anche che nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di “pesci piccoli” ed è anche vero che i fascisti non ebbero scrupoli nel liberare molti di essi quando si trattò di utilizzarli in sporche operazioni contro gli antifascisti (vedi l’assassinio dell’anarchico Carlo Tresca). I rapporti mafia-fascismo furono ben saldi prima e anche dopo l’8 settembre 1943, quando mafia, fascisti e istituzioni collaborarono in chiave repressiva dei movimenti sociali che si andavano a sviluppare in Sicilia.

Il periodo del prefetto di ferro: Cesare Mori[modifica]

Cesare Mori, figura mitizzata dal fascismo, nel 1922 era prefetto di Bologna, inflessibile applicatore della legge, essendo fra i pochissimi rappresentanti degli "organi di repressione dello Stato" che considerassero lo squadrismo fascista al pari del "sovversivismo" di sinistra e quindi da reprimere in egual maniera. Dopo aver bloccato una spedizione punitiva di squadristi fu duramente contestato dal fascismo rampante, ormai appoggiato dalla borghesia industriale e agraria, per cui all'ascesa al potere di Mussolini Mori fu dispensato dal servizio attivo e si ritirò in pensione nel 1922 a Firenze, assieme alla moglie; medesima sorte toccò nello stesso periodo ai militari Guido Jurgens, Vincenzo Trani e Federico Fusco, tuttavia questi non ebbero altre possibilità di carriera poiché non vollero scendere a compromessi col regime fascista.

In seguito, nel 1924, Mori venne richiamato in servizio e gli fu affidato da Benito Mussolini l'incarico di repressione dei fenomeni criminali in Sicilia (vista la sua fama di inflessibilità). Qui impiegò metodi al quanto sbrigativi, arrivando perfino a prendere in ostaggio donne e bambini per raggiungere il suo scopo; a tale riguardo scrive lo storico Christopher Duggan nel suo "Prefetto di ferro": "I metodi brutali di Mori crearono malcontento nella popolazione, che spesso fu tentata a schierarsi dalla parte dei mafiosi, di fronte a forze di polizia che apparivano quasi come invasori stranieri, senza rispetto delle più elementari regole di legalità" [...]"Ironicamente, l'operato di Mori potrebbe aver rafforzato proprio quella diffidenza nei confronti dello Stato che, come il governo, era stato così desideroso di vincere" [...] "Mori era amico dei latifondisti. [...] Dal 1927 gli agrari erano di nuovo al potere, e la Sicilia ne pagò a caro prezzo la riabilitazione; e gli anni Trenta furono caratterizzati da abbandono e declino"[1].

Cesare Mori però si concentrò soprattutto sui mafiosi di piccolo calibro e ciò è evidenziato persino in un sito web dedicato a Mussolini: "In effetti il fascismo, dopo la grande retata di "pesci piccoli" realizzata da Cesare Mori, viene a patti con l'"alta mafia", nel 1929 richiama a Roma il "Prefetto di Ferro" (verrà nominato senatore) e, in un certo senso, "restituisce" la Sicilia ai capi mafiosi ormai fascistizzati. Infatti, i condoni e le amnistie, subito concesse dal governo dopo il richiamo di Mori, hanno favorito molti pezzi da novanta che, appena tornati in libertà, si sono subito schierati fra i sostenitori del regime anche se, dopo il 1943, gabelleranno i pochi anni di carcere o di confino come prova del loro antifascismo."[2] [I fascisti di codesto sito ammettono con poche righe sia l'inefficienza dell'azione di Mori che la collusione mafia-fascismo. In seguito i rapporti tra mafia e neofascisti si incrinarono, soprattutto dopo il tentato golpe dei Junio Valerio Borghese, e la mafia privilegiò le alleanze con la DC di Giulio Andreotti. E' a questo che si deve forse l'acredine dei neofascisti contro la mafia, anche se vi è altresì da dire che il suddetto sito web in seguito si è dissociato dalle critiche a Mori, addebitando lo scritto all'azione di un qualche anonimo (N.d.R)].

Quando nel 1929 Mori fu rimosso dal suo incarico (fu insignito del titolo di senatore del Regno) il regime fascista "... si preoccupò di diffondere l’idea che la Mafia, ormai, non fosse più un problema, ma essa “era tutt’altro che morta e si era anzi nuovamente istituzionalizzata” (da Mafia e fascismo, Davide Caracciolo, InStoria, GB EditoriA 2008)"[3].

L'efficacia della lotta alla mafia, prima e dopo Cesare Mori, furono quindi condizionati dai rapporti mafia e fascismo, secondo cui spesso il regime si servì della "caccia al mafioso" come strumento repressivo atto a giustificare gli attacchi agli antifascisti (es. assassinio dell'anarchico Carlo Tresca) e\o ai fascisti non in linea con il PNF (caso Alfredo Cucco). Non a caso, dopo la rimozione di Mori, i più importanti mafiosi, collusi col fascismo, subirono pene lievi ed amnistie varie, che li consentì di ritornare ad operare sotto la copertura dei gerarchi fascisti siciliani o persino di divenire gerarchi loro stessi. La mafia era rientrata, come accade anche attualmente, in rapporto simbiotico con i poteri dello Stato.

Considerazioni sull'attività di Cesare Mori[modifica]

Definire quale fu l'operato nella realtà dei fatti del prefetto Cesare Mori non è cosa semplice; si può dire, in linea di massima, che fu congruente allo sviluppo del regime che, se da una parte era impossibilitato a prendere il potere della mafia, dall'altra doveva vincolare la mafia ad un certo "ordine di regime" in modo che la facciata fosse salva e Mori, forse anche in gran parte incolpevole, fosse lo strumento di Mussolini per arrivare a tale obiettivo[4] [5].

Si evince quindi, che è necessario ridimensionare le tesi dello scontro irriducibile fra mafia e fascismo, peraltro evidenziate da questi scritti e testimonianze sull'operato di Cesare Mori [notare anche le diverse opinioni riguardo al suo operato, N.d.R]:

"Il fascismo oramai aveva il pieno appoggio della classe dominante siciliana, quella della grande proprietà terriera, soprattutto da quando furono abolite le norme di legge che limitavano il diritto dei proprietari terrieri ad elevare i canoni di affitto e a liberarsi dei mezzadri. In tale situazione la mafia non aveva motivo di esistere, visto che le contese tra latifondisti e contadini venivano regolate dallo stato fascista [...] Ma ciò che Mori colpì non fu altro che la bassa mafia, come lui stesso raccontò nelle sue memorie, semplici esecutori di ordini che potevano essere briganti, gabellotti e campieri. Ciò a cui egli mirava era l'alta mafia che allignava nelle città attorno ai centri del potere, ove era stretto il legame tra mafia e politica [...] Invece la realtà era che la mafia non era affatto morta, si era nuovamente istituzionalizzata. Se tanti briganti e piccoli delinquenti erano stati rinchiusi nelle carceri o mandati al confino, gli esponenti dell'alta mafia, se non emigrarono in America, aderirono in blocco al fascismo, sicuri di poter proseguire nei loro affari e nei loro traffici una volta che la Sicilia era stata liberata dall'incubo Mori". (Mafia e Fascismo, L'operazione incompiuta del prefetto Moridi Davide Caracciolo)

Il giudizio su Mori espresso sul sito dei Carabinieri, a cura di Alessandro Politi [6], è in linea con quello di altri (per esempio con quello dello storico Christopher Duggan), sottolineando l'effetto che ebbe la fascistizzazione di molti e importanti capi mafiosi ".....La stessa politica della repressione poliziesca, per quanto efficiente, non aveva spostato di una virgola le condizioni sociali in cui stagnava la Sicilia ed alla fine il regime si accontentò del successo di facciata"[7]. Tesi peraltro confermata dai dati della Commissione parlamentare Antimafia, che danno l'idea di cosa significò questo nuovo ordine sociale in Sicilia: dal 1928 al 1935 le paghe agricole, secondo le statistiche ufficiali, diminuirono del 28%.

Giovanni Raffaele, studioso della storia di Sicilia e autore de L'ambigua tessitura. Mafia e fascismo nella Sicilia degli anni Venti, ben riassume l'azione di Mori [8]: "La conclusione è che nella zona presa di mira da Mori non vi fosse mafia in senso stretto, proprio perché i meccanismi dell'accumulazione, del consenso e del controllo politico seguivano altri canali consolidati, che della mafia - intesa come organizzazione specifica e gerarchicamente strutturata - potevano fare a meno. Dalla ricerca emergono però anche la complicità del fascismo col sistema di mafia e, per certe zone, la forza intatta di un'élite che, per il controllo sociale, di mafia non aveva bisogno."

"Fece infatti piazza pulita di briganti, ma quando si trattò di mettere in galera la gente di rispetto ammanigliata con Roma fu licenziato in tronco. Finì senatore, con velleità letterarie inappagate e un libro di ricordi, "Con la mafia ai ferri corti", che dette qualche grana a Mondadori. Mussolini gli scrisse garantendogli che i suoi quattro anni di Sicilia sarebbero rimasti «scolpiti nella storia della rigenerazione morale, politica e sociale dell'isola nobilissima», ma a quanto risulta la mafia riprese indisturbata il suo cammino. Lo scalpello era moscio.".

Arrigo Petacco, nel suo libro Il Prefetto di Ferro, accusa il fascismo di essersi occupato solo dei "pesci piccoli", riportando in Sicilia i capi mafiosi fascistizzati, liberati o non arrestati grazie a leggi scritte ed utilizzate ad hoc [9]: Ora in Sicilia si ammazza e si ruba allegramente come prima. Quasi tutti i capi mafia sono tornati a casa per condono dal confino e dalle galere....

In un articolo pubblicato su il Corriere della Sera, Giovanna Grazzini sostenne la tesi della "buona fede" di Cesare Mori, poi rimosso dall'incarico per via della sua intransigenza[10]: "La sua azione energica permise di distruggere quasi interamente la struttura di base della malavita organizzata siciliana e offrì a Mussolini un argomento per la sua propaganda. Ma quando Mori iniziò a diventare troppo famoso e soprattutto a indagare troppo in alto, venne messo da parte, e le tracce del suo lavoro accuratamente eliminate"[11].

Cesare Mori e il caso Alfredo Cucco[modifica]

Cesari Mori non si pose alcun problema, col consenso di Benito Mussolini, di andare a colpire il fascista siciliano maggiormente in vista, Alfredo Cucco, che probabilmente in questa fase non era integrabile nella linea del PNF in Sicilia, il che giustificava il desiderio di Mussolini di allontanare dal partito (non fu risparmiato neppure l'ex ministro della Guerra, il potente generale Antonino Di Giorgio), seppur temporaneamente, individui che potevano ostacolare l'ascesa del fascismo nell'isola (Cucco era mal visto dagli agrari, molti dei quali erano mafiosi, quindi Mussolini auspicò l'allontanamento di quest'individuo allo scopo di non alienarsi la simpatia dei latifondisti).

Nel 1927 Cucco venne espulso dal PNF "per indegnità morale" e accusato, grazie alle indagini di Cesari Mori, di essere colluso con la mafia. Dopo essere stato assolto quattro anni dopo, Cucco rientrò nell'isola e riprese l'attività politica, quando, grazie anche alla sua assenza, l'insediamento nel PNF siciliano dei latifondisti dell'Isola, collusi con la mafia o essi stessi mafiosi, era oramai completato.

La personalità di Cucco è così descritta da Leonardo Sciascia: "figura del fascismo isolano, di linea radical-borghese e progressista, per come Christopher Duggan e Denis Mack Smith lo definiscono, che da questo libro ottiene, credo giustamente, quella rivalutazione che vanamente sperò di ottenere dal fascismo, che soltanto durante la repubblica di Salò lo riprese e promosse nei suoi ranghi"[12].

Nel libro Le mafie, lo storico Paolo Pezzino ipotizza che l'esautorazione di Cucco fu un particolare caso politico in quanto fascista avverso agli agrari. Infatti, Alfredo Cucco rientrò nel partito solo nel 1937; nel 1938 e fu tra i firmatari del Manifesto della razza, nell'aprile del 1943 Mussolini lo nominò vice segretario nazionale del PNF, quindi aderì alla Repubblica Sociale Italiana dove divenne Sottosegretario alla Cultura popolare. Alla fine della guerra, nonostante tali precedenti, sarà prosciolto "stranamente" da ogni accusa e diverrà un notabile del neonato MSI.

Considerazioni sul caso Tresca[modifica]

Emblematico del rapporto mafia- fascismo (che poi si intersecherà con l'intervento dei servizi segreti americani nel periodo pre, durante e post seconda guerra mondiale) è stato anche la protezione data dal regime nel 1935 a Vito Genovese, che si sdebiterà con la costruzione della "Casa del fascio" di Nola e l'assassinio dell'anarchico Carlo Tresca[13], personaggio scomodo che denunciava pubblicamente i falsi antifascisti. L'uccisione di Tresca permise quindi di porre un velo oscuro sugli ex-fascisti che cercavano di sbarazzarsi del loro scomodo passato e di ricilarsi come antifascisti (Emblematico il caso di Generoso Pope, precedentemente sostenitore di Mussolini e poi antifascista dell'ultim'ora entrato a far parte della Mazzini Society attiva in America). Questa vicenda è riconducibile alla lotta intestina nella "Mazzini Society" (Stati Uniti) riguardo all'ammissione di alcuni italiani, trasferitisi negli USA ma con un passato di sostegno al fascismo, nei comitati di Fronte Unito Antifascista (costituito nel 1943). Nel periodo dell'assassinio di Carlo Tresca, Vito Genovese si trovava in Italia e la ricostruzione delle sue responsabilità è stata più che comprovata. Genovese fu probabilmente il mandante dell'omicidio di Tresca, mentre l'esecutore materiale fu Carmine Galante [14], poi affiliato alla famiglia di Joseph Bonanno [15]. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia, Vito Genovese, uno dei personaggi chiave anzi citati, avrà un enorme potere in Sicilia anche nel periodo post bellico dimostrando una costante, duratura e ascendente importanza [16].

Considerazioni sul caso Vito Cascio Ferro[modifica]

Per inquadrare il caso di Vito Cascio Ferro è necessario ricordare la figura del "superpoliziotto" italo-americano Joe Petrosino [17], inizialmente informatore della polizia, soprannominato «’u spione», poi "super poliziotto" protetto da Theodore Roosvelt, allora assessore alla polizia [18]. Petrosino fu impiegato in numerose operazioni contro la criminalità, ma anche contro i rivoluzionari. Tra questi "Petrosino odiava gli anarchici, li considerava delinquenti o pazzi da portare in manicomio"[18].

Secondo quanto riportano molti storici, Petrosino fu assassinato dal boss Vito Cascio Ferro, che in gioventù era stato anarchico, attivista delle "occupazione delle terre" del 1892, rifugiatosi poi in Tunisia per sfuggire alla repressione ordinata dal Ministro degli Interni Francesco Crispi. Emigrato negli USA, fu accolto a Patterson (città in cui risiedeva Gaetano Bresci e molti altri anarchici) come un compagno; in seguito divenne un capo-mafioso e l'esecutore materiale di Joe Petrosino. Si ipotizza che uno dei motivi che lo portò ad assassinare Petrosino fu il sospetto che il "superpoliziotto" avesse torturato in carcere Sophie Knieland, moglie dell'anarchico Gaetano Bresci, in modo da estorcerle qualche informazione su presunti rapporti tra la mafia americana e gli anarchici, peraltro mai dimostrati in alcun modo.

Non si sa bene perché Vito Cascio Ferro abbia voluto vendicare Sophie Knieland, è certo che gli fu trovato in tasca un biglietto della moglie di Gaetano Bresci, anche si ignora il contenuto; resta comunque certo che don Vito aveva molto probabilmente mantenuto amicizie fra gli anarchici di Patterson.

Vito Cascio Ferro fu arrestato da Cesare Mori nel 1927 e condannato all'ergastolo. Detenuto in carcere, morì nel 1943 di fame e sete, dimenticato dai carcerieri che avevano fatto evacuare tutti i detenuti dela prigione che era stata appena bombardata [Vito Genovese, ben più importante dell'anziano e fuori tempo mafioso don Vito Ferro, fu invece protetto dal fascismo, N.d.R], scordandosi però di portar via Vito Cascio Ferro.

E' quindi quantomeno curioso che uno dei pochi mafiosi di grande importanza ad essere catturato durante l'epoca fascista fu don Vito Cascio Ferro, "amico degli anarchici" e con un passato di anarchico, lasciato poi anche morire "per sbaglio".

Il lavoro dello storico Casarrubea dimostrerà che tutti questi episodi sono tra loro legati non affatto casualmente e sono stati troppo a lungo trascurati sia dalla "sinistra" italiana che da molti storici.

Dallo sbarco alleato in Sicilia all'immediato dopoguerra[modifica]

Il capomafia Vito Genovese, in divisa regolare da ufficiale americano, con accanto Salvatore Giuliano, il futuro responsabile della strage di Portella della Ginestra

Il rapporto che la mafia ebbe col fascismo fu quella tipica delle organizzazioni senza ideali, se non quelli "affaristici", che la porta a seguire i propri interessi e a stringere alleanze "momentanee" col potere politico in atto in quel momento. Così, dopo lo sbarco degli alleati, Vito Genovese e Albert Anastasia diventarono stretti collaboratori di Charles Poletti, capo dell'amministrazione militare alleata in Sicilia (poi anche a Napoli e a Milano). A dimostrazione di questo è ben conosciuta una foto in cui Genovese è ritratto (vedi immagine), con la divisa dell'esercito americano in compagnia di Salvatore Giuliano[19].

Giuliano godeva della protezione di Genovese quando questi passò con gli statunitensi ma, dai documenti desecretati dall'OSS, risulta che fu appoggiato sia da fascisti che dagli agenti segreti americani. Secondo quanto riportato dallo storico Giuseppe Casarrubea, risulterebbero alte probabilità che il bandito Giuliano sia addirittura stato un fascista della X MAS. È ancora da rimarcare che i capi mafiosi riciclati dagli americani assolvettero compiti polizieschi, ovvero quelli di eliminare i gruppi criminosi che lavoravano in modo autonomo, cosa che peraltro fecero con zelo. Di questa situazione di cambio di campo, o quantomeno di riciclaggio dei mafiosi amici o meno del fascismo, uno dei principali registi fu Lucky Luciano: "Lucky Luciano, il noto boss rinchiuso nelle carceri americane, passò i nomi di 850 persone su cui “contare" e gli ufficiali dell'OSS, che dirigeranno sul campo "l'operazione sbarco", saranno Max Corvo, Victor Anfuso e Vincent Scamporino[20]. Il loro gruppo sarà conosciuto come il "cerchio della mafia". Tra gli americani, in divisa dell'esercito, c'erano Albert Anastasia (ucciso nel dopoguerra in un negozio di barbiere) e don Vito Genovese, (il don Vito Corleone del film "Il padrino"), stretti collaboratori di Charles_Poletti. Scrivono Roberto Faenza e Marco Fini “Gli americani in Italia”: "È così che quando nel 1943 gli americani sbarcheranno in Sicilia, la prima azione dell'OSS sarà [...] restituire la libertà ai mafiosi imprigionati dal regime fascista".[21]"

Sempre dalla stessa fonte viene precisato gli scopi delle inchieste USA sulla criminalità organizzata italianaerano tutt'altri che quelli di cacciare dei criminali:

"Quando, nel 1951, la Commissione americana si occupò degli italiani è evidente che ne approfittò per liberarsi di alcune componenti anarchiche. Perché allora la componente anarchica era molto presente tra gli italiani negli Stati Uniti: penso a gente come Nicola Sacco , Bartolomeo Vanzetti e Carlo Tresca [22]"

In un'intervista al regista Pasquale Scimeca, questi afferma: "I mafiosi che erano sfuggiti alla repressione del Prefetto Mori, emigrando in America, avevano fatto fortuna, esercitavano una rispettabile influenza e disponevano di non poche entrature in vari ambienti come quelli militari, dove prestavano il loro ausilio come interpreti, o strani accompagnatori. Alcuni di loro furono addirittura arruolati direttamente nei servizi segreti della Marina Americana. Illustrissimi, del calibro di Joe Profacy, Vincent Mangano, Nick Gentile, Vito Genovese e l'immancabile Lucky Luciano, si resero disponibili ad offrire la loro preziosa consulenza sfruttando gli antichi legami mai interrotti con la terra natia. Per portarsi avanti, nel contempo, L’OSS (Office Strategic Service) mandò Max Corvo e Vincent Scamporino, il capo del settore italiano del secret intelligence, a Favignana dove erano rinchiusi i mafiosi “perseguitati” dal Prefetto di ferro e li fece liberare [23] "

Cosi' scrive Giorgio Bongiovanni direttore di Antimafia 2000: "Dopo lo sbarco il loro primo incarico fu quello di mettere ordine, chi poteva farlo meglio di coloro che avevano sempre avuto un controllo serrato del territorio? In pochissimo tempo i padrini ripresero il comando e eliminarono con accanita sistematicità le decine di bande che infestavano l’isola, tutte tranne una: quella di Salvatore Giuliano, ricondotta sotto l’egida della famiglia di Montelepre, che controllava da giusta distanza la mitica azione rivoluzionaria del bandito. In men che non si dica venne a crearsi in Sicilia una catena di persone e personaggi, in numero sempre crescente, disposti a mettersi dalla parte dei vincitori. I capimafia di fatto si sentirono nobilitati e vennero elevati al grado di “liberatori”. Ma la vera legittimazione venne con l’assegnazione dei comuni ai vecchi boss che si ritrovarono di nuovo padroni dei loro feudi e con la fascia tricolore posta di traverso sul petto: Don Calò (Calogero Vizzini) divenne sindaco di Villalba, Salvatore Malta di Vallelunga, Genco Russo (Giuseppe Genco Russo) sovrintendente agli Affari Civili di Mussomeli e altri rivestirono incarichi ufficiali in diversi ambiti[24] "

Tutto ciò si collocò nell'ambito di rivolte sociali messe in atto dagli strati meno abbienti della popolazione siciliana, che portarono ad un gran numero di caduti in piazza. I morti fra i manifestanti furono circa 80, a fronte di due appartenenti agli organi di polizia dello Stato (rapporto di circa 40 ad 1)[25].

Note[modifica]

  1. Si legga articolo da Il "prefetto di ferro"
  2. da il ilduce.net
  3. Lo stato italiano e la guerra civile contro la camorra
  4. Approfondimenti: Mafia e Fascismo L'operazione incompiuta del prefetto Mori, di Davide Caracciolo
  5. Il "prefetto di ferro"
  6. Analisi strategica
  7. Arma " [...] Le statistiche testimoniavano il crollo di reati come abigeati, rapine, estorsioni, omicidi, danneggiamenti ed incendi dolosi, ma i pezzi grossi restavano ancora in giro. E attuavano un disegno classico della mafia. Abbandonavano lo scontro frontale per scegliere la strada della connivenza, cercando di instaurare rapporti con i vertici del fascismo. Mori, alla fine, sarà promosso per essere rimosso quando i danni avrebbero potuto essere irreparabili per i mafiosi. La stessa politica della repressione poliziesca, per quanto efficiente, non aveva spostato di una virgola le condizioni sociali in cui stagnava la Sicilia ed alla fine il regime si accontentò del successo di facciata"
  8. Scheda libro
  9. Stralcio di una lettera di un avvocato siciliano indirizzato a Mori, tratta do Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro, 1975, Mondadori
  10. da articolo di Giovanni Grazzini, Il Corriere della Sera, 2 ottobre 1977
  11. da Recensione libro
  12. Scritto di Leonardo Sciascia
  13. Tutta la Verità sul caso Tresca, di Mauro Canali
  14. da Wikipedia inglese: Carmine Galante
  15. Leggere tutta la verità sul caso Tresca di Mauro Canali (l'autore e fra quelli accreditati dal SISDE per i suoi lavori che spesso ne riportano stralci sul sito)]
  16. Approfondimenti: Ipotesi sull'assassinio di Carlo Tresca
  17. da Wikipedia, articolo su Petrosino
  18. 18.0 18.1 da tesi su rapporti fra mafia e fascismo
  19. e lo stato.htm Il bandito Giuliano e lo stato
  20. "Ma Scamporino è anche il legale dei sindacati controllati da Cosa Nostra. In Sicilia, prima dello sbarco, le missioni degli agenti di Scamporino si avvalgono di una fitta rete di protezione mafiosa, che oltre a dare riparo e assistenza, fornisce loro ogni genere d’informazione di valore militare". Si legga anche: da Italia Sociale
  21. da "Corsa infinita" (sito dei bersaglieri)
  22. da Trombealvento
  23. da Una storia di stragi e misteri di Giorgio Bongiovanni
  24. da Una storia di stragi e misteri di Giorgio Bongiovanni direttore di Antimafia 2000
  25. Cronologia rivolte siciliane del secondo dopo guerra