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Una FAQ Anarchica - In che modo influisce la proprietà privata sulla libertà?

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Il libertario di destra non affronta o addirittura non riconosce il fatto che il diritto (assoluto) di proprietà privata possa portare a un considerevole controllo da parte del proprietario su coloro che usano ma non possiedono la proprietà (come i lavoratori e gli inquilini). Quindi un sistema capitalista di libero mercato porta a una protezione dei “diritti” e della “libertà” parecchio selettiva e classista. Ad esempio, sotto il capitalismo, la “libertà” dei datori di lavoro è inevitabilmente in conflitto con la “libertà” degli impiegati. Quando i possessori delle risorse o i loro manager esercitano la propria “libertà d’impresa” per decidere come opererà la loro compagnia, violano il diritto dei propri impiegati di decidere come saranno utilizzate le loro capacità lavorative. In altri termini, sotto il capitalismo i “diritti di proprietà” dei datori di lavoro entreranno in conflitto con e restringeranno il “diritto umano” degli impegati di gestire sè stessi. Il capitalismo consente solo a pochi il diritto dell’autogestione, non a tutti. O, alternativamente, a differenza dell’anarchismo, il capitalismo non riconosce certi diritti umani come universali.


Questo può essere visto dalla difesa del lavoro salariato da parte dell’economista austriaco Duncan Reekie. Riferendosi ai “mercati del lavoro intra-aziendale” come “organizzazioni gerarchiche”, Reekie (nel suo miglior tono ex cathedra) dichiara che “non c’è niente di autoritario, dittatoriale o di sfruttamento nella relazione. Gli impiegati ordinano ai datori di lavoro di pagare loro gli importi specificati nel contratto d’assunzione così come i datori di lavoro ordinano agli impiegati di conformarsi ai termini del contratto” [Markets, Entrepreneurs and Liberty, p. 136, p. 137]. Dato che “i termini del contratto” richiedono il consenso del lavoratore ad obbedire agli ordini dei datori di lavoro e che se non lo faranno saranno licenziati, è evidente che il meccanismo di ordini coinvolto nel “mercato del lavoro intra-aziendale” è decisamente a senso unico. I capi hanno il potere, i lavoratori sono pagati per obbedire. E questo fa nascere la domanda: se il contratto d’impiego crea un libero lavoratore, perchè egli deve abbandonare la sua libertà durante le ore di lavoro?


Reekie riconosce questa mancanza di libertà come un circolo vizioso quando nota che “gli impiegati di un’azienda a qualunque livello della gerarchia possono esercitare un ruolo imprenditoriale. L’area entro cui tale ruolo può essere esercitato aumenta con quanta più autorità l’impiegato possiede.” [Op. Cit., p. 142] Questo implica che i lavoratori sono soggetti a controlli dall’alto che restringono le attività che gli è permesso fare e quindi, nelle ore di lavoro, non sono liberi di agire, prendere decisioni, partecipare ai piani dell’organizzazione, creare il futuro e così via. Ed è strano che mentre riconosce l’azienda come un’organizzazione gerarchica, Reekie cerca di negare che sia autoritaria o dittatoriale, come se fosse possibile avere un’organizzazione gerarchica senza strutture autoritarie o una persona che abbia autorità, non eletta, che non sia un dittatore. La sua confusione è condivisa dal guru austriaco Ludwig von Mises, il quale sostiene che “l’imprenditore e il capitalista non sono autocrati irresponsabili” perchè sono “soggetti incondizionatamente alla sovranità del consumatore” mentre, nella pagina successiva, riconosce che c’è una “gerarchia manageriale” che contiene “l’impiegato subordinato medio.” [Human Action, p. 809 and p. 810] Non gli passa per la testa che il capitalista può essere soggetto a qualche controllo del consumatore e nel frattempo essere un autocrate verso i suoi impiegati subordinati. Ancora, i “libertari” di destra riconoscono che la struttura manageriale capitalista è gerarchica e che i lavoratori sono subordinati mentre negano che sia autocratica nei confronti dei lavoratori! Quindi si hanno lavoratori “liberi” dentro una relazione in cui è evidente che manca la libertà (nel senso di autogoverno): uno strano paradosso. Infatti, se la propria vita privata fosse così strettamente monitorata e regolata come la vita lavorativa di milioni di persone nel mondo, si parlerebbe giustamente di oppressione.


Forse Reekie (come molti libertari di destra) sosterrà che i lavoratori volontariamente sono d’accordo (“acconsentono”) a essere soggetti alla dittatura dei capi (egli scrive che “chiunque solo partecipasse all’accordo contrattuale noto come azienda, se ci credesse sarebbe in una posizione finanziaria migliore. L’azienda è semplicemente un altro esempio di scambio mutuamente benefico.” [Op. Cit., p. 137]). Questo comunque non impedisce alla relazione di essere autoritaria o dittatoriale (e quindi di sfruttamento essendo assolutamente poco plausibile che chi sia al vertice non abusi del proprio potere). E come si sostiene in seguito nella prossima sezione (e si vedano anche le sezioni B.4, F.3.1 ed F.10.2), in una società capitalista i lavoratori hanno la scelta di trovare un lavoro o affrontare l’abietta povertà e/o la fame.


Poca meraviglia quindi che le persone vendano “volontariamente” il proprio lavoro e “acconsentano” alle strutture autoritarie! Hanno poca scelta di fare altrimenti. Quindi, nel mercato del lavoro, i lavoratori possono cercare e lo fanno le condizioni di lavoro migliori possibili, ma questo non significa che il contratto finale accordato sia “liberamente” accettato e non dovuto alla forza delle circostanze, che entrambe le parti hanno uguale potere contrattuale quando si traccia il contratto o che viene assicurata la libertà di entrambe le parti. Il che significa che sostenere (come fanno molti libertari di destra) che la libertà non può essere ristretta dal lavoro salariato perchè le persone partecipano nelle relazioni che considerano li porteranno a migliorare la loro situazione iniziale, manca completamente il punto. Siccome la situazione iniziale non è considerata rilevante, le loro argomentazioni falliscono. Dopotutto, acconsentire a lavorare per 14 ore al giorno in uno “sweat shop” è un miglioramento rispetto al morire di fame, ma non significa che coloro che acconsentono a questo sono liberi quando lavorano lì o che davvero vorrebbero essere lì. Non lo sono e sono le circostanze, create e imposte dalla legge, che hanno fatto sì che essi “acconsentano” a tale regime (avendo scelta, desidererebbero cambiare quel regime ma non possono perchè violerebbero i diritti di proprietà dei loro capi e sarebbero repressi per averci provato).


Quindi il diritto dei “libertari” di destra è interessato solo a un concetto ristretto di libertà (piuttosto che alla libertà come tale). Questo può essere visto nell’argomentazione di Ayn Rand (una ideologa alla testa del capitalismo “libertario”) secondo la quale “Libertà, in un contesto politico, significa libertà dalla coercizione del governo. Non significa libertà dal padrone o libertà dal datore di lavoro o libertà dalle leggi naturali che non forniscono all’uomo una prosperità automatica. Significa libertà dal potere coercitivo dello Stato e nient’altro!” [Capitalism: The Unknown Ideal, p. 192] Sostenendo così, i libertari di destra ignorano l’elevato numero di relazioni sociali autoritarie che esistono nella società capitalista e, come fa qui Rand, suggeriscono che queste relazioni sociali sono come “le leggi naturali”. Comunque, guardando al mondo senza pregiudizi ma con un occhio alla massimizzazione della libertà, si vede che l’istituzione maggiormente coercitiva non è lo Stato ma le relazioni sociali capitaliste (come indicato nella sezione B.4).


Il “libertario” di destra, quindi, lungi dall’essere un difensore della libertà, è nei fatti un difensore ferrato di certe forme di autorità e dominio. Come nota Peter Kropotkin, l’”individualismo moderno iniziato da Herbert Spencer è, come la teoria critica di Proudhon, un’accusa potente contro i pericoli e i torti del governo, ma la sua soluzione pratica del problema sociale è misera, così misera come lasciarci chiedere se la discussione ‘Niente forza’ sia solamente una scusa per supportare il dominio del padrone e del capitalista.” [Act For Yourselves, p. 98]


Difendere la “libertà” dei proprietari è difendere l’autorità e il privilegio: in altri termini, lo statismo. Quindi, considerando il concetto di libertà come “libertà da” è chiaro che difendendo la proprietà privata (come opposto al possesso) l’”anarco”capitalista difende il potere e l’autorità dei proprietari di governare coloro che usano la “loro” proprietà. E anche, va notato, difendendo tutte le tirannie meschine che rendono frustranti, stressanti e non gratificanti le vite lavorative di così tanta gente


Comunque, per definizione l’anarchismo è a favore delle organizzazione e delle relazioni sociali che sono non gerarchiche e non autoritarie. Altrimenti, alcune persone sarebbero più libere di altre. Non attaccare l’organizzazione gerarchica porta alla massima contraddizione. Ad esempio, poichè la British Army un’organizzazione volontaria, allora è un’organizzazione “anarchica”! (si veda la prossima sezione per una discussione sul perchè il concetto “anarco”capitalista di libertà permette anche allo Stato di apparire “libertario”).


In altre parole, i “pieni diritti di proprietà capitalisti” non proteggono la libertà, infatti la negano attivamente. Ma questa mancanza di libertà è completamente inevitabile se si attaccano i diritti di proprietà capitalisti. Se si rifiutano, è possibile provare a creare un mondo basato sulla libertà in tutti gli aspetti della vita, piuttosto che solo in pochi. Categoria:Una FAQ Anarchica