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In una parola, no. Mentre gli “anarco”capitalisti ovviamente cercano di associarsi alla tradizione anarchica usando la parola “anarco”, le loro idee sono distintamente in conflitto con quelle associate con l’anarchismo. Per questo, ogni pretesa riguardo al fatto che le loro idee siano anarchiche o che siano parte della tradizione o del movimento anarchico è falsa.
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Gli “anarco”capitalisti pretendono di essere anarchici perchè dicono di opporsi al governo. In ciò, come riportato nella sezione precedente, usano la definizione di anarchismo del dizionario. Questo fatto, comunque, manca di apprezzare che l’anarchismo è una teoria politica, non una definizione del vocabolario. I dizionari raramente sono politicamente sofisticati, ciò implica che mancano di riconoscere che l’anarchismo è più dell’esclusiva opposizione al governo ma che è anche indicato come opposizione al capitalismo (sfruttamento e proprietà privata). Così, l’essere in opposizione al governo è condizione necessaria ma non sufficiente per essere anarchic*: è necessario anche essere contrari allo sfruttamento e alla proprietà privata capitalista. Siccome gli “anarco”capitalisti non considerano essere sfruttamento l’interesse, l’affitto e i profitti (ovvero il capitalismo) e nemmeno si oppongono ai diritti di proprietà capitalisti, non sono anarchici.
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Quindi, in cosa gli “anarco”capitalisti differiscono dagli anarchici? Ci sono tre questioni principali.
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Primo, a differenza sia degli/le anarchic* Individualist* che Sociali, gli “anarco”capitalisti sostengono il capitalismo (un tipo di capitalismo di “puro” libero mercato). Ciò significa che rifiutano completamente le idee riguardo il concetto di proprietà e le analisi economiche delle/gli anarchic*. Ad esempio, come tutti i sostenitori del capitalismo, considerano affitto, profitto e interesse come redditi validi. Al contrario, tutti/e gli/le anarchic* li considerano come sfruttamento e concordano con l’Anarchico Individualista Tucker quando sosteneva che “solo chiunque contribuisca alla produzione ha il diritto a essa. Che cosa non ha diritti che chi che è costretto a rispettare. Cosa è una cosa. Chi è una persona. Le cose non hanno pretese, esistono solo per essere rivendicate. Il possesso di un diritto non può essere predicato da materia morta, ma solo da una persona viva”. [citato da Wm. Gary Kline, The Individualist Anarchists, p.73] (E questa, dobbiamo puntualizzare, è la critica fondamentale alla teoria capitalista riguardo il fatto che il capitale è produttivo. In sè e di per sè, i costi fissi non creano valore. Piuttosto la creazione del valore dipende da come gli investimenti sono sviluppati e usati una volta in gioco. A causa di questo, a differenza degli “anarco”capitalisti, gli/le Anarchic* Individualist* consideravano il reddito derivato non da lavoro, come usura).
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Analogamente, le/gli anarchic* rifiutano il concetto capitalista di diritti di proprietà a favore del possesso (incluso il frutto del proprio lavoro). Per esempio, gli/le anarchic* rifiutano il concetto di possesso privato di terra a favore di un regime di “occupazione e uso”. In questo, seguendo What is Property? di Proudhon noi sosteniamo che “la proprietà è furto”.
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Essendo parte essenziale delle politiche anarchiche, queste idee non posso essere rimosse senza danneggiare seriamente il resto della teoria. Questo può essere visto dai commenti di Tucker: “La libertà insiste. . . sull’abolizione dello Stato e l’abolizione dell’usura, su non più governo dell’uomo sull’uomo, e non più sfruttamento dell’uomo sull’uomo”. [citato da Eunice Schuster in Native American Anarchism, p.140]. Lui indica che l’anarchismo ha idee economiche e politiche specifiche, che si oppone al capitalismo così come allo Stato. Perciò l’anarchismo non è mai stato un concetto puramente “politico”, ma ha sempre unito l’opposizione all’oppressione con quella allo sfruttamento. Gli/le anarchic* sociali fanno esattamente la stessa osservazione. Il che significa che quando Tucker sosteneva che “La libertà insiste sul Socialismo. . . – vero Socialismo, Socialismo Anarchico: la prevalenza sulla terra di Libertà, Uguaglianza, e Solidarietà” [Instead of a Book, p.363] sapeva esattamente cosa stava dicendo ed era fermanente convinto di cosa significasse.
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Questa combinazione di politica ed economia è essenziale, in quanto esse si rafforzano mutuamente l’una con l’altra. Senza quelle economiche, le idee politiche sarebbero senza significato poichè il risultato sarebbe una rappresentazione completamente inadeguata. Come nota Kline, “le proposte [degli/le Anachic* Individualist*] erano progettate per stabilire la vera uguaglianza dell’opportunità. . . e si aspettavano che ciò risultasse in una società senza grande ricchezza o povertà. In assenza di fattori monopolistici che distorcano la competizione, si aspettavano una società costituita in gran parte di lavoratori in proprio senza significativa disparità di ricchezza tra di loro, essendo a tutti richiesto di vivere a proprie spese e non alle spese dei propri simili sfruttati”. [Op. Cit., pp.103-4]
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Rimuovendo l’impegno fondamentale di abolire il reddito non proveniente da lavoro, ogni società capitalista “anarchica” avrebbe enormi differenze in ricchezza e quindi in povertà. Al posto dei monopolii di terra, denaro ecc. imposti dal governo, il potere economico derivante dalla proprietà e dal capitale privati assicurerebbe alla maggioranza di rimanere (per usare le parole di Spooner) “in condizione di servi” (vedi sezioni F.2 e F.3.1 per un approfondimento). Le/gli Anarchic* Individualist* erano coscienti di questo pericolo e quindi sostenevano le idee economiche che si opponevano all’usura (affitto, profitto e interesse) e assicuravano alla lavoratrice il pieno valore del proprio lavoro. Mentre non tutti tra loro chiamavano queste idee “socialiste” è chiaro che queste idee sono di natura e di intenzione socialista (allo stesso modo, non tutti gli/le Anarchic* Individualist* si dicevano anarchic* ma le loro idee erano chiaramente di natura e di intenzione anarchica).
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Siccome gli “anarco”capitalisti abbracciano il capitalismo e rigettano il socialismo, non possono essere considerati anarchici o parte della tradizione anarchica.
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Il che ci porta giusto al secondo punto, cioè la mancanza di considerazione per l’uguaglianza. In netto contrasto con le/gli anarchic* di tutte le scuole, per gli “anarco”capitalisti la disuguaglianza non è considerata essere un problema (vedi sezione F.3). Comunque, è ovvio che non tutti i “commercianti” sono soggetti al mercato alla stessa maniera (hanno lo stesso potere di mercato). In molti casi, certuni hanno un sufficiente controllo delle risorse da potere influenzare o determinare il prezzo e, in tali casi, tutti gli altri devono sottostare a quei termini o non comprano il prodotto. Quando il prodotto è manodopera, manca anche questa possibilità: I lavoratori devono accettare un lavoro per poter vivere. Come discusso alla sezione F.10.2, i lavoratori sono in condizioni di svantaggio sul mercato, rispetto ai capitalisti e questo li costringe a vendere la propria libertà in cambio della produzione di profitti per altri. Tali profitti incrementano la disuguaglianza nella società poichè i proprietari ricevono il surplus di valore che i loro lavoratori producono. Questo aumenta a sua volta la disuguaglianza, consolidando il potere del mercato e così indebolisce ulteriormente la posizione contrattuale dei lavoratori, assicurando che anche la competizione più libera possibile non sia in grado di eliminare il potere e la società classista (qualcosa che B.Tucker riconosceva come accadere con l’aumento di fiducia nel capitalismo – vedi sezione G.4). Poca sorpresa che Proudhon sostenesse che la legge della domanda e offerta era una “legge ingannevole. . . utile solo per assicurare la vittoria del forte sul debole, di coloro che hanno proprietà su coloro che non hanno nulla” [citato da Alan Ritter, The Political Thought of Pierre-Joseph Proudhon, p.121]
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Il lavoro salariato è un aspetto chiave della creazione, mantenimento e incremento della disuguaglianza (così com’è anche sorgente di dominio e subordinazione, ovvero mancanza di libertà). È inutile dire che le disuguaglianze di potere e ricchezza non sono ristrette solo ai luoghi di lavoro e anche il danno che l’organizzazione gerarchica provoca agli individui e alla loro libertà non è limitato solo all’orario di lavoro. Entrambe le cose hanno un impatto profondo sul resto della società, espandendosi in tutte le aree della vita e restringendo la libertà ovunque (vedi sezione F.3 per un’ulteriore discussione su questo argomento). Non è possibile isolare un aspetto della vita (il lavoro) e credere che in qualche modo non influenzerà tutti gli altri. Ad ogni modo, l’”anarco”capitalista sembra credere che ciò sia possibile.
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Così le/gli anarchici rilevano che il “libero scambio” in circostanze diseguali incrementerà la disuguaglianza tra individui e classi, non la ridurrà (e tale disuguaglianza produrrà relazioni sociali basate sull’organizzazione gerarchica e sul dominio, non sulla libertà). Come esprime Noam Chomsky:
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    “L’anarcocapitalismo, secondo me, è un sistema dottrinale che, se mai implementato, porterebbe a forme di tirannia e oppressione che hanno pochi        uguali nella storia dell’umanità. Non c’è la minima possibilità che le sue idee (a parer mio orrende) possano essere implementate, perchè                            distruggerebbero rapidamente ogni società che avesse fatto questo errore colossale. L’idea di “libero contratto” tra il potente e i suoi soggetti affamati    è una triste battuta, forse utile in un seminario accademico per esplorare le conseguenze di idee (per me, assurde), ma non in altri luoghi”. [Noam            Chomsky on Anarchism, intervista con Tom Lane, December 23, 1996]
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A causa degli effetti malefici provocati dalla disuguaglianza sulla libertà, sia gli/le anarchic* sociali che individualist* desiderano creare un ambiente in cui le circostanze non portino la gente a vendere la propria libertà agli altri in cambio di salari. In altre parole, desiderano una depurazione del potere del mercato da interesse, affitto e profitto contrapposti e dalle definizioni capitaliste del concetto di proprietà privata. Kline riassume questo dicendo “le/gli anarchic* [individualist*] american* smascherarono la tensione esistente nel pensiero liberale tra il concetto di proprietà privata e l’ideale dell’accesso egualitario. Gl/lei Anarchic* Individual* erano almeno coscienti del fatto che le condizioni esistenti fossero lontane dall’ideale, che il sistema stesso lavorando contro la maggioranza degli individui si sforza per arrivare ai propri impegni. La mancanza di capitale, di mezzi di creazione e accumulazione della ricchezza, di solito destinano un lavoratore a una vita di sfruttamento. Questo le/gli anarchic* lo sapevano e aborrivano tale sistema”. [Op. Cit., p.102]
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E questo desiderio di contrattare l’uguaglianza si riflette nelle loro idee economiche; inoltre l’”anarco”capitalismo, rimuovendo tali idee economiche fondamentali degli/le anarchic* individualist*, dà una rappresentazione completamente inadeguata di ogni idea di cui si è appropriato. Essenzialmente, le/gli Anarchic* Individualist* erano d’accordo con Rousseau sul fatto che per impedire l’estrema disuguaglianza delle fortune in primo luogo si priva la gente dei mezzi per accumulare e non si porta via ricchezza ai ricchi. Un punto importante che l’”anarco”capitalismo manca di capire o apprezzare.
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In più, bisogna notare che tali disuguaglianze di potere e ricchezza avranno bisogno di “difendersi” da coloro ad esse soggetti (gli “anarco”capitalisti rilevano la necessità per la polizia e le corti private di difendere la proprietà dal furto – e, aggiungono le/gli anarchic*, di difendere il furto e il dispotismo associati alla proprietà!). A causa del proprio sostenere il concetto di proprietà privata (e quindi l’autorità), l’”anarco”capitalismo finisce con l’avere uno Stato nella sua “anarchia”, cioè uno Stato privato la cui esistenza i suoi stessi proponenti tentano di negare semplicemente rifiutandosi di chiamarlo Stato, come uno struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia. (si veda la sezione F.6 per approfondimenti su questo concetto e sul perchè l’”anarco”capitalismo è più propriamente descritto come capitalismo dello “Stato privato”.
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Per gli/le anarchici, questa necessità del capitalismo per qualche tipo di Stato non è una sorpresa perchè:
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“L’anarchia senza socialismo ci sembra ugualmente impossibile [come il socialismo senza l’anarchia], poichè in tal caso non potrebbe essere altro che    dominio del più forte, e pertanto metterebbe subito in moto l’organizzazione e il consolidamento di questo dominio; cioè la costituzione del governo”
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[Errico Malatesta, Life and Ideas, p.148]
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A causa di questo, cioè il rifiuto ”anarco”capitalista delle idee anarchiche riguardo gli aspetti economici della proprietà capitalista e la necessità dell’uguaglianza, essi non possono essere considerati anarchici o parte della tradizione anarchica.
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Terzo, a differenza delle/gli anarchic*, gli “anarco”capitalisti considerano come libera e senza sfruttamento, una società di lavoro salariato generalizzato – ma a tale concezione di società gli/le anarchic* si oppongono. Come tutti i socialisti, le/gli anarchic* desiderano vedere i lavoratori riuniti coi mezzi di produzione e quindi la fine dello sfruttamento dei lavoratori da parte dei capitalisti e dei padroni. In altre parole, quando le/gli Anarchic* Individuali si dicevano “socialist*” intendevano giusto questo! (vedi sezione G per ulteriori dettagli).
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Guardando al lavoro dell’anarchico individualista Lysander Spooner, si deduce che egli considerava il capitalismo risultare in lavoratori che diventano “meri attrezzi e macchine nelle mani dei loro datori di lavoro” e in lavoro “solo per il vantaggio dei loro datori di lavoro” [A Letter to Grover Cleveland, p.50]. Lui considerava il Monopolio di Denaro (una combinazione di moneta prodotta spicciola e una tassa del 10% su banche non registrate) come “il grande ostacolo alla liberazione della classe dei lavoratori di tutto il mondo”, un monopolio creato da “i datori di lavoro salariato” per assicurare la necessità “costretti essi [il grande corpo dei produttori di ricchezza]. . . – dall’alternativa della fame – a vendere il loro lavoro ai monopolisti di denaro”. [Op. Cit., p.49, p.48, p.20]
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Tale analisi è essenzialmente di natura socialista, riconoscendo che i mercati apparentemente “liberi” creano le condizioni che portano la classe dei lavoratori a vendere la propria libertà sul mercato. Analogamente, anche la sua visione di libera società è socialista, senza più lavoro salariato. Con la fine dei monopolii di denaro (e di terra), egli considerava che “con poche o alcune eccezioni” i lavoratori cesserebbero di essere schiavi salariati e diventerebbero lavoratori in proprio. In netto contrasto riguardo il lavoro salariato, lui considerava che il lavoro libero coinvolge il lavoratore “applicando sia la sua. . . testa che le sue mani” [Op. Cit., p.48, p.50]. Così Spooner riconosceva che sotto il lavoro salariato c’è una divisione del lavoro con poco uso della testa (dare ordini) e molto uso delle mani (eseguire gli ordini).
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“Perpetrato come se essi fossero in condizioni paritarie nella vendità della proprietà”, sostiene Kline, “l’obiettivo per gli anarchici divenne la costruzione di una società che fornisca accesso egualitario a quelle cose necessarie per la creazione di ricchezza. L’obiettivo delle/gli anarchic* che lodavano il mutualismo e l’abolizione di tutti i monopolii era, dunque, una società dove chiunque lavori volentieri abbia gli attrezzi e le materie prime necessarie per la produzione in un sistema senza sfruttamento. . . la visione dominante della società futura. . . [sarebbe] fortemente sostenuta da lavoratori in proprio, individuali”. [Op. Cit., p. 95]
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Gli “anarco”capitalisti assumono che il lavoro salariato generalizzato permanga sotto il loro sistema (sebbene siano favorevoli solo a parole alle possibilità di cooperative – e se un “anarco”capitalista pensa che la cooperativa diventerà la forma dominante di organizzazione del luogo di lavoro, allora è una specie di socialista del mercato, non un capitalista). È chiaro che il loro obiettivo finale (un capitalismo puro, ovvero lavoro salariato generalizzato) è direttamente l’opposto di quello che si auspicano gli/le anarchic*. Questo fu il caso delle/gli Anarchic* Individualist* che abbracciarono l’ideale di competizione lassista (non capitalista): lo fecero quindi, come detto, per mettere fine al lavoro salariato e all’usura, non per mantenerli (infatti, le loro analisi sul cambiamento nella società americana da una principalmente basata su produttori indipendenti a una basata sostanzialmente sul lavoro salariato hanno molti parallelismi con, tra tutti, quanto presentato da Karl Marx nel capitolo 33 del Capital).
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Gli “anarco”capitalisti, al contrario, credono che sia probabile che i luoghi di lavoro rimangano organizzati gerarchicamente (ovvero capitalistici) anche se lo Stato pubblico venisse dissolto e che ciò non sia una questione importante. Questa convinzione rivela la priorità dei loro valori: l’“efficienza” (l’ultimo fine) è considerata più importante dell’eliminazione di dominio, coercizione e sfruttamento dei lavoratori. Analogamente, considerano profitto, interesse e affitto come valide sorgenti di reddito mentre gli anarchici si oppongono a ciò considerandoli come usura e sfruttamento.
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Inoltre, il lavoro salariato è, in pratica, la maggiore sorgente di oppressione e autorità nella società: c’è poca libertà o niente nella produzione capitalista (come notava Bakunin, “il lavoratore vende la sua persona e la sua libertà per un certo tempo”). Quindi, in stretto contrasto con le/gli anarchic*, gli “anarco”capitalisti non hanno alcun problema riguardo il fascismo di fabbrica (cioe` il lavoro salariato), una posizione che sembra parecchio illogica per una teoria che si dice libertaria. Se fosse veramente libertaria si opporrebbe a tutte le forme di dominio, non solo allo statismo. Questa posizione deriva dalla definizione “anarco”capitalista di libertà come assenza di coercizione e sarà discussa più in dettaglio alla sezione F.2.
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Questo pieno appoggio nei confronti del lavoro salariato e dei diritti di proprietà capitalisti indica che gli “anarco”capitalisti non sono anarchici perchè non rigettano tutte le forme di archia. Ovviamente, sostengono la gerarchia tra capo e lavoratore (lavoro salariato) e tra padrone e inquilino. L’anarchismo, per definizione, è contro tutte le forme di archia, compresa l’organizzione gerarchica generata dalla proprietà capitalista. Ignorare l’ovvia archia associata alla proprietà capitalista è assolutamente illogico.
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La natura antianarchica dell’”anarco”capitalismo può essere vista meglio citando un “anarco”capitalista di primo piano, Murray Rothbard. Lui sostiene che lo Stato “si arroga un monopolio di forza, di potere decisionale ultimo, oltre a una data area territoriale”. [Rothbard, The Ethics of Liberty, p.170] In sè e di per sè, questa definizione non è eccezionale. Sfortunatamente per lui (e per le pretese degli “anarco”capitalisti di essere anarchici), nota anche che i proprietari capitalisti hanno poteri simili. Come afferma lui stesso, “ovviamente, in una società libera, Smith ha potere decisionale ultimo sulla sua propria proprietà, Jones sulla sua, ecc.” [Op. Cit., p.173] e, ugualmente ovvio, questo potere decisionale ultimo si estende a coloro che usano, ma non possiedono, tale proprietà (gli inquilini e i lavoratori). La natura statista della proprietà è indicata chiaramente dalle parole di Rothbard: il proprietario, in una società “anarco”capitalista, possiede il “potere decisionale ultimo” su una data area, che è anche ciò che lo Stato correntemente ha.
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Come spiegato meglio in sezione F.2, l’”anarco”capitalismo non può essere considerato anarchico semplicemente perchè rimpiazza l’autorità dello Stato con quella del proprietario. Entrambi hanno “potere decisionale ultimo” su una data area e su coloro che ci vivono (o che la usano). Le similitudini tra capitalismo e statismo sono chiare – e quindi anche perchè l’”anarco”capitalismo non può essere anarchico. Rifiutare l’autorità dello Stato (il “potere decisionale ultimo”) e accettare quella del proprietario indica non solo una posizione completamente illogica ma anche opposta ai principi di base dell’anarchismo.
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Quindi l’anarchismo è molto più della comune definizione del vocabolario di “non governo”: comporta anche l’essere contro tutte le forme di archia, incluse quelle generate dalla proprietà capitalista. Questo è evidente dalle radici della parola “anarchia”. Come discusso in sezione A.1, la parola anarchia significa “assenza di sovrani” o “contro l’autorità”. Come Rothbard stesso riconosce, il proprietario è il sovrano della sua proprietà e, quindi, di coloro che la usano (dunque il commento di Bakunin citato in precedenza che “il lavoratore vende la sua persona e la sua libertà per un certo tempo”). Per questo motivo l’”anarco”capitalismo non può essere considerato una forma di anarchismo: un vero anarchico logicamente deve opporsi all’autorità del proprietario così come a quella dello Stato.
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Siccome l’”anarco”capitalismo non richiede esplicitamente (o implicitamente, per quello che importa) progetti economici che metteranno fine al lavoro salariato e all’usura, gli “anarco”capitalisti non possono essere considerati anarchici o parte della tradizione anarchica.
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Per concludere.
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Le teorie politiche dovrebbero essere identificate tramite le loro vere caratteristiche e storia piuttosto che dalle loro etichette. Una volta compreso questo, si deduce subito che il termine “anarco”capitalismo è un ossimoro. Gli/le anarchic* e gli “anarco”capitalisti non sono parte dello stesso movimento o tradizione. Le loro idee e i loro obiettivi sono in diretto contrasto con quelli di tutti i tipi di anarchic*.
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Mentre le/gli anarchic* si sono sempre opposti al capitalismo, gli “anarco”capitalisti lo hanno abbracciato. E a causa di questa accettazione la loro “anarchia”sarà segnata da grandi differenze in ricchezza e potere, differenze che si mostreranno in forma di relazioni sociali basate su subordinazione e gerarchia (come il lavoro salariato), non sulla libertà (poca sorpresa che Proudhon sostenesse che “la proprietà è dispotismo”: essa crea relazioni sociali autoritarie e gerarchiche tra persone in maniera simile allo statismo).
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Il loro appoggio per il capitalismo del “libero mercato” ignora l’impatto di ricchezza e potere su natura e risultato di decisioni individuali all’interno del mercato stesso (vedi le sezioni F.2 e F.3 per ulteriori discussioni). Per esempio, come si vede alle sezioni J.5.10, J.5.11 e J.5.12, il lavoro salariato è meno efficiente rispetto all’autogestione della produzione ma a causa della struttura e delle dinamiche del mercato capitalista, le “forze del mercato” scoraggeranno attivamente l’autogestione a causa della sua natura di concessione di autorità ai lavoratori. In altre parole, un mercato capitalista sviluppato promuoverà i concetti di gerarchia e mancanza di libertà nella produzione nonostante i suoi effetti sui lavoratori individuali e sui loro bisogni (vedi anche la sezione F.10.2). Così il capitalismo del “libero mercato” tende a reimporre le disuguaglianze in termini di ricchezza e potere, non ad eliminarle.
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Per di più, qualunque sistema di potere (economico e sociale) richiederà grande forza per mantenersi e il sistema “anarco”capitalista di “agenzie di difesa” concorrenti sarà semplicemente un nuovo Stato, imponendo potere, diritti di proprietà e legge capitalisti.
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Complessivamente, la mancanza di riguardo nei confronti di una significativa libertà nella produzione e degli effetti di vaste differenze di potere e ricchezza nella società nel suo insieme, rende l’”anarco”capitalismo poco migliore dell’”anarchismo per i ricchi”. Questo Emma Goldman riconosceva quando sosteneva che “Il ‘brutale individualismo’ ha significato tutto l’’individialismo’ per i padroni. . . nel cui nome la tirannia politica e l’oppressione sociale vengono difese e mantenute come virtù mentre ogni aspirazione e tentativo dell’uomo di guadagnare libertà. . . è denunciato come. . . male nel nome di quello stesso individualismo”. [Red Emma Speaks, p.112] E, in quanto tale, non è affatto anarchismo.
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Quindi, a differenza degli/le anarchic*, gli “anarco”capitalisti non cercano l’”abolizione del proletariato” (per usare un’espressione di Proudhon) per mezzo del cambiamento dei diritti di proprietà e delle istituzioni capitaliste. Così, gli “anarco”capitalisti e le/gli anarchic* hanno in mente diverse posizioni iniziali e fini opposti e quindi non possono essere considerati parte della stessa tradizione (anarchica).
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Come vedremo nelle sezioni successive, le pretese ”anarco”capitaliste di considerarsi anarchici sono false semplicemente perchè loro rifiutano così tanto della tradizione anarchica da fare in teoria e in pratica ciò che i non-anarchici accettano. Poca sorpresa che Peter Marshall diceva che “poch* anarchic* accetterebbero gli ‘anarco-capitalisti’ nel campo anarchico dato che non condividono l’importanza per l’uguaglianza economica e la giustizia sociale”. [Demanding the Impossible, p.565]

Revision as of 23:32, 27 February 2007

In una parola, no. Mentre gli “anarco”capitalisti ovviamente cercano di associarsi alla tradizione anarchica usando la parola “anarco”, le loro idee sono distintamente in conflitto con quelle associate con l’anarchismo. Per questo, ogni pretesa riguardo al fatto che le loro idee siano anarchiche o che siano parte della tradizione o del movimento anarchico è falsa.


Gli “anarco”capitalisti pretendono di essere anarchici perchè dicono di opporsi al governo. In ciò, come riportato nella sezione precedente, usano la definizione di anarchismo del dizionario. Questo fatto, comunque, manca di apprezzare che l’anarchismo è una teoria politica, non una definizione del vocabolario. I dizionari raramente sono politicamente sofisticati, ciò implica che mancano di riconoscere che l’anarchismo è più dell’esclusiva opposizione al governo ma che è anche indicato come opposizione al capitalismo (sfruttamento e proprietà privata). Così, l’essere in opposizione al governo è condizione necessaria ma non sufficiente per essere anarchic*: è necessario anche essere contrari allo sfruttamento e alla proprietà privata capitalista. Siccome gli “anarco”capitalisti non considerano essere sfruttamento l’interesse, l’affitto e i profitti (ovvero il capitalismo) e nemmeno si oppongono ai diritti di proprietà capitalisti, non sono anarchici.


Quindi, in cosa gli “anarco”capitalisti differiscono dagli anarchici? Ci sono tre questioni principali.


Primo, a differenza sia degli/le anarchic* Individualist* che Sociali, gli “anarco”capitalisti sostengono il capitalismo (un tipo di capitalismo di “puro” libero mercato). Ciò significa che rifiutano completamente le idee riguardo il concetto di proprietà e le analisi economiche delle/gli anarchic*. Ad esempio, come tutti i sostenitori del capitalismo, considerano affitto, profitto e interesse come redditi validi. Al contrario, tutti/e gli/le anarchic* li considerano come sfruttamento e concordano con l’Anarchico Individualista Tucker quando sosteneva che “solo chiunque contribuisca alla produzione ha il diritto a essa. Che cosa non ha diritti che chi che è costretto a rispettare. Cosa è una cosa. Chi è una persona. Le cose non hanno pretese, esistono solo per essere rivendicate. Il possesso di un diritto non può essere predicato da materia morta, ma solo da una persona viva”. [citato da Wm. Gary Kline, The Individualist Anarchists, p.73] (E questa, dobbiamo puntualizzare, è la critica fondamentale alla teoria capitalista riguardo il fatto che il capitale è produttivo. In sè e di per sè, i costi fissi non creano valore. Piuttosto la creazione del valore dipende da come gli investimenti sono sviluppati e usati una volta in gioco. A causa di questo, a differenza degli “anarco”capitalisti, gli/le Anarchic* Individualist* consideravano il reddito derivato non da lavoro, come usura).


Analogamente, le/gli anarchic* rifiutano il concetto capitalista di diritti di proprietà a favore del possesso (incluso il frutto del proprio lavoro). Per esempio, gli/le anarchic* rifiutano il concetto di possesso privato di terra a favore di un regime di “occupazione e uso”. In questo, seguendo What is Property? di Proudhon noi sosteniamo che “la proprietà è furto”.


Essendo parte essenziale delle politiche anarchiche, queste idee non posso essere rimosse senza danneggiare seriamente il resto della teoria. Questo può essere visto dai commenti di Tucker: “La libertà insiste. . . sull’abolizione dello Stato e l’abolizione dell’usura, su non più governo dell’uomo sull’uomo, e non più sfruttamento dell’uomo sull’uomo”. [citato da Eunice Schuster in Native American Anarchism, p.140]. Lui indica che l’anarchismo ha idee economiche e politiche specifiche, che si oppone al capitalismo così come allo Stato. Perciò l’anarchismo non è mai stato un concetto puramente “politico”, ma ha sempre unito l’opposizione all’oppressione con quella allo sfruttamento. Gli/le anarchic* sociali fanno esattamente la stessa osservazione. Il che significa che quando Tucker sosteneva che “La libertà insiste sul Socialismo. . . – vero Socialismo, Socialismo Anarchico: la prevalenza sulla terra di Libertà, Uguaglianza, e Solidarietà” [Instead of a Book, p.363] sapeva esattamente cosa stava dicendo ed era fermanente convinto di cosa significasse.


Questa combinazione di politica ed economia è essenziale, in quanto esse si rafforzano mutuamente l’una con l’altra. Senza quelle economiche, le idee politiche sarebbero senza significato poichè il risultato sarebbe una rappresentazione completamente inadeguata. Come nota Kline, “le proposte [degli/le Anachic* Individualist*] erano progettate per stabilire la vera uguaglianza dell’opportunità. . . e si aspettavano che ciò risultasse in una società senza grande ricchezza o povertà. In assenza di fattori monopolistici che distorcano la competizione, si aspettavano una società costituita in gran parte di lavoratori in proprio senza significativa disparità di ricchezza tra di loro, essendo a tutti richiesto di vivere a proprie spese e non alle spese dei propri simili sfruttati”. [Op. Cit., pp.103-4]


Rimuovendo l’impegno fondamentale di abolire il reddito non proveniente da lavoro, ogni società capitalista “anarchica” avrebbe enormi differenze in ricchezza e quindi in povertà. Al posto dei monopolii di terra, denaro ecc. imposti dal governo, il potere economico derivante dalla proprietà e dal capitale privati assicurerebbe alla maggioranza di rimanere (per usare le parole di Spooner) “in condizione di servi” (vedi sezioni F.2 e F.3.1 per un approfondimento). Le/gli Anarchic* Individualist* erano coscienti di questo pericolo e quindi sostenevano le idee economiche che si opponevano all’usura (affitto, profitto e interesse) e assicuravano alla lavoratrice il pieno valore del proprio lavoro. Mentre non tutti tra loro chiamavano queste idee “socialiste” è chiaro che queste idee sono di natura e di intenzione socialista (allo stesso modo, non tutti gli/le Anarchic* Individualist* si dicevano anarchic* ma le loro idee erano chiaramente di natura e di intenzione anarchica).


Siccome gli “anarco”capitalisti abbracciano il capitalismo e rigettano il socialismo, non possono essere considerati anarchici o parte della tradizione anarchica.


Il che ci porta giusto al secondo punto, cioè la mancanza di considerazione per l’uguaglianza. In netto contrasto con le/gli anarchic* di tutte le scuole, per gli “anarco”capitalisti la disuguaglianza non è considerata essere un problema (vedi sezione F.3). Comunque, è ovvio che non tutti i “commercianti” sono soggetti al mercato alla stessa maniera (hanno lo stesso potere di mercato). In molti casi, certuni hanno un sufficiente controllo delle risorse da potere influenzare o determinare il prezzo e, in tali casi, tutti gli altri devono sottostare a quei termini o non comprano il prodotto. Quando il prodotto è manodopera, manca anche questa possibilità: I lavoratori devono accettare un lavoro per poter vivere. Come discusso alla sezione F.10.2, i lavoratori sono in condizioni di svantaggio sul mercato, rispetto ai capitalisti e questo li costringe a vendere la propria libertà in cambio della produzione di profitti per altri. Tali profitti incrementano la disuguaglianza nella società poichè i proprietari ricevono il surplus di valore che i loro lavoratori producono. Questo aumenta a sua volta la disuguaglianza, consolidando il potere del mercato e così indebolisce ulteriormente la posizione contrattuale dei lavoratori, assicurando che anche la competizione più libera possibile non sia in grado di eliminare il potere e la società classista (qualcosa che B.Tucker riconosceva come accadere con l’aumento di fiducia nel capitalismo – vedi sezione G.4). Poca sorpresa che Proudhon sostenesse che la legge della domanda e offerta era una “legge ingannevole. . . utile solo per assicurare la vittoria del forte sul debole, di coloro che hanno proprietà su coloro che non hanno nulla” [citato da Alan Ritter, The Political Thought of Pierre-Joseph Proudhon, p.121]


Il lavoro salariato è un aspetto chiave della creazione, mantenimento e incremento della disuguaglianza (così com’è anche sorgente di dominio e subordinazione, ovvero mancanza di libertà). È inutile dire che le disuguaglianze di potere e ricchezza non sono ristrette solo ai luoghi di lavoro e anche il danno che l’organizzazione gerarchica provoca agli individui e alla loro libertà non è limitato solo all’orario di lavoro. Entrambe le cose hanno un impatto profondo sul resto della società, espandendosi in tutte le aree della vita e restringendo la libertà ovunque (vedi sezione F.3 per un’ulteriore discussione su questo argomento). Non è possibile isolare un aspetto della vita (il lavoro) e credere che in qualche modo non influenzerà tutti gli altri. Ad ogni modo, l’”anarco”capitalista sembra credere che ciò sia possibile.


Così le/gli anarchici rilevano che il “libero scambio” in circostanze diseguali incrementerà la disuguaglianza tra individui e classi, non la ridurrà (e tale disuguaglianza produrrà relazioni sociali basate sull’organizzazione gerarchica e sul dominio, non sulla libertà). Come esprime Noam Chomsky:


   “L’anarcocapitalismo, secondo me, è un sistema dottrinale che, se mai implementato, porterebbe a forme di tirannia e oppressione che hanno pochi         uguali nella storia dell’umanità. Non c’è la minima possibilità che le sue idee (a parer mio orrende) possano essere implementate, perchè                             distruggerebbero rapidamente ogni società che avesse fatto questo errore colossale. L’idea di “libero contratto” tra il potente e i suoi soggetti affamati     è una triste battuta, forse utile in un seminario accademico per esplorare le conseguenze di idee (per me, assurde), ma non in altri luoghi”. [Noam             Chomsky on Anarchism, intervista con Tom Lane, December 23, 1996]


A causa degli effetti malefici provocati dalla disuguaglianza sulla libertà, sia gli/le anarchic* sociali che individualist* desiderano creare un ambiente in cui le circostanze non portino la gente a vendere la propria libertà agli altri in cambio di salari. In altre parole, desiderano una depurazione del potere del mercato da interesse, affitto e profitto contrapposti e dalle definizioni capitaliste del concetto di proprietà privata. Kline riassume questo dicendo “le/gli anarchic* [individualist*] american* smascherarono la tensione esistente nel pensiero liberale tra il concetto di proprietà privata e l’ideale dell’accesso egualitario. Gl/lei Anarchic* Individual* erano almeno coscienti del fatto che le condizioni esistenti fossero lontane dall’ideale, che il sistema stesso lavorando contro la maggioranza degli individui si sforza per arrivare ai propri impegni. La mancanza di capitale, di mezzi di creazione e accumulazione della ricchezza, di solito destinano un lavoratore a una vita di sfruttamento. Questo le/gli anarchic* lo sapevano e aborrivano tale sistema”. [Op. Cit., p.102]


E questo desiderio di contrattare l’uguaglianza si riflette nelle loro idee economiche; inoltre l’”anarco”capitalismo, rimuovendo tali idee economiche fondamentali degli/le anarchic* individualist*, dà una rappresentazione completamente inadeguata di ogni idea di cui si è appropriato. Essenzialmente, le/gli Anarchic* Individualist* erano d’accordo con Rousseau sul fatto che per impedire l’estrema disuguaglianza delle fortune in primo luogo si priva la gente dei mezzi per accumulare e non si porta via ricchezza ai ricchi. Un punto importante che l’”anarco”capitalismo manca di capire o apprezzare.


In più, bisogna notare che tali disuguaglianze di potere e ricchezza avranno bisogno di “difendersi” da coloro ad esse soggetti (gli “anarco”capitalisti rilevano la necessità per la polizia e le corti private di difendere la proprietà dal furto – e, aggiungono le/gli anarchic*, di difendere il furto e il dispotismo associati alla proprietà!). A causa del proprio sostenere il concetto di proprietà privata (e quindi l’autorità), l’”anarco”capitalismo finisce con l’avere uno Stato nella sua “anarchia”, cioè uno Stato privato la cui esistenza i suoi stessi proponenti tentano di negare semplicemente rifiutandosi di chiamarlo Stato, come uno struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia. (si veda la sezione F.6 per approfondimenti su questo concetto e sul perchè l’”anarco”capitalismo è più propriamente descritto come capitalismo dello “Stato privato”.


Per gli/le anarchici, questa necessità del capitalismo per qualche tipo di Stato non è una sorpresa perchè:

“L’anarchia senza socialismo ci sembra ugualmente impossibile [come il socialismo senza l’anarchia], poichè in tal caso non potrebbe essere altro che dominio del più forte, e pertanto metterebbe subito in moto l’organizzazione e il consolidamento di questo dominio; cioè la costituzione del governo” [Errico Malatesta, Life and Ideas, p.148]


A causa di questo, cioè il rifiuto ”anarco”capitalista delle idee anarchiche riguardo gli aspetti economici della proprietà capitalista e la necessità dell’uguaglianza, essi non possono essere considerati anarchici o parte della tradizione anarchica.


Terzo, a differenza delle/gli anarchic*, gli “anarco”capitalisti considerano come libera e senza sfruttamento, una società di lavoro salariato generalizzato – ma a tale concezione di società gli/le anarchic* si oppongono. Come tutti i socialisti, le/gli anarchic* desiderano vedere i lavoratori riuniti coi mezzi di produzione e quindi la fine dello sfruttamento dei lavoratori da parte dei capitalisti e dei padroni. In altre parole, quando le/gli Anarchic* Individuali si dicevano “socialist*” intendevano giusto questo! (vedi sezione G per ulteriori dettagli).


Guardando al lavoro dell’anarchico individualista Lysander Spooner, si deduce che egli considerava il capitalismo risultare in lavoratori che diventano “meri attrezzi e macchine nelle mani dei loro datori di lavoro” e in lavoro “solo per il vantaggio dei loro datori di lavoro” [A Letter to Grover Cleveland, p.50]. Lui considerava il Monopolio di Denaro (una combinazione di moneta prodotta spicciola e una tassa del 10% su banche non registrate) come “il grande ostacolo alla liberazione della classe dei lavoratori di tutto il mondo”, un monopolio creato da “i datori di lavoro salariato” per assicurare la necessità “costretti essi [il grande corpo dei produttori di ricchezza]. . . – dall’alternativa della fame – a vendere il loro lavoro ai monopolisti di denaro”. [Op. Cit., p.49, p.48, p.20]


Tale analisi è essenzialmente di natura socialista, riconoscendo che i mercati apparentemente “liberi” creano le condizioni che portano la classe dei lavoratori a vendere la propria libertà sul mercato. Analogamente, anche la sua visione di libera società è socialista, senza più lavoro salariato. Con la fine dei monopolii di denaro (e di terra), egli considerava che “con poche o alcune eccezioni” i lavoratori cesserebbero di essere schiavi salariati e diventerebbero lavoratori in proprio. In netto contrasto riguardo il lavoro salariato, lui considerava che il lavoro libero coinvolge il lavoratore “applicando sia la sua. . . testa che le sue mani” [Op. Cit., p.48, p.50]. Così Spooner riconosceva che sotto il lavoro salariato c’è una divisione del lavoro con poco uso della testa (dare ordini) e molto uso delle mani (eseguire gli ordini).


“Perpetrato come se essi fossero in condizioni paritarie nella vendità della proprietà”, sostiene Kline, “l’obiettivo per gli anarchici divenne la costruzione di una società che fornisca accesso egualitario a quelle cose necessarie per la creazione di ricchezza. L’obiettivo delle/gli anarchic* che lodavano il mutualismo e l’abolizione di tutti i monopolii era, dunque, una società dove chiunque lavori volentieri abbia gli attrezzi e le materie prime necessarie per la produzione in un sistema senza sfruttamento. . . la visione dominante della società futura. . . [sarebbe] fortemente sostenuta da lavoratori in proprio, individuali”. [Op. Cit., p. 95]


Gli “anarco”capitalisti assumono che il lavoro salariato generalizzato permanga sotto il loro sistema (sebbene siano favorevoli solo a parole alle possibilità di cooperative – e se un “anarco”capitalista pensa che la cooperativa diventerà la forma dominante di organizzazione del luogo di lavoro, allora è una specie di socialista del mercato, non un capitalista). È chiaro che il loro obiettivo finale (un capitalismo puro, ovvero lavoro salariato generalizzato) è direttamente l’opposto di quello che si auspicano gli/le anarchic*. Questo fu il caso delle/gli Anarchic* Individualist* che abbracciarono l’ideale di competizione lassista (non capitalista): lo fecero quindi, come detto, per mettere fine al lavoro salariato e all’usura, non per mantenerli (infatti, le loro analisi sul cambiamento nella società americana da una principalmente basata su produttori indipendenti a una basata sostanzialmente sul lavoro salariato hanno molti parallelismi con, tra tutti, quanto presentato da Karl Marx nel capitolo 33 del Capital).


Gli “anarco”capitalisti, al contrario, credono che sia probabile che i luoghi di lavoro rimangano organizzati gerarchicamente (ovvero capitalistici) anche se lo Stato pubblico venisse dissolto e che ciò non sia una questione importante. Questa convinzione rivela la priorità dei loro valori: l’“efficienza” (l’ultimo fine) è considerata più importante dell’eliminazione di dominio, coercizione e sfruttamento dei lavoratori. Analogamente, considerano profitto, interesse e affitto come valide sorgenti di reddito mentre gli anarchici si oppongono a ciò considerandoli come usura e sfruttamento.


Inoltre, il lavoro salariato è, in pratica, la maggiore sorgente di oppressione e autorità nella società: c’è poca libertà o niente nella produzione capitalista (come notava Bakunin, “il lavoratore vende la sua persona e la sua libertà per un certo tempo”). Quindi, in stretto contrasto con le/gli anarchic*, gli “anarco”capitalisti non hanno alcun problema riguardo il fascismo di fabbrica (cioe` il lavoro salariato), una posizione che sembra parecchio illogica per una teoria che si dice libertaria. Se fosse veramente libertaria si opporrebbe a tutte le forme di dominio, non solo allo statismo. Questa posizione deriva dalla definizione “anarco”capitalista di libertà come assenza di coercizione e sarà discussa più in dettaglio alla sezione F.2.


Questo pieno appoggio nei confronti del lavoro salariato e dei diritti di proprietà capitalisti indica che gli “anarco”capitalisti non sono anarchici perchè non rigettano tutte le forme di archia. Ovviamente, sostengono la gerarchia tra capo e lavoratore (lavoro salariato) e tra padrone e inquilino. L’anarchismo, per definizione, è contro tutte le forme di archia, compresa l’organizzione gerarchica generata dalla proprietà capitalista. Ignorare l’ovvia archia associata alla proprietà capitalista è assolutamente illogico.


La natura antianarchica dell’”anarco”capitalismo può essere vista meglio citando un “anarco”capitalista di primo piano, Murray Rothbard. Lui sostiene che lo Stato “si arroga un monopolio di forza, di potere decisionale ultimo, oltre a una data area territoriale”. [Rothbard, The Ethics of Liberty, p.170] In sè e di per sè, questa definizione non è eccezionale. Sfortunatamente per lui (e per le pretese degli “anarco”capitalisti di essere anarchici), nota anche che i proprietari capitalisti hanno poteri simili. Come afferma lui stesso, “ovviamente, in una società libera, Smith ha potere decisionale ultimo sulla sua propria proprietà, Jones sulla sua, ecc.” [Op. Cit., p.173] e, ugualmente ovvio, questo potere decisionale ultimo si estende a coloro che usano, ma non possiedono, tale proprietà (gli inquilini e i lavoratori). La natura statista della proprietà è indicata chiaramente dalle parole di Rothbard: il proprietario, in una società “anarco”capitalista, possiede il “potere decisionale ultimo” su una data area, che è anche ciò che lo Stato correntemente ha.


Come spiegato meglio in sezione F.2, l’”anarco”capitalismo non può essere considerato anarchico semplicemente perchè rimpiazza l’autorità dello Stato con quella del proprietario. Entrambi hanno “potere decisionale ultimo” su una data area e su coloro che ci vivono (o che la usano). Le similitudini tra capitalismo e statismo sono chiare – e quindi anche perchè l’”anarco”capitalismo non può essere anarchico. Rifiutare l’autorità dello Stato (il “potere decisionale ultimo”) e accettare quella del proprietario indica non solo una posizione completamente illogica ma anche opposta ai principi di base dell’anarchismo.


Quindi l’anarchismo è molto più della comune definizione del vocabolario di “non governo”: comporta anche l’essere contro tutte le forme di archia, incluse quelle generate dalla proprietà capitalista. Questo è evidente dalle radici della parola “anarchia”. Come discusso in sezione A.1, la parola anarchia significa “assenza di sovrani” o “contro l’autorità”. Come Rothbard stesso riconosce, il proprietario è il sovrano della sua proprietà e, quindi, di coloro che la usano (dunque il commento di Bakunin citato in precedenza che “il lavoratore vende la sua persona e la sua libertà per un certo tempo”). Per questo motivo l’”anarco”capitalismo non può essere considerato una forma di anarchismo: un vero anarchico logicamente deve opporsi all’autorità del proprietario così come a quella dello Stato.


Siccome l’”anarco”capitalismo non richiede esplicitamente (o implicitamente, per quello che importa) progetti economici che metteranno fine al lavoro salariato e all’usura, gli “anarco”capitalisti non possono essere considerati anarchici o parte della tradizione anarchica.


Per concludere.


Le teorie politiche dovrebbero essere identificate tramite le loro vere caratteristiche e storia piuttosto che dalle loro etichette. Una volta compreso questo, si deduce subito che il termine “anarco”capitalismo è un ossimoro. Gli/le anarchic* e gli “anarco”capitalisti non sono parte dello stesso movimento o tradizione. Le loro idee e i loro obiettivi sono in diretto contrasto con quelli di tutti i tipi di anarchic*.


Mentre le/gli anarchic* si sono sempre opposti al capitalismo, gli “anarco”capitalisti lo hanno abbracciato. E a causa di questa accettazione la loro “anarchia”sarà segnata da grandi differenze in ricchezza e potere, differenze che si mostreranno in forma di relazioni sociali basate su subordinazione e gerarchia (come il lavoro salariato), non sulla libertà (poca sorpresa che Proudhon sostenesse che “la proprietà è dispotismo”: essa crea relazioni sociali autoritarie e gerarchiche tra persone in maniera simile allo statismo).


Il loro appoggio per il capitalismo del “libero mercato” ignora l’impatto di ricchezza e potere su natura e risultato di decisioni individuali all’interno del mercato stesso (vedi le sezioni F.2 e F.3 per ulteriori discussioni). Per esempio, come si vede alle sezioni J.5.10, J.5.11 e J.5.12, il lavoro salariato è meno efficiente rispetto all’autogestione della produzione ma a causa della struttura e delle dinamiche del mercato capitalista, le “forze del mercato” scoraggeranno attivamente l’autogestione a causa della sua natura di concessione di autorità ai lavoratori. In altre parole, un mercato capitalista sviluppato promuoverà i concetti di gerarchia e mancanza di libertà nella produzione nonostante i suoi effetti sui lavoratori individuali e sui loro bisogni (vedi anche la sezione F.10.2). Così il capitalismo del “libero mercato” tende a reimporre le disuguaglianze in termini di ricchezza e potere, non ad eliminarle.


Per di più, qualunque sistema di potere (economico e sociale) richiederà grande forza per mantenersi e il sistema “anarco”capitalista di “agenzie di difesa” concorrenti sarà semplicemente un nuovo Stato, imponendo potere, diritti di proprietà e legge capitalisti.


Complessivamente, la mancanza di riguardo nei confronti di una significativa libertà nella produzione e degli effetti di vaste differenze di potere e ricchezza nella società nel suo insieme, rende l’”anarco”capitalismo poco migliore dell’”anarchismo per i ricchi”. Questo Emma Goldman riconosceva quando sosteneva che “Il ‘brutale individualismo’ ha significato tutto l’’individialismo’ per i padroni. . . nel cui nome la tirannia politica e l’oppressione sociale vengono difese e mantenute come virtù mentre ogni aspirazione e tentativo dell’uomo di guadagnare libertà. . . è denunciato come. . . male nel nome di quello stesso individualismo”. [Red Emma Speaks, p.112] E, in quanto tale, non è affatto anarchismo.


Quindi, a differenza degli/le anarchic*, gli “anarco”capitalisti non cercano l’”abolizione del proletariato” (per usare un’espressione di Proudhon) per mezzo del cambiamento dei diritti di proprietà e delle istituzioni capitaliste. Così, gli “anarco”capitalisti e le/gli anarchic* hanno in mente diverse posizioni iniziali e fini opposti e quindi non possono essere considerati parte della stessa tradizione (anarchica).

Come vedremo nelle sezioni successive, le pretese ”anarco”capitaliste di considerarsi anarchici sono false semplicemente perchè loro rifiutano così tanto della tradizione anarchica da fare in teoria e in pratica ciò che i non-anarchici accettano. Poca sorpresa che Peter Marshall diceva che “poch* anarchic* accetterebbero gli ‘anarco-capitalisti’ nel campo anarchico dato che non condividono l’importanza per l’uguaglianza economica e la giustizia sociale”. [Demanding the Impossible, p.565]