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di Giuseppe Scaliati  
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Categoria:Testi anarchici


La fiaccola dell'anarchia

di Giuseppe Scaliati





INDICE


CAPITOLO PRIMO

Origini e sviluppi del pensiero anarchico

1.1 Origini

1.2 La società anarchica

1.3 L’attivismo anarchico


CAPITOLO SECONDO

Gli autori anarchici

2.1 filoni anarchici

2.2 Anarchici individualisti: Stirner

2.3 Anarchici sociali

2.3.1 mutualisti: Proudhon
2.3.2 collettivisti: Bakunin
2.3.3 anarco-comunisti: Kropotkin
2.3.4 anarco-sindacalisti

2.4 Anarchismo religioso: Tolstoj


CAPITOLO TERZO

L’anarchismo in Italia

3.1 Il movimento anarchico italiano

3.1.1 Malatesta
3.1.2 Cafiero
3.1.3 Berneri
3.1.4 Merlino


CAPITOLO QUARTO

Anarchismo e nichilismo

4.1 Convergenze tra Anarchismo e nichilismo

4.2 Conclusioni


BIBLIOGRAFIA




INTRODUZIONE



Molto spesso il termine anarchico, ossia il seguace dell’Anarchismo, viene associato alle definizioni di bombarolo, terrorista, oppure di chi con ogni mezzo vuole instaurare una società dove non vi è nessuna organizzazione politica, anzi dove a regnare sarà solo ed esclusivamente il caos.

Questa teoria è sempre stata etichettata negativamente appunto per il suo principale obiettivo, quanto esclusivo e per alcuni aspetti anomalo, di eliminare lo Stato, perché visto come una minoranza privilegiata che si impone sulla maggioranza che sta in basso, la quale deve solo obbedire. Quindi, con una chiara negazione della propria libertà e dignità.

Compito di questo libro non è quello di fare proseliti anarchici, ma di dimostrare semplicemente che la teoria anarchica, come del resto tutte le altre dottrine politiche, ha un programma ben preciso ed articolato. Naturalmente i principi anarchici possono essere attuabili o meno, giusti o ingiusti, ma non è certo intenzione di questo testo stabilire ciò o rivalutare e diffondere il pensiero anarchico.

L’obiettivo è solo quello di contribuire a far conoscere meglio una teoria, troppo spesso disprezzata e criticata - da chi suo malgrado ignora la dottrina anarchica - che comunque ha dato un determinato contributo nell’affermazione, anche se solo in parte, di alcuni principi e valori primi fra tutti quelli della libertà e l’uguaglianza.

Il testo quindi, grazie ad un’importante bibliografia, dopo un’iniziale dissertazione sui principi e valori anarchici – in cui si tiene a risaltare che essi sono nati molto tempo prima della nascita del termine Anarchismo – procede ad elencare il modello di società anarchica.

Si passa poi all’attivismo libertario - spesso punto di debolezza di questa dottrina - ed hai maggiori eventi della storia anarchica. Infine, si prosegue ad un’analisi abbastanza accurata dei vari filoni anarchici e dei loro maggiori esponenti e pensatori.

A cominciare dall’anarchismo individualista di Max Stirner a quello sociale che rappresenta, con i vari Joseph Proudhon, Michail Bakunin, Petr Kropotkin e gli anarco-sindacalisti, quel filone che nell’arco della sua storia ha dato origine alle sfumature più diverse. Fino ad arrivare a Lev Tolstoj capofila di una corrente del tutto particolare definita: anarchismo religioso.

L’analisi continua esaminando l’influenza che hanno avuto, i maggiori esponenti di questa dottrina, sul movimento anarchico italiano, concentrandosi anche qui su importanti personaggi come Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Francesco Saverio Merlino e Camillo Berneri.

La diffusione dell’Anarchismo in Italia, che fece presa soprattutto negli ambienti ex garibaldini ed ex mazziniani, fu sicuramente favorito dal soggiorno di Bakunin nella Penisola. Le sue influenze furono sia positive, con rivolte di una certa importanza su tutte quella, seppur fallimentare, di Carlo Pisacane, ma anche negative, come la famigerata “propaganda dei fatti” che portò a numerosi attentati, tra cui l’uccisione di Umberto I di Savoia per mano di Gaetano Bresci, in seguito ai vari fallimenti dei moti insurrezionali e alle dure repressioni.

Il movimento anarchico italiano si distinse inoltre, anche per le lotte all’interno del Partito Socialista Italiano e dell’Unione Sindacale Italiana, che portarono alla sua sfaldatura in occasione del primo conflitto mondiale. Per poi essere ricostruito nell’immediato dopoguerra e sopravvivere con poca fortuna fino ai giorni nostri.

Il libro si conclude evidenziando i punti di contatto della teoria anarchica con il Nichilismo, cioè quel termine con cui viene indicata qualsiasi dottrina filosofica che giunge alla negazione della realtà o di valori e principi affermati, per dimostrare ancora una volta l’interdisciplinarietà dell’Anarchismo.




E’ certamente il simbolo più famoso di tutto il movimento anarchico ma anche – per ironia della sorte – quello del quale si conosce meno il significato. Secondo alcuni storici e parecchi anarchici, la A cerchiata è il simbolo più famoso perché si presta meglio ad essere graffitato sui muri.

In accordo con Peter Marshall (P. Marshall, “Demanding the impossible”) molti anarchici vedono l’origine simbolica della A cerchiata nella massima di Proudhon “Anarchia è Ordine”, che in inglese è “Anarchy is Order” ed anche in tutte le altre lingue occidentali le due parole iniziano con A e O.

Meno chiara è invece l’origine del simbolo. Il primo “avvistamento” della A cerchiata si è avuto durante la guerra civile spagnola sul finire degli anni ’30. Successivamente il simbolo è stato poi ripreso nel 1956 dal movimento francese Alliance Ouvriere Anarchiste (AOA) e nel 1964 da un famoso gruppo francese, Gioventù Libertaria. In ogni modo la diffusione massiccia in tutto il mondo della A cerchiata avviene nel 1968.




CAPITOLO PRIMO


Origini e sviluppi del pensiero anarchico


1.1 Origini


L’Anarchismo è una teoria politico-filosofica con l’obiettivo di creare una società senza classi e senza gerarchie politiche, economiche e sociali.
La dottrina dell’anarchismo sostiene la creazione dell’anarchia, ossia realizzare una società, basata sulla massima “nessun dominatore”, dove ogni individuo collabori liberamente con i suoi simili.

Il pensiero anarchico è espressione di lotta e si oppone decisamente ai sistemi autoritari, infatti, secondo Sebastian Faure “chiunque neghi l’autorità e combatte contro di lei è un anarchico”[1].

L’essenza dell’anarchismo è che la dominazione è altamente degradante ed umiliante, poiché il giudizio e la volontà del dominato sono soffocati da quelli del dominatore, che così distrugge la dignità e l’autonomia dell’individuo.

In più la dominazione rende possibile lo sfruttamento, in pratica la radice dell’ineguaglianza, della povertà e del collasso sociale.
I valori e i punti di riferimento del pensiero libertario[2] sono la libertà e l’uguaglianza, considerati come inscindibili.
Per questo motivo, gli anarchici rinfacciano al Socialismo e al Liberalismo di essere delle dottrine parziali, perché mentre per il Socialismo il valore base è l’uguaglianza soltanto, per il Liberalismo lo è unicamente la libertà.
Per i pensatori anarchici, invece, la libertà individuale si realizza solo attraverso il completo dispiegamento dell’uguaglianza sociale, e quest’ultima si concretizza soltanto con la completa manifestazione della libertà.

Tutto ciò perché la storia dell’umanità dimostra un principio: che la libertà senza l’uguaglianza è soltanto libertà per i potenti, ed uguaglianza senza libertà è praticamente impossibile.

Il significato del termine anarchia, vale a dire l’obiettivo dell’anarchismo, affonda le sue radici nella lingua greca, infatti, “an” deriva dal greco e significa “non” “assenza di“ o “mancanza di” più “anchos” che significa “un regnante” “un capo” o “autorità”[3].

Di conseguenza “an-archia” significa “senza regnante”, “senza autorità” o “assenza di un governo”[4].

L’anarchia quindi, non indica altro che la dimora della semplicità in contrapposizione alla società gerarchica e burocratica, spesso però tale parola è stata utilizzata per indicare caos e disordine.

Ma come sostenne, l’anarchico italiano, Errico Malatesta ciò deriva dal fatto che un governo è sempre stato ritenuto necessario, in quanto in sua mancanza vi sarebbe stato solo disordine e confusione, dunque è naturale sostenere che l’assenza di un governo suonasse, nello stesso tempo, come mancanza d’ordine[5].

Continua Malatesta, sostenendo che una volta eliminato lo Stato, l’anarchia incarnerà l’ordine naturale e l’unione degli interessi e dei bisogni di tutti.

Alla base dell’anarchismo vi è dunque l’abolizione dello Stato, cioè di quella particolare organizzazione che, secondo gli anarchici, assicura all'élite regnante il potere e, nel frattempo, con la rappresentanza realizza la falsa sensazione di una democrazia.

Lo Stato, inoltre con la sua natura gerarchica rende possibile una società divisa in classi avvalendosi poi del monopolio della violenza, per controllare la collettività e difendere il potere dei privilegiati.

Suddetto controllo dello Stato può avvenire in modo diretto nei paesi comunisti e in modo indiretto in quelli liberali, dove lo stato si avvale per il suo scopo di altri organi, da lui diretti.

Naturalmente come conseguenza di tutto ciò, gli anarchici procedono anche ad una ferma condanna dell’imperialismo, cioè di quel processo con il quale un paese, con mezzi politici o spesso con mezzi economici, domina un altro paese.

La nascita dei principi anarchici, avvenuta molto tempo prima dell’invenzione del nome, è molto incerta, e soprattutto spesso oggetto di discussioni.

Una tesi particolare è stata sostenuta con un certo vigore da Nestor Makhno[6]; egli afferma che i principi anarchici derivano dalla lotta dei lavoratori contro gli sfruttatori, dalla ricerca dei loro bisogni, delle loro necessità e della loro libertà ed uguaglianza[7].

Inoltre Makhno sostiene che, nell’arco della storia, molte persone in numerose situazioni hanno avuto inconsapevolmente dei comportamenti anarchici, dando quindi origine ai principi.

I grandi pensatori, come Bakunin e Kropotkin, hanno contribuito solo a divulgare il pensiero anarchico.
Sicuramente coerenti con questa tesi sono coloro che, addirittura, fanno risalire la nascita dei principi anarchici alle lotte degli schiavi romani, dette “rivolte servili”.
Manifestazioni più concrete si ebbero nel XVI secolo ad opera di una setta di contadini svizzeri, denominata dei “Liberi Fratelli”, che faceva derivare direttamente da Gesù Cristo i propositi di libertà, tutte le leggi e la comunità dei beni[8].
Tale setta era una delle tante formatesi nei paesi di lingua tedesca situati nell’Europa centro-occidentale, sull’insegnamento e la predicazione del riformatore radicale anabattista Thomas Munzer; il quale addirittura realizzò per brevissimo tempo una repubblica contadina basata sulla libertà e sull’uguaglianza sociale[9].

Intorno alla metà del XVII secolo sempre dei religiosi, questa volta radicali puritani pacifisti, detti “diggers” guidati da Gerard Winstanley, si batterono nell’ambito del Commowealth britannico per l’abolizione della proprietà privata ed una piena libertà dell’individuo.

I principi anarchici dei “diggers”, letteralmente “zappatori”, erano racchiusi nell’opera di Gerrard Winstanley[10] The new law of righteousseness del 1649.

Ma una prima espressione compiuta delle teorie anarchiche fu compiuta verso la fine del XVIII secolo, sull’onda della critica illuminista e nell’ambito della reazione romantica allo stesso illuminismo[11], da William Godwin, definito dal grande pensatore anarchico Petr Kropotkin, “il primo teorico del socialismo senza governo”[12].

Godwin nella sua opera Enquiry concerning political justice del 1793 delinea una società naturale, indipendente ed egualitaria, esprimendo la sua insofferenza per ogni forma di controllo esterno.

Godwin per la sua formazione illuminista è spesso definito “l’uomo della ragione”[13] anche perché non condivideva che il popolo fosse abbandonato a se stesso ai suoi istinti spontanei, in quanto per lui l’educazione era l’unica e vera chiave per la libertà.

Inoltre, sosteneva che l’educazione insieme all’istruzione erano possibili unicamente in una società libera ed egualitaria, quindi le collettività dove dominano le strutture autoritarie e l’ente politico “governo”, non sono in grado di impartire al giovane una formazione etica e culturale[14].

Godwin auspicava ad un’abolizione dello Stato, sostituendo la precedente organizzazione, con piccoli comuni che egli chiama “parrocchie”[15], dove la persona umana abbia la minima coercizione possibile e goda della massima libertà ottenibile.

Le sue tesi anarchiche scandalizzarono, ma raccolsero anche adepti ed influenzarono gran parte dei Socialisti inglesi e furono addirittura riprese negli Stati Uniti, da Josiah Warren[16].

Invece, uno dei massimi poeti inglesi, Percy Bisshe Shelley cercò di tradurre poeticamente quanto questi aveva esposto in prosa e in termini politici.

Godwin non si definì mai anarchico, termine che insieme con l'anarchia, proprio in quegli anni, in Francia durante il periodo rivoluzionario, cominciava a fare la sua prima comparsa.

Questi due termini furono usati per la prima volta per indicare nell’ambito dell’assemblea, da Destra a Sinistra l’avversario politico, più precisamente il girondino Brissot nel lontano 1793 definì la corrente degli Enragès, cioè degli arrabbiati, “anarchici” in quanto contestavano ogni autorità e volevano opporre alla Convenzione un’assemblea di diretta emanazione popolare.

Durante il XIX e XX secolo il termine “anarchismo”, in tutti i dizionari e le legislazioni[17], conserverà il suo significato puramente negativo; infatti, sia nel linguaggio politico sia in quello letterario sarà usato unicamente per indicare situazioni di caos e disordine.



Per molti storici (ed anche per molti anarchici) la bandiera rosso-nera è associata con l’anarcosindacalismo, più che con l’anarchismo. Nonostante questa considerazione, la prima apparizione di una bandiera rosso-nera è tutta italiana e precedente alla nascita del sindacalismo.

Nell’aprile 1877 gli anarchici della Banda del Matese, guidati da Malatesta e Cafiero, issarono sul municipio di Letino la bandiera rosso-nera. L’episodio è citato non solo dalla bibliografia specializzata (P.C. Masini. “Gli Internazionalisti. La Banda Del Matese”) ma è anche registrato nei verbali del processo di Benevento del 1878 contro i componenti della stessa banda.

Quasi contemporaneamente, la bandiera rosso-nera appare in Messico, durante la protesta del 14 dicembre 1879 a Città del Messico.



1.2La società anarchica.


L’anarchismo non è una teoria solo negativa, che si limita quindi alla critica, ma è anche una teoria positiva, in quanto offre una visione del tipo di società che vuole instaurare, dove l’uguaglianza e la libertà unite, e con la solidarietà possono fiorire e svilupparsi.

Sempre in questa società l’anarchismo pur riconoscendo una differenza d'abilità tra gli individui, non permette che ciò diventi potere; mentre la conquista della libertà deve avvenire per ognuno attraverso le proprie forze anche se non si tratta di libertà assoluta.

La società anarchica ideale è costituita da poteri decentrati e basata su libere associazioni, dette anche “comuni”, le uniche in grado di rendere il massimo di libertà, uguaglianza e solidarietà.

Infatti, l’associazionismo libero e volontario è la pietra miliare della società anarchica. L’uomo deve essere libero di unirsi con chi lo ritiene meglio, gestendo la sua vita e lavorando con gli altri per il bene suo, ed indirettamente per il bene di tutti[18].

Per realizzare l’associazionismo è fondamentale il decentramento del potere, mediante collettivi autogestiti con la democrazia diretta, dove vale il principio “un uomo un voto”.

Naturalmente non bisogna credere che la società anarchica sia un paradiso terrestre dove tutti vanno d’accordo, ma in caso di contrasti tra le varie associazioni o individui si può discutere e trattare per trovare la via migliore per ognuno di loro, senza che nessuno però imponga le proprie idee agli altri[19].

Addirittura le idee contrastanti sono ritenute fondamentali, in quanto aprono nuove porte sconosciute, oppure illuminano strade fino ad ora buie.

Un’associazione volontaria non può discutere con lo Stato, giacché non vi è equità tra loro, perché lo Stato, purtroppo, può tranquillamente imporre le sue norme a tutti.

Le numerose associazioni autonome della società anarchica sarebbero amministrate da assemblee di massa, e per gestire i diversi compiti vi sarebbe un comitato eletto dai soci.

Il comitato sarebbe composto da delegati con un mandato temporaneo dell’assemblea per gestire l’organizzazione, ma senza nessun potere legislativo.

Se i delegati abusano del loro mandato, oppure cercano di allargare le loro possibilità per esempio prendendo decisioni da soli, il mandato sarà immediatamente tolto, e si procederà all’elezione di una nuova assemblea.

In questo modo l’organizzazione dell’assemblea rimane nelle mani degli individui che l’hanno creata.

Gli anarchici criticano duramente il sistema parlamentare, cioè quell’organizzazione di governo dove la gente delega il potere, tramite le elezioni, ad un gruppo di rappresentanti che devono prendere decisioni per loro in un tempo determinato.

Ma se mantengono o meno le promesse elettorali è irrilevante, perché il popolo non li può richiamare prima della scadenza del loro mandato.

Il potere resta dunque nelle mani di pochi, una minoranza privilegiata, mentre la maggioranza che sta in basso deve solo obbedire con una chiara negazione della propria libertà e dignità.

Nella società libertaria avverrebbe il contrario, poiché nessun individuo o associazione ha la possibilità di tenere il potere, anche perché le decisioni sono prese usando i principi della democrazia diretta; infatti, gli anarchici presenti nelle democrazie rappresentative hanno spesso usato come metodo di critica di tale democrazia il fenomeno elettorale dell’astensionismo.

Inoltre le comunità egualitarie, formate con l’accordo volontario, potranno liberamente associarsi e formare confederazioni con la stessa gestione delle piccole collettività.

Ci sarebbero congressi regionali, nazionali [20] ed internazionali nelle quali le decisioni importanti andranno discusse, decise e coordinate.

Inoltre comitati d’azione sarebbero formati, se necessario, per gestire ed amministrare i lavori, sotto il severo controllo “dal basso” cioè da parte di tutti i cittadini comuni.

Questi delegati avrebbero un compito preciso per un tempo limitato, ma senza nessun potere, anzi se qualche delegato modificasse in qualche modo il mandato, dovrebbe tornare alla confederazione per la ratifica.

Se un collettivo, non concordasse con le decisioni prese dalla confederazione, potrebbe liberamente rifiutare e ritirarsi dalla confederazione per poi unirsi ad un'altra.

Sempre nell’ambito della società libertaria, se qualcuno decidesse di vivere isolato dagli altri, sarebbe libero di farlo, ma soprattutto nessuno lo potrebbe obbligare a far nulla; chiaramente dovrebbe vivere con i propri mezzi, contando però sul fatto che la terra è un bene comune.

Dunque soltanto con un’organizzazione del genere, retta da libere associazioni, si può procedere all’eliminazione dello Stato; inoltre si ottiene anche una maggiore responsabilizzazione dell’uomo, che con la partecipazione all’interno della comunità si assicura il pieno sviluppo delle capacità individuali, perché ogni accordo raggiunto all’interno della società può stimolare la responsabilità, l’iniziativa, l’intelletto e la solidarietà tra gli individui.

Valori questi che non certo i libertari vedono raggiungibili attraverso una religione, infatti, nonostante l’origine di alcuni principi anarchici all’interno qualche movimento religioso, vi è una parte degli anarchici che procede ad un rifiuto della religione, in quanto l’idea di un Dio è espressione dell’autorità, di conseguenza prendono la via dell’ateismo.

Mentre l’altra parte degli anarchici si oppone solo all’autorità della Chiesa, trovando addirittura richiami anarchici in alcuni passi biblici di Gesù Cristo, che da “buon anarchico”, secondo loro, si era occupato sempre della povera gente senza mai imporre il suo dominio.

Nonostante queste divergenze, l’opinione comune dei libertari è che ognuno è libero di professare la propria fede, la quale è sua e di nessun altro, neanche degli istituti corrotti ed autoritari, come la chiesa, che la impongono.



La prima occasione dell’uso della bandiera nera da parte degli anarchici si ha nel 1910 per merito di Emiliano Zapata in Messico. In seguito tale simbolo si diffuse rapidamente in tutto il mondo. Da Nestor Makhno durante la rivoluzione russa, che sventolando la bandiera nera, con il suo gruppo armato liberò una grossa parte dell’Ucraina.

L’origine storica della bandiera nera è piuttosto sconosciuta. Secondo lo storico dell’anarchismo Gorge Woodcock, la prima volta che la bandiera nera appare pubblicamente è dovuta alla pensatrice anarchica, ed eroina della Comune, Louise Michel, che la fece sventolare il 9 marzo 1883 durante le manifestazioni dei disoccupati di Parigi.

Questa tesi è stata storicamente contraddetta da ricerche più recenti, le quali però non riescono a fare piena luce sulla precisa origine della bandiera. Quel che è certo, è che nei primi anni 80 del XIX secolo gli anarchici iniziano ad usare simboli nei quali è presente il nero: è il caso del gruppo di Chicago “Internazionale Nera”, della rivista anarchica francese “Le Drapeau Noir”.

Lo spostamento dalla bandiera rossa, simbolo della rivoluzione, verso quella nera va collocato storicamente proprio a cavallo tra gli anni 70 ed 80 del XIX secolo, periodo durante il quale si verifica il profondo cambiamento del movimento socialista. Il marxismo diviene la corrente predominante, passa dalla concezione rivoluzionaria della via da seguire a quella riformista e parlamentarista. Tale corrente principale del socialismo si appropria dell’uso della bandiera rossa.



1.3 L’attivismo anarchico


Tra i mezzi per raggiungere la società ideale e il supremo fine della libertà vi è il Verbo, cioè la parola, infatti, per gli anarchici la propaganda ricoprirà sempre un ruolo essenziale attraverso opuscoli, comizi, volantini ed una serie innumerevole di testate giornalistiche.

Anche se un tentativo di rivoluzione anarchica non c’è mai stata, si sono verificati molti episodi all’interno di rivolte con protagonisti dei libertari; e nonostante abbiano avuto poca fortuna e successo, tali episodi sono rimasti comunque dei punti di forza e d’ispirazione per il movimento anarchico.

La prima grande manifestazione anarchica si ebbe alla comune parigina del 1871, quando inseguito alle rivolte per la sconfitta bellica dei francesi con la Prussia, s’instaurarono delle libere associazioni, che dovevano precedere la costituzione di uno stato confederato di “comunes”; il tutto secondo il progetto di Michail Bakunin[21].

La risposta dello Stato fu violenta e dopo soli tre mesi la comune fu sciolta e si ebbe l’uccisione di 20.000 comunardi.

Da questo momento in poi la reazione degli anarchici, pur se frutto di azioni molto individuali, fu caratterizzata dalla violenza, infatti, ebbe inizio la cosiddetta “propaganda di fatto”.

Ad ogni brutalità dello Stato corrispondeva un altrettanto atto facinoroso da parte di militanti e simpatizzanti anarchici.

Purtroppo proprio per questo loro modo d’agire violento quanto inutile, fa si che l’anarchico, ancora oggi, sia spesso identificato come pericoloso, bombarolo e terrorista.

La storia ci dimostra che qualsiasi movimento o gruppo è stato protagonista di atti violenti, dai cristiani ai musulmani, dai fascisti ai comunisti, dai nazionalisti ai patrioti ecc.

La violenza è violenza per tutti, cambia solo l’uso che se ne fa, c’è chi opprime con la violenza ad esempio il regime fascista di Mussolini, e chi vuole liberarsi con la violenza, la resistenza partigiana durante suddetto regime.

La “propaganda di fatto” dimostrò subito la sua inutilità, perché al di la dell’atto dimostrativo, l’uccisione di un re o di un presidente, portava soltanto all’incoronazione di un altro re o all’elezione di un altro presidente.

Tra i personaggi illustri a cadere per mano anarchica si ricordano il presidente francese Sadi Cornot, il primo ministro spagnolo Canovas, Elisabetta detta “Sissi” l’Imperatrice d’Austria e d’Ungheria, il presidente degli Stati Uniti William Mckinley ed infine il “re buono” d’Italia Umberto I di Savoia.

Tutti i protagonisti di questi episodi agirono senza nessuna organizzazione, ma di spontanea volontà reagendo, a modo loro, a precedenti episodi in cui libertari o semplici operai e contadini erano stati vittime della violenza dello Stato.
Sicuramente protagonisti di illustri attentati furono due italiani: Gaetano Bresci e Sante Caserio.

Bresci era un operaio toscano immigrato negli Stati Uniti, fece ritorno in Italia per assassinare il re Umberto I nel 1898, in quanto voleva vendicare il massacro di alcuni popolani milanesi ad opera del generale monarchico Bava Beccaris.

Mentre Sante Caserio alcuni anni prima uccise il presidente francese Cornot reo di aver condannato a morte degli anarchici francesi.

In questo periodo, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, gli anarchici organizzati ebbero un ruolo efficace anche nell’ambito del movimento sindacalista, dove seguendo l’insegnamento di Kropotkin[22], intendevano mobilitare le masse di lavoratori.

Invece, la prima guerra mondiale rappresenterà la pietra tombale dell’anarchia, infatti, il loro acceso antimilitarismo e di conseguenza il non interventismo li isolò del tutto.

Dopo una gloriosa ripresa con i momenti iniziali della rivoluzione russa e dei moti italiani del 1919-20[23], il movimento subì una forte decimazione ad opera dei fascismi europei e dei movimenti leninisti.

Tutto il movimento libertario italiano, cercò in tutti i modi di contrastare l’avanzata fascista, infatti, gli anarchici contribuirono alla formazione degli “Arditi del Popolo”, un’organizzazione della classe operaia per resistere agli squadristi.

Inoltre durante il regime parteciparono attivamente alle lotte della resistenza nelle file partigiane.

Un ruolo di primo piano nella lotta ai libertari, lo ebbero anche gli Stati Uniti, infatti, nella “terra della libertà” il movimento fu debellato con una spietata repressione, e con l’impiccagione dei maggiori dirigenti a Chicago nel 1886.

Inoltre le autorità governative statunitensi era propense a condannare chiunque fosse sospettato di qualsiasi associazione, che per loro, poteva essere eversiva.

Lo dimostra la vicenda di due immigrati italiani, il piemontese Bartolomeo Vanzetti e il pugliese Nicola Sacco, condannati a morte e giustiziati nonostante la loro innocenza; l’unica colpa, quella d'essere italiani, ma soprattutto anarchici e di volere un mondo più libero e più giusto[24].

Il ridimensionamento anarchico fu a carattere mondiale e durò fino agli anni ’60, quando in questo “decennio di lotte”, tutta la sinistra che partecipò alle rivolte guardò con molto interesse all’anarchismo traendo ispirazione dai suoi principi.

In Francia nel ’68, tornò prepotentemente sulla scena l’anarchismo, dopo che molti ne avevano dichiarato la morte.

Frequenti furono i richiami alla comune parigina del 1871, ma la “rivoluzione sessantottina“ fallì per le divisioni all’interno del movimento e per la dura repressione.

In Spagna, dopo la morte di Francisco Franco, la fiaccola dell’anarchia ritornò a splendere, proprio dove negli anni ’30 era stato presente il più numeroso movimento anarchico del mondo[25].

Infatti, prima dell’avvento di Francisco Franco i libertari avevano creato delle federazioni di collettivi autogestiti, ma ebbero poca fortuna schiacciati nella morsa tra fascisti e leninisti[26].

Questi episodi non furono isolati, in quanto un certo risveglio libertario avvenne un po’ dappertutto nel mondo, grazie anche al ritorno delle varie forme di democrazia.

Oggi il movimento anarchico è relativamente debole, anche se in paesi come la Spagna, la Svezia e l’Italia conta organizzazioni di circa 250 000 persone.

Gli anarchici di oggi hanno unito la loro “storica” lotta allo Stato ed alle istituzioni in genere con quella alla globalizzazione intesa come il nuovo ordine economico mondiale che si sta delineando.

Infine, ancora oggi come anche nel recente passato, i libertari sono spesso identificati come i più violenti dei contestatori e molte volte accusati anche di terrorismo ed eversione[27].





CAPITOLO SECONDO

Gli autori anarchici

2.1 I filoni anarchici


La dottrina anarchica dalla nascita, e nell’arco della sua diffusione e del suo sviluppo, non è mai stata espressione di un unico pensiero.

La teoria anarco-libertaria si presenta articolata in differenti sfumature, tutte direttamente riconducibili all’Anarchismo, alcune delle quali molto distanti tra loro, altre invece, molto vicine.

Nonostante le differenze più o meno accentuate, comune a tutti gli anarchici è il desiderio di una società libera da tutte le istituzioni coercitive, politiche e sociali, che ostacolano la libera evoluzione dell’umanità[28].

Le principali differenze sono tra gli anarchici individuali e quelli sociali, questi ultimi a loro volta, sono frazionati in ulteriori correnti di pensiero, che vanno dai mutualisti, ai collettivisti, passando per i comunisti-libertari fino alla corrente anarco-sindacalista.

Questi ulteriori frazionamenti della dottrina anarchica rappresentano il più delle volte punti d’incontro delle diverse tendenze o leggere sfumature dell’una o dell’altra corrente.

Le principali differenze tra gli anarchici sociali e quelli individuali sono due.

La prima riguarda il mezzo d’azione mediante la quale si realizzerà l’anarchia.

Gli individualisti hanno come cardine della loro azione l’educazione e la creazione d'istituzioni alternative, come unioni e comuni; sostenendo scioperi ed altre iniziative di protesta non violente.

Infatti, ritengono che la rivoluzione sia contraria ai principi anarchici, ed auspicano alla riforma del sistema capitalista.

Gli anarchici sociali, invece, pur riconoscendo l’importanza dell’educazione e della creazione d’istituzioni alternative, sostengono che ciò non sarà mai sufficiente.

Fondamentale è, per questo filone dell’anarchismo, il processo rivoluzionario che porta all’abbattimento del sistema capitalista.

La seconda differenza sta nel tipo d'economia da instaurare una volta creata la società anarchica.

Gli individualisti preferiscono un sistema basato sul mercato della distribuzione, mentre i sociali sono per un mercato basato sui bisogni.

Entrambi sono d’accordo sull’abolizione dei diritti di proprietà capitalisti, e che l’utilizzo temporaneo dei mezzi di produzione può essere concesso a singoli o ad associazioni.

Perché sia gli uni sia gli altri seguono il lavoro classico di Proudhon Che cos’è la proprietà dove egli argomenta che il possesso deve rimpiazzare la proprietà[29].

Gli anarchici sociali poi, propongono un possesso ed un uso comunale; ognuno ha il possesso sulla cosa personale, ma non sui mezzi atti a produrla.

Entrambi seguono l’esempio: “L’orologio è tuo, ma la fabbrica degli orologi è del popolo”[30].

Mentre gli individualisti sostengono che ogni lavoratore deve possedere i propri mezzi di produzione, scambiando il prodotto del suo lavoro con altri lavoratori.

Infine, una variante del tutto particolare dell’Anarchismo, molto lontana sia dai sociali sia dagli individualisti, è quella dello scrittore Lev Tolstoj, e questa può essere definita come una forma di “Anarchismo religioso”.

La particolarità, di questa piccola corrente del movimento anarchico, va ricercata nel fatto che sono gli unici anarchici che non auspicano ad una trasformazione sociale della società.




2.2 Anarchici individualisti: Max Stirner


Max Stirner, pseudonimo di Johann Kaspar Schmidt nasce a Bayeruth nel 1806 e muore a Berlino nel 1846.

L’unica sua opera di un certo rilievo è L’unico e la sua proprietà apparsa nel 1845, ad opera dell’editore Wigand di Lipsia, cui faceva capo il radicalismo politico e filosofico del momento.

Con L’unico, alla quale fanno da contorno alcuni scritti e traduzioni di scarso rilievo, Stirner espresse tutta la sua delusione e il suo disinganno verso l’umanità e la collettività, cui aggiunse un esplicito odio verso la società borghese, alla quale era imputabile la corruzione dell’uomo[31].

Il suo giudizio demolitore partiva dalla dibattito della sinistra hegeliana, specie da Feuerbach nella critica alla religione, e giungeva a due conseguenze estreme, la negazione di Dio e dello Stato, e per contro l’esaltazione dell’Io individuale[32].

Il filosofo tedesco delinea quindi, un ateismo antiautoritario, in grado di dissolvere ogni gerarchia, perché non ci si deve limitare ad uccidere Dio[33].

Ma sostiene che bisogna abolire il rapporto di dipendenza tra il singolo individuo e ogni entità che gli è estranea e che lo sovrasta; tutto deve cadere e deve imporsi soltanto ”l'egoista”, perché solo nel suo egoismo l’uomo può avere un’esistenza reale e autonoma.

Inoltre, egli si scontrerà nella società contro gli altri egoismi, in una lotta dalla quale uscirà vincitrice l’individualità più forte.

Per Stirner quindi, non hanno alcun valore né significato le strutture presenti nella società, perché a trionfare è unicamente la volontà egoistica, che inoltre, contiene in sé il germe della giustizia[34].

Solo l’unione delle individualità è in grado di formare un progetto politico e organizzato in modo da guidare la vita nell’intera società, dopo aver distrutto e cancellato lo Stato.

L’Io stirneriano è al centro dell’universo, infatti, egli sostiene che la “centralità dell’individuo azzera ogni significazione del mondo che non sia una sua creazione”[35].

La stessa libertà tanto importante per il resto degli anarchici per Stirner passa in secondo piano, perché essa diventa un prodotto dell’azione individuale, e ciascun singolo deve liberarsi al di fuori d'ogni concessione.

Inoltre, per Stirner non è concepibile nessun egualitarismo, in quanto appartiene al singolo tutto ciò che questi riesce a conquistarsi con la forza, con la capacità e anche con la violenza, da usare contro l'oppressione e per la salvaguardia dei propri diritti, che egli definisce “egoistici”[36].

Quindi la società stirneriana è in pratica una collettività disgregata, dove è stato abolito ogni dominio delle forze tradizionali e dove l’uomo da solo, è inserito in un'associazione libera e scelta volontariamente e non pensa più al benessere universale, ma esclusivamente al proprio progredire.

Nonostante Stirner non abbia mai avuto l’intenzione di fondare una scuola di pensiero, né tantomeno di tracciare delle linee guida e delle indicazioni, in ogni caso il suo pensiero libertario e antigerarchico ha rappresentato uno dei filoni dell’Anarchismo.

Più propriamente di quel filone che in anni più tardi si chiamò “Anarchismo individualista”, che soprattutto negli Stati Uniti ebbe sviluppi di una certa ampiezza, anche se ideologicamente non molto originali rispetto al punto di partenza.

Creando, comunque un certo numero di seguaci anche fuori dagli Stati Uniti, specialmente in Inghilterra.

Tra gli autori che si batterono per cercare di adattare le idee stirneriane a società evolute economicamente e industrialmente come quell'inglese e quell'americana, si ricordano John Henry Mackay e Benjamin R. Tucker e rappresentano in certo modo una sorta di continuità con il filosofo tedesco.

Mackay non solo riscoprì e ripubblicò l’intera produzione stirneriana, ma cercò di diffonderne le idee attraverso un’azione politica, che pur mancando d'originalità esercitò una certa influenza sul movimento sindacalista anarchico.

Mentre Tucker, portò l’individualismo di stirner all’estrema esasperazione, cui aggiunse una teoria economica anticapitalista, ma imperniata sulla concorrenza, perché per lui la libertà deve essere innanzi tutto economica[37].

Dopo lo “stirnerismo” all’americana di Tucker, il lavoro nel campo dell’individualismo anarchico fu continuato, con poco successo, da Lawrence Labadie.



2.3 Anarchici sociali


La componente cosiddetta “sociale” del movimento anarchico rappresenta quel filone che nell’arco della sua storia ha dato origine alle sfumature più diverse.

Infatti, all’interno della tendenza “sociale” si possono riscontrare almeno quattro principali correnti di pensiero.

Inoltre, quasi ad ogni corrente corrisponde uno dei maggiori pensatori, divulgatori e teorici della teoria anarchica.

Il tutto a testimoniare, ancora una volta, la diversità di vedute, spesso lievi altre volte accentuate, all’interno del pensiero anarchico, una vera e propria costante del movimento.



2.3.1 mutualisti: Pierre-Joseph Proudhon


Con Pierre-Joseph Proudhon, nato a Besançon nel 1809 e morto nello stesso luogo nel 1865, si ha il primo teorico dell’anarchia, infatti, alcuni decenni dopo la sua morte fu definito da Petr Kropotkin come il “padre dell’anarchismo”.

In tutte le sue opere egli enunciò, anche se in maniera disorganica, le sue dottrine anarchiche.

Le sue opere principali sono Confessioni di un rivoluzionario, La capacità politica della classe operaia, che lasciò in eredità al movimento operaio dopo la sua morte, ed infine Che cos’è la proprietà?.

In quest’ultima, ritenuta da molti la maggiore opera dell’anarchico francese, egli esprime il rifiuto per tutte le forme di governo, dalla democrazia al comunismo, e dichiara “io sono un anarchico”[38].

Proprio in virtù di questa dichiarazione qualifica come tale la sua dottrina sul diritto, sulla proprietà e sullo Stato.

La giustizia è per Proudhon la legge suprema, proprio come per Godwin aveva avuto un ruolo centrale la ragione[39].

Per l’anarchico francese la giustizia consiste nel rispetto spontaneo e vicendevole della dignità umana, praticamente deve rappresentare il criterio di condotta che determina gli atteggiamenti umani.

Essa non ha alcun rapporto di derivazione dalla legge, anzi quest’ultima dovrebbe limitarsi ad applicare il cosiddetto “sentimento di giustizia”[40].

Inoltre, la giustizia rappresenta l’unico confine opponibile alla libertà dell’uomo, la quale al di là di essa deve essere assoluta.

L’unico obbligo imposto dalla giustizia è che ogni contratto, inteso come un patto collettivo, debba essere rispettato.

Proprio per tale concezione Proudhon rifiuta il diritto, in pratica le norme che costituiscono l’ossatura giuridica dello Stato.

Il pensiero di Proudhon si fonda sulle concezioni della libertà e dell’uguaglianza, che devono essere connesse ed equilibrate, in quanto mai una delle due deve prevalere sull’altra.

In Che cos’è la proprietà egli definisce la proprietà un furto, e soltanto con la sua abolizione si può ottenere l’uguaglianza.

Precisando però, che egli è per l’uguaglianza delle condizioni, dei mezzi, non per quella nel benessere, che non è altro che la conseguenza del lavoro.

Proudhon oltre ad essere contro la proprietà è contro l’appropriazione del frutto lavoro degli altri, però è a favore del possesso individuale all’interno di una società policentrica, in cui famiglie e singoli si scambino servizi uguali[41].

La società futura proudhoniana è anarchica, basata sulla libertà e sul benessere mediante il federalismo sul piano politico, e sul mutualismo in campo economico.

Con il primo concetto, cioè il federalismo, sostiene una società dove i principi della nazionalità sono sostituiti con l’organizzazione dei comuni e delle associazioni fino alla sansimoniana amministrazione delle cose.

Perché soltanto con un'associazione naturalistica è possibile risolvere il problema sociale, senza violenza e senza lotta di classe.

Di conseguenza la società deve fondarsi su un federalismo pluralista che regoli i rapporti socio-economici e garantisca la libera ed uguale possibilità d’espressione dell’individuo o del gruppo[42].

Il federalismo proudhoniano non è altro, come egli sostiene, una federazione di gruppi in modo antiautoritario, costituiti da tutto il popolo che rappresenta il vero depositario del potere esecutivo[43].

Proudhon ritiene che il solo sistema in grado di far funzionare in senso economico tale organizzazione federalista antiautoritaria è il mutualismo cioè un’organizzazione socialista pluralista decentrata[44].

Con il mutualismo egli enuncia una teoria contrattuale, per la quale i lavoratori, in quanto produttori di merci all’interno di una società autogestita, si sarebbero scambiati i prodotti.

Perché soltanto rispettando un libero “contratto” o ”patto” l’individuo diventa responsabile ed entra a far parte della collettività di uomini liberi.

In tal modo semplici lavoratori avrebbero costituito una comunità omogenea ed armonica basata sulle associazioni, come strumento tipico degli uomini con interessi comuni, e sul lavoro come caratteristica essenziale dell’uomo[45].

La sua dottrina solidaristica giustifica quindi una società senza governo e senza autorità, per questo motivo oltre ad opporsi all’autorità dello Stato si oppone anche a quella della Chiesa[46].

Negli anni seguenti alla sua morte ebbero grande l’influenza le sue tesi anarco-mutualiste, molti rivoluzionari ed anarchici lessero e discussero le sue opere da Carlo Pisacane a Michail Bakunin fino a Lev Tolstoj.

Altri invece, se ne fecero dei veri e propri diffusori ardenti, come gli spagnoli Ramòn de la Sagra e Francisco Pi y Margall che contribuirono all’affermazione delle tesi proudhoniane in Spagna.

Il mutualismo si trasformò in una vera e propria corrente agente nell’ambito del movimento operaio francese e nell'ambito della Prima Internazionale, dove tenne per parecchi anni posizioni di maggioranza e rappresentò l’ala moderata dell’associazione fino all’avvento del collettivismo bakunoniano e del socialismo marxista[47].

Infine, le tesi proudhoniane ebbero molta influenza anche nelle correnti anarco-sindacaliste e in quelle anarco-comuniste.




2.3.2 collettivisti: Michail Bakunin


Michail Aleksandrovic Bakunin fu il maggior rappresentante del movimento anarchico internazionale, il primo agitatore che cercò di elaborare un corpus dottrinario.

Bakunin nacque a Tver, l’odierna Kalinin, non lontano da Mosca nel 1814, ma visse prevalentemente gli anni dell’attività anarchica in Occidente, prevalentemente in Francia, Svizzera ed Italia.

Infatti, proprio dalla cultura occidentale fu influenzato in gioventù in particolare da Hegel e da Fichte, ma soprattutto dal quel filone di cultura popolare e socialista, tendenzialmente libertaria, che ebbe nel maggior esponente nel comunista tedesco Wilhelm Weitling.

L’anarchico russo fu tra i tanti aristocratici ad abbracciare la causa libertaria, infatti, in tutta la sua vita si comportò da antiautoritario, respingendo ogni legame con le convenzioni vigenti, non rispettando né leggi né consuetudini[48].

Il pensiero bakuniano si presenta come un tutto organico fondato sull’anarchia, sulla liberazione dell’uomo, sul rifiuto di ogni socialismo di Stato, sull’esaltazione dei ceti non inseriti nel sistema industriale di produzione e sulla loro volontà di rivolta.

L’opera principale in cui ha trovato parziale espressione il suo pensiero è Stato e anarchia, pubblicata in russo per la prima volta nel 1873.

Le altre opere comprendono oltre ad una raccolta di suoi scritti sotto il nome di Bakunin sull’Anarchismo, L’idea dello Stato e Dio e lo Stato.

Per delineare il pensiero dell’anarchico russo ci si deve riferire anche alle lunghe lettere ad amici, pubblicate su diversi giornali, agli opuscoli e alle polemiche frequenti con avversari politici come Marx e Mazzini[49].

Bakunin nel criticare Mazzini metteva in luce che il suo rivoluzionarismo non faceva più paura ai ceti dominanti, perché dopo i primi anni di attività popolare aveva preferito entrare nell’alveo della politica ufficiale.

Ma soprattutto non accettava la concezione teocratica dello Stato mazziniano, per Bakunin, che rifiutava la Chiesa e la religione in tutte le sue manifestazioni e ne considerava lo Stato il “fratello cadetto”, bisognava abolire questi due poteri non riformarli o separarli[50].

Quindi attribuisce al rivoluzionario italiano, un errore fondamentale quello di accettare lo Stato, la Chiesa e di conseguenza l’autoritarismo.

Durante la sua permanenza in Italia per contrastare le associazioni mazziniane organizzò addirittura delle società segrete, e collaborò a Napoli alla rivista “Libertà e Giustizia”.

Il dissenso con Marx invece, è di diversa natura, infatti, i punti di divergenza vertono oltre che sul concetto di Stato, soprattutto nelle concezioni di classe, del proletariato e sul significato del collettivismo nei confronti del comunismo.

Bakunin condanna il pensiero di Marx per la centralità attribuita alla conquista dello Stato e del potere, accusandolo di essere un comunista autoritario e centralista.

Per l’anarchico russo Marx vuole le stesse cose degli anarchici, vale a dire il trionfo completo dell’uguaglianza economica e sociale, però nello Stato, attraverso la potenza dello Stato e con una dittatura, quindi per Bakunin mediante la negazione della libertà.

Per Bakunin lo Stato è la forma principale dell’oppressione, che per realizzare lo sfruttamento del lavoratore e in genere dell’uomo, si avvale del capitalismo e come strumento della borghesia.

Lo Stato non è altro quindi, che sinonimo di costrizione, di dominazione attraverso la forza, camuffata se possibile, ma al bisogno, brutale e cruda.

L’organizzazione statale è contraria alla natura dell’uomo e rappresenta un limite alla libertà dell’uomo, di conseguenza il raggiungimento della libertà, ossia lo scopo supremo di tutto lo sviluppo umano, passa attraverso la lotta allo Stato e contro, quella che per Bakunin n'è la prima conseguenza, la proprietà privata ereditiera.

Quindi non importa se lo Stato è socialista, comunista o borghese, in quanto in ogni caso esso è una manifestazione autoritaria, una negazione della morale e dell’umanità[51].

L’abolizione dello Stato diventa per Bakunin una necessità storica, la quale avrebbe prodotto a sua volta l’anarchia che avrebbe dato vita alla solidarietà umana, cioè all’organizzazione dell’ordine, della giustizia, della libertà e dell’uguaglianza.

Una volta abolita la macchina oppressiva statale, si affermeranno le comuni popolari, che a loro volta si riuniranno in una libera federazione su scala regionale, ed in seguito le regioni si collegheranno a quell’insieme più ampio con il nome di nazione[52].

Per Bakunin ogni individuo, ogni associazione, ogni nazione, hanno l’assoluto diritto di disporre di sé e di autogestirsi[53].

Il federalismo bakuniano, di derivazione proudhoniana, garantisce oltre ai risultati di armonia e di solidarietà, come massimo intento raggiungibile, la pace universale.

Inoltre, la società futura di Bakunin cui l’uomo approderà è descritta in termini armonici e ottimistici, che mostrano chiaramente le influenze subite da parte degli utopisti di qualche decennio prima in particolare dal babouvismo e dal blanquismo.

Le sue tesi libertarie comportavano il rifiuto dell’organizzazione politica dei lavoratori, pur riconoscendo la necessità di muoversi all’interno del movimento operaio.

Bakunin propone di lasciare all’azione spontanea dei lavoratori la possibilità di agire in senso rivoluzionario, usufruendo della violenza e anche dello sciopero politico e facendo leva sui ceti più incolti e miseri della società.

Così mentre nega, in un certo senso, al movimento operaio di organizzarsi politicamente, ritiene che le masse possano essere indirizzate verso scopi rivoluzionarie anarchici da un “gruppo-guida”.

In questo modo egli anticipa la tesi bolscevica, sostenuta da Lenin, che rese possibile il successo della rivoluzione in Russia nell’ottobre del 1917.

Nell’ambito delle masse, poi, la paysannèrie, cioè la classe contadina composta da braccianti e da lavoratori precari e stagionali, doveva rappresentare la spinta naturale, federalista e antiautoritatria[54].

La paysannèrie è quella classe che Bakunin chiama sottoproletariato, ed è più sfruttato e oppresso dell’aristocrazia operaia cittadina, quindi è destinata ad assumere una posizione di guida rivoluzionaria, specialmente nei paesi più arretrati come l’Italia e la Spagna.

Il socialismo libertario di Bakunin costituisce dunque, una sorta di emancipazione universale per la conquista dell’uguaglianza economica, della libertà, della moralità, dell’umanità, della solidarietà ed infine dell’anarchia.

L’anarchismo che Bakunin propone, benchè egli stesso lo qualifichi come “socialismo” rifacendosi all’ispirazione proudhoniana, in effetti è collettivistico, e tali sono state definite le sue istanze di riforma sociale.

Egli condanna ogni individualismo, accettando la libertà individuale solo nell’ambito di quella collettiva, e l’uomo per considerarsi libero, deve esaltare i vincoli sociali e di solidarietà che lo legano ad altri uomini, vivendo in condizioni naturali di uguaglianza sociale.

Bakunin inoltre, precisa che la libertà ha due momenti fondamentali, il primo consiste nel suo carattere positivo, cioè nel pieno sviluppo di tutte le facoltà e potenzialità umane, mentre il secondo, negativo, scaturisce dalla rivolta dell’individuo, che si rivolge contro l’autorità divina e umana[55].

La libertà quando poi si universalizza e diventa uguaglianza, e quest’ultima non è una linea d’arrivo, ma di partenza perché non si tratta di rendere gli uomini uguali tra loro, ma di creare le condizioni oggettivo-materiali per far sì, che tutti gli essere umani, possano usufruire delle stesse possibilità di sviluppo e di vita[56].

Poi continua sostenendo che del resto anche il lavoro che per essere produttivo deve essere collettivo, ma soprattutto eliminando la sua divisione gerarchica si rende impossibile anche la diseguaglianza.

Il collettivismo bakuniano è, secondo Kropotkin, un comunismo non autoritario, federalista ed anarchico, dove è sempre presente la costituzione di gruppi autonomi, cioè di associazioni cooperative ad adesione spontanea, in grado di gestire la proprietà collettiva.

L’anarchismo del teorico russo, si affermò nell’Associazione Internazionale dei lavoratori, in Italia e Spagna, e rappresentò, insieme alla corrente proudhoniana, la principale opposizione al marxismo.

Bakunin denunciò apertamente gli atteggiamenti dispotici di Marx e sostenne la creazione di una internazionale antiautoritaria.

Al congresso dell’Aja nel 1872 Marx prevalse su Bakunin, il quale insieme ai suoi seguaci, fu escluso dall’organizzazione al successivo congresso tenutosi a Londra.

I suoi seguaci seguirono l’insegnamento del maestro e crearono una nuova organizzazione, l’Internazionale Nera, composta esclusivamente da anarchici.

Ma anche in seguito alla morte di Bakunin, avvenuta nel 1876, la nuova internazionale non conseguì nessun successo di rilievo[57].

Mentre le sue idee negli anni successivi contribuiranno alla formazione di numerosi pensatori ed agitatori anarchici, infatti, Stato e Anarchia sarà considerato il libro simbolo dell’anarchia.

Particolarmente attivi nella diffusione del pensiero bakuniano furono l’ingegnere Riccardo Mella in Spagna e il neo-storicista Jean Marie Guyau in Francia.



2.3.3 anarco-comunisti: Petr Kropotkin


Petr Alexievic Kropotkin nacque a Mosca nel 1842 da una famiglia aristocratica.

Infatti, fu un principe russo, ma anche uno scrittore ed un affermato geografo, ed è stato definito “l’ultimo dei grandi teorici anarchici”[58].

Dopo gli studi a San Pietroburgo intraprese, per volontà della sua famiglia, la carriera nell’esercito dove, alcune particolari esperienze, suscitarono in lui un profondo disprezzo per l’autocrazia.

Lasciato l’esercito si dedicò alle esplorazioni geografiche e nel frattempo, attraverso le letture delle opere dei principali teorici del Socialismo, maturò le sue idee rivoluzionarie.

Proprio le sue idee nell’arco della sua vita gli costarono varie condanne e persecuzioni da parte delle polizie europee.

Il suo pensiero, per certi aspetti, è anche mutato nell’arco della sua vita, ma egli ha sempre avuto come capisaldi la lotta contro lo stato e contro l’autorità governativa[59].

Il parziale cambiamento del suo pensiero avvenne, per lo più, per gli insuccessi delle sue attività di agitatore e di quelle del movimento rivoluzionario[60].

Kropotkin combatté la sua battaglia tramite i suoi scritti e i suoi giornali, stesi con un linguaggio semplice e popolaresco, e con un tono spesso didascalico.

Come Bakunin, elaborò il suo pensiero libertario in Occidente, particolarmente in Svizzera, in Francia ed in Inghilterra dove contribuì alla fondazione del periodico Freedom e del Freedom group, un’organizzazione anarchica ancora oggi esistente.

Poi dopo la rivoluzione d’Ottobre tornò in Russia, dove morì, a Dmitrov vicino Mosca nel 1929, senza essersi riconciliato con i bolscevichi al potere, mantenendo fino all’ultimo le sue idee antiautoritarie.

L’anarchico russo è considerato dai contemporanei nello stesso tempo, un teorico dell’azione violenta per l’abolizione di ogni potere, e un esaltatore della pace universale, in un mondo idealizzato di benessere e di felicità generali[61].

Per quanto riguarda la formazione del suo antiautoritarismo, si può sostenere che molteplici esperienze e dottrine influirono su di lui, non solo la breve carriera nell’esercito, ma soprattutto il populismo russo della seconda metà dell’ottocento.

Ebbero un ruolo fondamentale poi, le influenze delle tesi proudhoniane e del socialismo utopistico di Charles Fourier, che gli fornì i concetti di economia sociale e di lavoro piacevole.

Ma determinante per la sua formazione fu il soggiorno in Svizzera, nei monti del Giura e del Neuchàtelese, dove, si può dire che, egli incontrò i principi dell’uguaglianza, dell’indipendenza di pensiero e di linguaggio.

I testi nei quali Kropotkin presentò la propria ideologia furono molti, tra i più importanti e significativi per l’espressione del suo pensiero si ricordano Il mutuo appoggio, Scienza moderna e anarchismo, Campi fabbriche ed officine, Parole di un ribelle e Memorie di un rivoluzionario.

Inoltre, del russo si hanno numerosissimi opuscoli e pamphlets, che videro dovunque ripetute edizioni in lingue diverse e in raccolte.

Con Kropotkin, più che con Bakunin, l’anarchia assume l’aspetto di un complesso organico, non rivolto unicamente all’individuazione di alcuni temi libertari o all’identificazione dei mezzi per l’eliminazione delle strutture di potere, ma in grado di presentarsi come teoria politica globale e come ideale d’azione[62].

Egli sostiene che l’anarchia procede in accordo con gli sviluppi della scienza moderna, e studiando i progressi di quest’ultima si ricercano addirittura le origini dell’anarchia.

Quindi vuole dimostrare che l’anarchia è il risultato inevitabile del movimento intellettuale nelle scienze naturali, e di conseguenza l’Anarchismo è in perfetta sintonia con la crescita e la fine della scienza[63].

I capisaldi del pensiero kropotkiano sono il mutuo appoggio, la lotta alla proprietà individuale e l’abolizione dello Stato.

Kropotkin ritiene il mutuo appoggio la base di partenza per una società libertaria, in quanto esso rappresenta il “fattore dell’evoluzione”, mentre la solidarietà, cioè una legge della natura, è l’elemento fondamentale per il progresso, che unito al “lavoro comune”, costituisce il punto di partenza per la lotta dell’uomo contro la natura ostile[64].

Questa lotta non deve avvenire ne con la rivoluzione ne con la lotta di classe, in quanto entrambe impediscono l’evoluzione naturale e libera della società, la quale avviene, soltanto attraverso la solidarietà e il mutuo soccorso[65].

Ma sostiene che fondamentale è anche il contributo dell’unica forma economica organizzata, che concede all’uomo la massima libertà possibile, la cooperazione.

L’impulso a cooperare supera per Kropotkin ogni possibile antagonismo e costituisce di per sé la base del progresso nella libertà, cioè nell’anarchia.

Pur essendo contrario alla rivoluzione, la ritiene fondamentale in certe epoche, in quanto solo mediante l’atto rivoluzionario generale si può avere il momento ultimo dell’evoluzione, che annuncia l’anarchia.

Inoltre, Kropotkin precisa che la rivoluzione non deve portare al rovesciamento del governo esistente e alla sostituzione con uno rivoluzionario, ma alla prese di possesso da parte del popolo e alla conseguente abolizioni di tutti i poteri, con la restituzione al popolo di tutta la ricchezza sociale esistente.

Della proprietà individuale sostiene che essa non fa altro che portare allo sfruttamento dell’uomo, quindi si potrà giungere ad una soluzione unicamente mediante l’espropriazione.

Quest’ultima, puntualizza l’anarchico russo, non è diretta verso l’individuo, ma verso tutto il meccanismo sociale che condiziona contemporaneamente la proprietà e l’individuo[66].

Di conseguenza, l’atto dell’espropriazione, deve comprendere tutto ciò che permette a chicchessia di appropriarsi del lavoro altrui[67].

Essa consiste nel momento più alto del processo rivoluzionario, Kropotkin, in una concezione tutta sua, addirittura tende a far coincidere il termine con anarchia.

Nell’argomentare l’abolizione dello Stato, invece, segue a grandi linee l’analisi dei suoi precursori e in particolare di Bakunin.

Nell’opera il mutuo appoggio egli procede ad una formulazione classica dell’idea comune a tutti gli anarchici che la società è un fenomeno naturale esistente fin dalla prima apparizione dell’uomo, e che l’uomo è per la sua natura, è portato a rispettarne le leggi senza bisogno di regolazioni artificiali come il Governo e lo Stato.

Perché queste organizzazioni non fanno altro che sgretolare la società, impedendone le unioni tra gli uomini e ostacolandone le iniziative locali e individuali.

Infatti, lo Stato ha condotto, e condurrà in ogni epoca storica, alla morte delle civiltà, nate con lo sviluppo spontaneo delle tribù primitive[68].

Semplicemente perché per l’individuo è impossibile ottenere un pieno sviluppo delle proprie capacità in condizioni di oppressione della “bell’aristocrazia”, cioè dei governanti[69].

L’unica soluzione dunque, è demolire integralmente la macchina statale, anche perché la società può vivere indipendentemente dallo Stato e dal governo, e di sostituirla con il comune indipendente, nato dall’unione libera e spontanea.

La comune, cioè l’unità amministrativa locale, non è un organo governativo, ma semplicemente un’associazione volontaria, cui fanno capo tutti gli interessi sociali, rappresentati dagli individui[70].

Quindi questa particolare organizzazione è l’unico organo che può garantire l’associazionismo, ossia quell’atto spontaneo e naturale che è all’origine dell’evoluzione umana, basti pensare, sostiene Kropotkin, alle antiche forme di clan e tribù[71].

Inoltre, alla base della comune stanno due principi fondamentali, quello della libertà individuale e quello federativo, infatti, lo Stato sarà sostituito dalla libera federazione dei comuni.

Anche le fabbriche si doteranno della medesima organizzazione, tale che la nuova struttura economica corrisponderà a quella della federazione politica.

Sul piano economico la Comune troverà espressione nella libera disponibilità dei beni e servizi per tutti coloro che ne hanno bisogno[72].

Il prevalente interesse sociale e la soluzione comunistico-egualitaria che egli propone contro i mali del mondo egoistico della proprietà e del capitalismo, fanno sì che la dottrina kropotkiana sia identificate precisamente come anarco-comunismo[73].

Quindi una particolare concezione di comunismo, che ha come presupposto uomini liberi e senza governo.

La completa formulazione è sviluppata nell’opera La conquista del pane, dove risalta la caratteristica principale del comunismo anarchico che lo distingue dalle altre dottrine libertarie, ossia l’idea della libera distribuzione.

Tale teoria è più vecchia dell’anarchia, in quanto fu formulata per la prima volta da Munzer e da Winstanley, ma Kropotkin si rifaceva all’idea dei falinsteri di Fourier.

Sosteneva Kropotkin che soltanto il comunismo anarchico sarà in grado di garantire all’individuo la maggior conquista che conduce al progresso: la libertà economica, accostata però al sentimento di giustizia e al bisogno di solidarietà.

Quindi la società anarchica futura dovrà abolire non soltanto la proprietà, ma lo stesso sistema salariale in quanto sinonimo di coercizione, e pervenire alla collettivizzazione dei mezzi di produzione[74].

Tutti con il nuovo sistema potranno assumersi la propria parte di responsabilità, e realizzatasi la rivoluzione sociale, l’anarchia diventerà un vero e proprio ideale di organizzazione politica, nel senso che rappresenterà la tendenza dell’umanità.

Dopo Kropotkin l’anarchia non ha avuto più grandi sviluppi, e gli anarchici che sono seguiti hanno solo contribuito a diffondere e popolarizzare gli ideali libertari.

Le sue tesi, per esempio, furono parzialmente riprese, con poca fortuna, dall’esule russa negli Stati Uniti Emma Goldman intorno agli anni venti secolo scorso.

L’anarchica combinò le tesi anarco-comuniste kropotkiane con quelle individualiste di Stirner, in una teoria passionale e potente che combinava il meglio d’entrambi.

Un organizzatore dell’anarco-comunismo, seguace fedele di Kropotkin, in Francia fu Jean Grave, il quale si scagliò contro tutte le autorità e le forme di sindacalismo, anche contro quello anarchico e rivoluzionario.

L’anarchico francese si dedicò con particolare attenzione ai problemi dell'educazione, cercando di configurare idealmente quello che avrebbe dovuto essere l’insegnamento anarchico.

Esso secondo lui è caratterizzato da quattro particolarità, cioè l’essere integrale, razionale, misto (per entrambi i sessi e comunitario) e libertario; quest’ultima qualificazione sta ad indicare il fatto che lo scopo dell’educazione è quello di formare uomini liberi e rispettosi anche delle libertà altrui[75].



  2.3.4  anarco-sindacalisti


Un filone anomalo rispetto all’Anarchismo tradizionale, anche per la mancanza di un teorico come fondatore e come ruolo guida, è quello dell’anarco-sindacalismo.

Questa variante dell’Anarchismo tralascia il tradizionale indirizzarsi agli individui o a piccoli gruppi locali, e si rivolge a masse organizzate e intende anteporre ai problemi e alle prospettive dei singoli quelli di un’organizzazione superiore.

Le prime fonti dell’anarco-sindacalismo possono rinvenirsi nelle concezioni bakuniane, le stesse poi leniniste, riservanti a una minoranza rivoluzionaria il ruolo guida del movimento.

Ora l’anarchismo entrando nel sindacato operaio, in vario modo, trova anche quella forza che prima gli era mancata nel piccolo gruppo locale organizzato, dove era facile preda di repressioni[76].

Si può dire che il movimento nacque in Francia, intorno al 1884, e per qualche decennio gli anarchici parteciparono alle attività sindacaliste.

Sempre nel paese transalpino, col progredire dell’organizzazione dei sindacati, accanto alle teorie socialiste, si andarono formando due correnti, a volte contrapposte, a volte parzialmente coincidenti, infatti, oltre all’anarco-sindacalismo si formò il sindacalismo rivoluzionario.

Quest’ultimo, il sindacalismo rivoluzionario, pur accogliendo in generale le teorie dell’Anarchismo, se ne distingueva sul problema dello Stato e sul concetto di rivoluzione.

Gli anarco-sindacalisti invece, inserendosi nelle future camere del lavoro, propugnarono la tesi dell’azione diretta e soprattutto dello sciopero generale.

Essi concedevano unicamente fiducia all’individuo singolo, immesso però nella collettività del sindacato, il solo in grado di portare avanti un’azione economica contro il padronato, e l’unica in grado di restituire al lavoratore moderno le libertà perdute.

Non sempre però il movimento può distinguersi agevolmente dal sindacalismo rivoluzionario, che rappresenta una sorta di continuazione con la vera e propria tradizione anarchica, criticando fortemente lo Stato e ritenendo il solo modo d’azione valido l’uso della forza[77].

Il sindacalismo ritiene lo Stato un comitato esecutivo degli interessi della borghesia, conseguentemente auspica ad una sua abolizione e rifiuta ogni rappresentanza politica parlamentare, perché indiretta, e non ripone nessuna fiducia nelle leggi e nelle istituzioni presenti.

Come il pensiero tradizionale anarchico, vuole attribuire la proprietà dei mezzi di produzione, non alla collettività, ma alle singole categorie, e pensa ad una società federalistica basata su sindacati e cooperative.

Il mezzo rivoluzionario è lo sciopero generale economico, attraverso il quale si realizza sia l’unità operaia che la trasformazione sociale della società.

Dunque questi due complessi dottrinali, nonostante alcune differenze, si presentano incorporati l’uno con l’altro, finché il sindacalismo rivoluzionario non esautorò l’anarco-sindacalismo.

I maggiori teorici e organizzatori anarco-sindacalisti furono Emile Pouget, Fernand Pelloutier, Paul Delesalle e l’intellettuale olandese Christian Cornelissen.

Essi insofferenti della distanza sempre più ampia prodottasi tra il movimento anarchico e il mondo operaio, avevano deciso per un’entrata organica degli anarchici nei sindacati, sia nella Confèdèration Gènèrale du travail che nella Fèdèration des Bourses du travail[78].

Ciò comportò l’abbandono del terrorismo individualista e la riscoperta, dopo lo smarrimento storico, dell’autentica natura del proletariato dell’Anarchismo[79].

I mezzi per dare una svolta alla società, e procedere ad una trasformazione in senso socialista ed anarchico, erano poi gli stessi dei sindacalisti rivoluzionari, cioè l’azione diretta e lo sciopero generale, concepito come sostitutivo dell’insurrezione tradizionale[80].

Mentre l’azione diretta consisteva in una ribellione nei confronti dello Stato, sotto varie forme fino al sabotaggio nei luoghi di lavoro[81].

Perché dalla paralisi della macchina economica doveva conseguire il tracollo politico-istituzionale dell’intero sistema borghese[82].

Per attuare il loro progetto, Pelloutier e Delesalle, individuarono nelle camere del lavoro il nucleo di partenza e della società futura, fondata, una volta abbattuto il dominio borghese, sull’associazione libera e spontanea di tutti i produttori.

Si tratta, quindi, di un’unione corporativa basata sul comunismo libertario, in quanto prevede un’organizzazione egualitaria dove sono essenziali i due fattori della volontarietà dell’adesione e dell’indipendenza di ogni autorità superiore, vale a dire ogni governo.

A fianco di Pelloutier si schierò Pouget, autore di numerosi scritti sul problema degli scioperi e del sindacato.

Per Pouget il sindacato costituisce l’organizzazione economica di base, dalla quale sarebbe derivata un’organizzazione libertaria, federativa, che avrebbe sostituito lo Stato.

L’anarco-sindacalismo ebbe in Francia, sotto la guida di Pouget, il suo momento di maggior espansione ideologica col congresso di Amiens, nel 1906, nel quale venne approvata la Charte d’Amiens[83].

In tale documento assumeva un ruolo di primissimo piano il sindacato, come unica organizzazione per combattere lo Stato, e in un futuro, l’associazione del sindacato doveva occuparsi della produzione e della distribuzione dei beni prodotti, in completa indipendenza.

Ma con la dichiarazione d’Amiens si ebbe una svolta decisiva verso il sindacalismo e quindi l’abbandono della tematica più tradizionalmente anarchica.

Di fronte agli anarco-sindacalisti vi era la forte schiera dei sindacalisti rivoluzionari, con in testa Georges Sorel e i suoi seguaci, sotto l’influenza di Proudhon e di Bakunin.

Il movimento nacque in Francia e si diffuse in Italia all’interno del Partito Socialista, all’indomani del congresso di Imola nel 1902[84].

La corrente del partito si formò ad opera di un gruppo di socialisti, in maggioranza meridionali, sulla scia del periodico “Propaganda”.

I maggiori esponenti furono, sicuramente, Arturo Labriola, Enrico leone, Ernesto Cesare Longobardi, Pasquale Guarino e Sergio Panunzio.

Molti individuano la nascita del sindacalismo rivoluzionario in Italia, come l’affievolirsi della spinta rivoluzionaria del Partito Socialista[85].

Nel 1912 dopo una stagione di lotte, il movimento fondò l’Unione Sindacale Italiana, che entrò ben presto in crisi sulla questione dell’interventismo nella prima guerra mondiale.

Nel dopoguerra, con il movimento ormai sciolto, la maggior parte dei sindacalisti italiani aderì al Fascismo, mentre quelli francesi confluirono nel Partito Comunista Francese[86].

Concludendo si può affermare che nessuno dei due movimenti ha dato vita ad una corrente anarchica originale e con un certo seguito, come sicuramente, lo sono state quelle dei padri dell’Anarchismo, Bakunin, Proudhon o Kropotkin.



2.4 Anarchismo religioso: Tolstoj


La corrente anarchica denominata Anarchismo religioso di diffuse in Russia verso la fine dell’ottocento e faceva capo allo scrittore Lev Tolstoj.

Lev Nikolaevic Tolstoy, nacque a Jasnaja Poljana, in Tula nel 1828 e morì, dopo un’intera vita dedicata alla letteratura, ad Astapovo, nel Riazan nel 1910.

Tolstoy oltre ad essere un romanziere e letterato, fu un anarchico in grado di creare una certa attrattiva su numerosi movimenti e gruppi politici.

Egli non ammise mai di essere anarchico, perché riservava questo nome a coloro che, volevano trasformare la società con mezzi violenti, ma le sue idee senza esitazione possono essere definiti anarchiche[87].

Come del resto gli scritti e i romanzi dei suoi ultimi trent’anni non lasciano dubbi sulla loro natura.

Nei suoi collegamenti anarchici egli guardò poco a Kropotkin e nulla affatto all’altro compatriota Bakunin, si riferì piuttosto, al pensiero di Proudhon[88].

Espose la sua dottrina anarchica in numerosi scritti d’occasione e in articoli sparsi, pubblicati svariate volte ed editi in numerose lingue, fra tutti si possono ricordare, Il regno di Dio è in voi, La mia religione e La guerra e il servizio militare obbligatorio.

L’Anarchismo di Tolstoj, come il suo cristianesimo razionale, fu il risultato di esperienze sempre maggiori, dalla militanza nell’esercito fino al contatto con i popoli primitivi del Caucaso.

In tutti i suoi romanzi ricorre il tema e il desiderio dell’universale fratellanza umana e dell’esaltazione di ogni tipo di vita del contadino, semplice ed a contatto con la natura [89].

Il suo Anarchismo è un aspetto esterno del Cristianesimo, l’assenza di conflitto fra questi due aspetti è dovuta al fatto che la sua è una religione senza fede, infatti, fonda le sue convinzioni sulla ragione.

Per lui Cristo è un maestro non l’incarnazione di Dio, rende in questo modo la religione “umanizzata”, e continua sostenendo, che il regno di Dio bisogna cercarlo non fuori di noi, ma dentro di noi stessi.

La sua immanenza del regno di Dio è affine all’idea di giustizia trascendente di Proudhon, ed il suo concetto di religione fondato sulla ragione lo pone in stretto rapporto con Godwin e Winstanley [90].

Tolstoj, inoltre, concorda con l’Anarchismo classico circa l’illogicità e la dannosità del potere, ma ritiene che l’unico modo per liberarsi del potere umano consiste nell’accettare la legge divina, perché solamente questa è comune a tutti gli uomini e dunque veramente universale e pacificatrice[91].

Perché soltanto la religione cristiana, come da lui intesa, produce la completa libertà ed uguaglianza di tutti gli uomini.

Egli, nonostante ciò, non si propone di giungere a trasformazioni politiche, quanto di operare una rivoluzione morale, attraverso il rifiuto della società presente retta dall’incoerenza.

Perché tutti gli uomini sanno che le leggi sono false ed ingiuste, però ubbidiscono ugualmente, quindi bisogna spingere l’uomo ad uscire da questa incoerenza e liberarsi cercando di pervenire ad un nuovo ordine retto soltanto dalla ragione.

Un nuovo sistema dove si disubbidisce agli uomini e si ubbidisce soltanto a Dio, perché per essere liberi, da ogni potere umano, è sufficiente comprendere che il fine di ogni vita è di servire, amare e osservare la legge di Dio[92].

Il suo pensiero libertario, addirittura sotto alcuni aspetti è molto più radicale di quello tradizionale, dal momento che il rifiuto di obbedire all’autorità investe ogni comando umano.

Di conseguenza la concezione anarchica tolstojana poggia sul rifiuto della proprietà privata e dello Stato.

La prima viene respinta perché è oppressiva, perché chi è proprietario predomina su chi non lo è, ed inoltre, essa si perpetua con la violenza e con la forza.

Lo Stato invece, va respinto poiché significa violenza, e la sua esistenza, che si fonda sul concetto di potere, è contraddittoria nei confronti della predicazione pacifica del cristianesimo, che nel suo vero significato distrugge lo Stato, infatti, per questo motivo che Gesù Cristo fu crocifisso[93].

Lo Stato ostacola la libertà dell’individuo, lo inganna, lo sfrutta e soprattutto infierisce su di lui, avvalendosi delle prigioni, delle esecuzioni e del servizio militare coattivo.

Proprio quest’ultimo, il servizio militare obbligatorio, costituisce il punto più alto della violenza impiegata per il mantenimento dell’ordine sociale esistente, e attraverso di esso lo Stato esige la sottomissione assoluta dell’individuo[94].

Da questa constatazione egli trae il massimo risultato del suo anarchismo pacifico, con il rifiuto dell’obbedienza, unita al diniego dell’uso della forza e per contro l’esaltazione dell’esercizio della non violenza.

Tale complesso di comportamenti della dottrina tolstojana si traduce nella resistenza tramite il mezzo della disobbedienza, della forza passiva perciò alla violenza si oppone la forza morale, l’amore.

Egli insegnava che la forza morale di un uomo è più grande di quella di una moltitudine di schiavi silenziosi[95].

Mentre l’amore deve essere alla base della società tolstojana, in quanto esso con la bontà tra gli uomini e la fratellanza umana, sono i prodotti della religione, anzi sono per Tolstoj la religione stessa.

L’amore, un concetto mistico e politico nello stesso tempo rappresenta in sé tutta la forza del bene, la solidarietà, la forza che muove la società verso il progresso.

A questo punto il pensiero tolstojano coincide con quello di Kropotkin, e l’amore-solidarietà tende ad immedesimarsi nel mutuo appoggio, nella libera organizzazione della futura società anarchica[96].

Tale dottrina intrisa di pacifismo, di repulsione nei confronti dell’uso della forza, collegata ad un generico pensiero religioso, ottenne ampie influenze sia sui russi che sui non russi.

Nella sua patria i suoi discepoli fondarono delle vere e proprie colonie tolstojane basate sulla comunità dei beni e su un ascetico regime di vita.

Al di fuori della Russia influenzò anarchici pacifisti in Olanda, dove incontrò punti di contatto con il protestantesimo sociale nella figura del pastore F. Domela Nieuwenhuis, ma anche in Francia, dove il contatto fu con il cattolicesimo sociale di Emmanuel Mounier, ed infine in Gran Bretagna, con il poeta William Blake, e negli Stati Uniti.

Proprio negli Stati Uniti vi è l’esempio più importante della sua influenza sul mondo occidentale contemporaneo, il Catholic Worker group.

Il suo più grande discepolo fu sicuramente Mahatma Gandhi, infatti, proprio sotto l’influsso di Tolstoj, il leader indiano elaborò la tecnica della non violenza.



CAPITOLO TERZO


L’Anarchismo in Italia


 3.1 Il movimento anarchico italiano


La storia dell’anarchismo italiano è molto ricca, ma soprattutto, in essa, è particolarmente evidente la tendenza che caratterizza i movimenti anarchici ad assumere le caratteristiche locali[97].

Infatti, l’atteggiamento rivoluzionario del periodo risorgimentale fu uno tra i fattori decisivi per la nascita del movimento libertario, composto all’inizio da ex mazziniani ed ex garibaldini.

Inoltre, l’esistenza clandestina, le insurrezioni e le imprese spettacolari di questi ultimi, sotto la monarchia dei Savoia, contribuirono a determinare i modi d’azione anarchici.

In questo panorama si agitarono, parecchi personaggi, scrittori prolifici e polemici, autori di scritti di protesta sociale o semplicemente letterari, in genere tutti mossi emotivamente dai concetti di fratellanza universale e dalla richiesta di libertà per tutti[98].

Determinante fu sicuramente il soggiorno di Bakunin in Italia e l’influsso del pensiero di Proudhon diffuso dagli scritti e dalle parole di Carlo Pisacane (1818-1857), definito il Don Chisciotte del Risorgimento[99].

Pisacane mosso da tesi antiautoritarie e dalle letture di Pierre-Joseph Proudhon e Charles Fourier, sosteneva che per liberare la nazione, bisognava che insorgessero per primi i contadini, offrendo loro la liberazione economica dai proprietari terrieri.

L’eroe risorgimentale chiedeva, come Proudhon, che a ciascuno fosse garantito il frutto del suo lavoro e che la proprietà fosse abolita.

Pisacane poi, si spingendosi oltre il francese, sosteneva il collettivismo industriale e delle terre coltivate dalle comuni, in modo tale che il prodotto fosse diviso equamente fra il popolo.

Quindi lo scopo della rivoluzione era, per Pisacane, liberare la nazione dall’autorità borbonica e instaurare l’anarchia.

Egli non si lasciò dietro nessun movimento, ma provò ad accendere la fiaccola dell’anarchia, purtroppo la sua avventura finì tragicamente, fu sconfitto dalle forze borboniche per la mancata collaborazione d’insorti locali, sui quali aveva contato e che invece, gli si rivoltarono contro.

L’influenza di Proudhon penetrò in Italia anche nella forma più diretta del mutualismo, infatti, il primo giornale socialista fondato nel paese, Il proletario, diretto dal fiorentino Nicolò Lo Savio, era d’ispirazione proudhoniana.

Ma anche in Italia, come in Francia, i mutualisti inclinavano alla moderazione e al conservatorismo, e il loro contributo allo sviluppo dell’anarchismo diventava perciò insignificante[100].

Il movimento anarchico italiano cominciò in pratica con l’arrivo di Bakunin nel 1864, l’anarchico russo fondò la Fratellanza fiorentina e quella Internazionale.

Il movimento ebbe una consistenza incerta e soprattutto scarsi successi, però la sezione napoletana ebbe il merito di fondare il primo giornale anarchico italiano, Eguaglianza, soppresso dalla polizia dopo soli tre mesi.

Alcuni membri di questo gruppo, come Saverio Friscia, facevano parte con importanti cariche anche della massoneria meridionale[101], altri invece, come Giuseppe Fanelli, parteciperanno alle rivolte anarchiche spagnole.

Sulla scia della sfortunata comune parigina, invece, si creò dopo il 1870 in Italia un nuovo gruppo di libertari, destinati ad avere un ruolo di primissimo piano nelle vicende libertarie italiane.

I loro leaders Carlo Cafiero, Errico Malatesta e Carmelo Palladino erano tutti giovani meridionali, figli di proprietari terrieri e tutti venivano dalle regioni della penisola dove la povertà dei contadini era un fenomeno endemico.

Non erano altro che gli equivalenti italiani degli aristocratici russi, che dalla coscienza inquieta, nello stesso decennio avevano sentito il bisogno irresistibile di andare verso il popolo[102].

Negli anni immediatamente successivi si distinse un giovane studente romagnolo Andrea Costa (1851-1910), che con Cafiero e Malatesta, riteneva necessaria la propaganda dei fatti, per affermare il problema e mettere in luce il nuovo ideale.

Nell’estate del 1874, fu organizzata dal movimento l’insurrezione anarchica di Bologna, che seguendo l’insegnamento di Bakunin, avrebbe dovuto dare l’esempio alle altre città, e dare vita ad una vera e propria rivoluzione a carattere nazionale[103].

Però grazie a degli informatori, la polizia stroncò sul nascere la rivolta e arrestò i principali organizzatori.

Dopo brevissimo tempo il movimento ebbe la forza di rinascere, ed al congresso dominato da Cafiero e Malatesta fu adottato un programma intransigentemente insurrezionale e antipolitico, e sul piano teorico, una risoluzione che portava all’abbandono del collettivismo bakuniano a favore del comunismo anarchico[104].

Ma dopo il fallimento insurrezionale in Puglia e successivamente nel beneventano, le persecuzioni e in più con la defezione di Costa, che annunciò esplicitamente il proprio ritiro e passò al socialismo parlamentare, il movimento si ridusse a sporadici gruppi locali attivi solo con la propaganda dei fatti.

Il terrorismo anarchico per mano italiana, dopo l’episodio del cuoco napoletano Giovanni Passanante che tento di attentare re Umberto a Napoli, continuò fuori dei confini.

Infatti, il presidente francese Sadi Carnot, nel 1894, fu assassinato dall’anarchico italiano Sante Caserio, invece, il pugliese Michele Angiolillo, nel 1897, sparò al primo ministro spagnolo Antonio Canovas.

Un anno dopo Luigi Luccheni pugnalò a Ginevra la regina Elisabetta d’Austria detta “Sissi”, Luigi Luccheni infine, nel 1900, in Italia, Gaetano Bresci uccise Umberto di Savoia, già sopravvissuto a due attentati[105].

Gaetano Bresci

A questo punto il movimento si trovava in una situazione del tutto particolare, perché le gesta di questi assassini contribuivano a screditare gli anarchici, in più fornirono altri pretesti alle polizie per le persecuzioni.

La logica conseguenza fu che i gruppi anarchici si formavano e scioglievano in brevissimo tempo, per l’inconsistenza numerica, ma soprattutto per la forte emigrazione.

Proprio l’emigrazione fece in modo di distinguere gli anarchici italiani da quelli degli altri paesi, infatti, essi emigrando divennero missionari delle loro idee.

In tutto l’Occidente i primi gruppi anarchici furono italiani, come nell’America Latina e negli Stati Uniti.

Ed in terra straniera i nostri connazionali diffondevano le loro idee soprattutto attraverso la carta stampata, infatti, nacquero, tra tante difficoltà, numerose testate giornalistiche.

La cronaca sovversiva fondata dal giornalista Luigi Galleani fu tra le più attive ed importanti.

Intanto, in Italia, nonostante l’assenza di Malatesta nel 1891 fu fondato il Partito socialista-anarchico, che però finì subito nel nulla, un altro tentativo fu fatto con il congresso anarchico generale tenuto a Roma nel 1907, ma anche questo tentativo non portò a nessun risultato degno di rilievo.

Alcuni intellettuali anarchici con a capo Luigi Fabbri (1877-1935), giornalista di valore e direttore dal 1903 al 1911 della rivista Il pensiero, fecero un ennesimo tentativo.

Infatti, essi cercarono di creare un movimento per un sistema d’educazione progressista, inoltre, Fabbri fu molto attivo nel movimento per l’Università popolare.

Fabbri sosteneva che la rivoluzione in Russia ha dimostrato che si può sperare nel crollo del capitalismo, anche se il processo di accumulazione della ricchezza non avviene, o s’arresta o non è compiuto ancora.

Poi continua sostenendo che la rivoluzione è tale se diretta contro il potere, altrimenti se imbocca la strada dittatoriale è destinata a perire.

Quindi deve essere una rivoluzione diretta ad abolire ogni dominio dell’uomo sull’uomo, perché la dittatura porta alla negazione della libertà.

All’inizio del ventesimo secolo però come in Francia, così anche in Italia, vi fu un ritorno dell’Anarchismo per merito del sindacalismo rivoluzionario.

In questo periodo si distinse l’anarchico Armando Borghi (1882-1968), segretario dell’Unione Sindacale Italiana, prodigo nel tentativo di unire i movimenti operai ed anarchici, soprattutto durante i moti del “bienno rosso”.

Borghi inoltre, fu autore di numerosi contributi sulle vicende anarchiche e sulla situazione politica dell’Italia fascista, e uno degli ultimi direttori del maggior giornale anarchico italiano odierno, Umanità Nova.

Borghi fu portatore però, di un Anarchismo essenzialmente negativo, infatti, si ha in lui un rifiuto della società italiana nella sua totalità, sia di quella liberale prefascista, sia di quella risorta col 1945[106].

A ciò segue un successivo rinchiudersi astratto nella realtà del movimento anarchico, cioè nell’ambito di piccoli gruppi, ritirati in se stessi nei propri ricordi o nelle vaghe prospettive di rigenerazione, che offrono sollievo e consolazione al singolo, ma che per antonomasia non sono in grado di incidere nella vita sociale del paese.

Diverso invece, era il mondo rappresentato, sempre in quegli anni, dall’anarchico Pietro Gori (1869-1911), un poeta e drammaturgo, ma anche avvocato noto per la sua oratoria, fu autore di numerosi scritti poco originali, ma traboccanti di un sentimentalismo libertario capace di presa immediata sui lettori.

Alle soglie del primo conflitto mondiale il loro acceso antimilitarismo e non interventismo, ad eccezione della corrente sindacalista rivoluzionaria, isolò il movimento riducendolo a pochi militanti.

Nonostante ciò, vi fu chi come l’anarchico Camillo Berneri, una volta chiamato alle armi iniziò la propaganda anarchica tra i soldati e persino tra gli ufficiali, motivo per cui fu perseguitato ed imprigionato[107].

Dopo la prima guerra mondiale e il fallimento dei moti del “bienno rosso”, entrarono in azione gli anarchici individualisti sopravvissuti, che in seguito ad attentati dinamitardi recarono solo danni alla reputazione del movimento e fornendo ai fascisti il pretesto per il loro squadrismo.

Con il regime i militanti e i simpatizzanti scomparvero nelle carceri o espatriarono, e le loro testate ed associazioni soppresse.

Nel secondo dopoguerra, dopo aver partecipato con ardore alle lotte partigiane, piccoli gruppi superstiti si ricostituirono intorno al giornale Umanità nova, che era stato fondato da Malatesta nel 1920 e poi soppresso dal regime.

Dopo la partecipazione attiva alle contestazioni del ’68, oggi il movimento anarchico italiano, pur tra mille diffidenze e difficoltà, è sempre presente nelle lotte antiautoritarie e libertarie.

Inoltre, pubblica sempre Umanità nova ed altre riviste libertarie, ed è organizzato in circoli che fanno capo alla FAI, cioè alla Federazione Anarchica Italiana.



3.1.1 Errico Malatesta


Errico Malatesta nacque da una famiglia della borghesia agraria a Santa Maria di Capua Vetere nel 1853, e nonostante fosse ricco, dedicò tutta la sua vita all’Anarchismo, proprio come avevano fatto i “padri” di questa dottrina Bakunin e Kropotkin, addirittura dopo che egli addirittura aveva regalato le sue proprietà ai poveri affittuari.

L’anarchico italiano visse una vita fatta di vagabondaggi e di esili dalle Americhe all’Europa, sempre braccato dalla polizia e in fuga, ma riuscì ovunque a fondare gruppi, associazioni e riviste anarchiche.

Accompagnò tutto ciò con un altruismo fuori dal comune, infatti, quando scoppiò a Napoli un’epidemia di colera, con i suoi fedelissimi raggiunse la città, e insieme si dedicarono alla cura dei malati senza nessun pensiero per la propria sicurezza, fino al termine dell’epidemia.

La caratteristica principale del suo pensiero è di voler conferire all’Anarchismo un respiro universale libero da ogni ipoteca dottrinaria[108].

Infatti, di fronte alle visioni ottimistiche-realistiche degli altri anarchici, egli può essere ritenuto un realista, un pensatore, ma nello stesso tempo un organizzatore del movimento operaio e contadino italiano ed europeo

Per arrivare al traguardo di un “nuovo Anarchismo”, enunciato nel suo Programma anarchico agli inizi del secolo, Malatesta non realizza una sintesi del pensiero anarchico, piuttosto divide il fine l’anarchia, dal mezzo l’Anarchismo[109].

In quanto l’anarchia è l’ideale, la meta della libertà e dell’uguaglianza, che potrebbe non realizzarsi mai, invece l’Anarchismo è metodo di vita e di lotta, l’insieme teorico e pratico per raggiungere la meta, e di conseguenza deve essere sempre praticato.

L’anarchia è un’aspirazione umana che però non è fondata su nessuna vera o supposta necessità naturale, e potrà realizzarsi solo attraverso la volontà umana[110].

Quindi non vi è altro modo per conseguire la società libertaria ed ugualitaria che quello di dimostrare che essa è possibile unicamente perché dipende dalla volontà dei singoli individui e delle collettività.

In questo modo il concetto di volontà fa tutt’uno con quello di libertà, perché non si possono costringere gli uomini a volere una cosa che non sentono e non vogliono, perciò è necessario convincerli con l’esempio, con il ragionamento e con il confronto dialettico.

Anche perché l’Anarchismo deve mantenersi come un movimento che non deve assolutamente perdere il contatto con l’azione popolare, deve rimanere rivoluzionario, ma non settario, e conservare soprattutto l’integrità della dottrina senza ridursi alla ripetitività della propaganda.

Al centro della teoria dell’azione malatestiana vi è la rivoluzione, considerato un passaggio obbligato per raggiungere la piena libertà di tutti.

Essa è considerata obbligatoria perché le classi privilegiate non permetteranno mai di farsi spodestare dai loro privilegi, se non con un’azione violenta da parte dei subordinati, per dissolvere quelle forze che impediscono il libero dispiegarsi della vita sociale.

Il fatto insurrezionale popolare, destinato ad affermare la società libertaria, è il solo che, senza ingannare e corrompere le masse, possa penetrare nel modo più profondo negli strati sociali e attrarre le forze vive dell’umanità[111].

In quanto, per realizzare gli obiettivi libertari, Malatesta ritiene fondamentale che gli anarchici si avvicinino

alle masse, in quanto da soli non avrebbero la forza sufficiente[112].

Prima di tutto però ritiene l’organizzazione del movimento anarchico sia prioritaria, infatti, egli realizzò l’Unione Anarchica Italiana che ebbe più di 30'000 iscritti, anche con l’intento di contrastare gli individualisti, perché considerava, l’azione del singolo isolato assolutamente impotente.

L’altro maggior tentativo di organizzazione si traduce con la creazione del Partito Socialista Anarchico-Rivoluzionario, insieme a Francesco Saverio Merlino e Amilcare Cipriani.

L’obiettivo era di congiungere le forze anarchiche su un programma avente come principi l’eliminazione della proprietà individuale, l’abolizione di tutti gli ordinamenti politici ed infine, l’organizzazione produttiva regolata da associazioni libere e federate tra loro[113].

Nella nuova realtà anarchica, dunque formata dalla cooperazione libera e volontaria di tutti, il comunismo diventerà la regola di condotta da accettare spontaneamente e da innestare, nel contesto dei bisogni della collettività e dei singoli[114].

Perché Malatesta afferma, che con il superamento definitivo del collettivismo, soltanto con il comunismo anarchico ciascuno potrà chiedere alla società il soddisfacimento dei propri bisogni, nell’ambito delle possibilità economiche della società stessa[115].

Lo stesso comunismo che fa sì che egli respinga i socialisti autoritari e il sindacalismo rivoluzionario, i primi perché inseriti nella società borghese, gli altri perché hanno un fine diverso dal comunismo[116].

Malatesta, sempre alla ricerca della trasformazione sociale, fu tra i principali ispiratori di tante rivolte fallite e riuscite solo parzialmente o inizialmente, infatti, fu un indiscusso protagonista della “settimana rossa”, cioè alle proteste insurrezionali verificatesi in Romagna, “terra anarchica” e nelle Marche nel 1914 nonché del “bienno rosso” 1919-20.

L’avvento di Mussolini al potere frenò, ma non spezzò la sua attività, anche se dopo poco tempo il quotidiano anarchico Umanità Nova e il quindicinale Pensiero e volontà, da lui fondati furono soppressi dal regime e lui costretto agli arresti domiciliari, con una stretta sorveglianza personale giorno e notte.

Addirittura ai suoi funerali a Roma, nel 1932, per volere dell’autorità vide la partecipazione dei soli carabinieri, che come se non bastasse, per alcuni mesi sorvegliarono la sua tomba giorno e notte.

Evidentemente Malatesta incuteva un certo timore al regime fascista di Mussolini, anche da morto.





3.1.2 Carlo Cafiero



Carlo Cafiero nato Barletta nel 1846, fu il più importante discepolo italiano di Bakunin nella seconda metà dell’ottocento, nonché il primo divulgatore del Capitale di Marx in Italia, oltre che intimo amico di Engels.

Cafiero non ha mai elaborato un pensiero organico che partendo da una visione complessiva della realtà, giunga a proporre una riforma della società, che sia in grado di porre fine alle ingiustizie ed ai soprusi.

La sua attività politica si è concentrata molto sulla divulgazione delle opere di altri pensatori e teorici, per la sua capacità, riconosciutagli anche da Marx, di impressionare e coinvolgere il pubblico[117].

Infatti, il suo Compendio al Capitale di Marx, è considerato da molti il veicolo di diffusione principale del pensiero marxista in Italia.

Cafiero oltre ad essere ricordato per questo, comunque lasciò, anche se in maniera utopistica-otimistica, una certa impronta nella tradizione del pensiero anarchico italiano.

Il suo scritto più originale Rivoluzione, anarchia e comunismo, parte dalla convinzione che la rivoluzione sia una legge che regoli l’umanità e che renda possibile il progresso dei popoli nel corso del tempo.

Egli è convinto che la società borghese dell’Ottocento fosse profondamente ammalata e che per essa non ci fosse speranza di guarigione se non attraverso una rivoluzione[118].

Della necessità di un processo rivoluzionario, il proletariato, cominciava a rendersi conto attraverso gli scioperi, inoltre, le manifestazioni di protesta e le rivolte sempre più frequenti in tutti gli Stati europei lo dimostravano eloquentemente.

La meta cui bisogna tendere è la libertà, che non può consistere nel semplice riconoscimento dei diritti borghesi incapaci di incidere sulle condizioni di vita dei lavoratori e di soddisfare le loro esigenze più importanti.

L’unica via da percorrere per la trasformazione sociale, che liberi finalmente l’umanità è per l’anarchico pugliese quella della rivoluzione violenta[119].

Per questo Cafiero è contrario al socialismo ufficiale, perché persegue il proprio disegno nel pieno rispetto della legalità, attraverso una via evoluzionistica, fatta di una politica di graduali riforme a vantaggio, secondo loro, del proletariato.

Per Cafiero non c’è libertà senza Anarchismo, come non vi può essere uguaglianza senza il comunismo[120].

Infatti, l’anarchia è concepita come la condizione del libero sviluppo sia dell’individuo sia della società, mentre il comunismo è considerato come la riappropriazione da parte dell’umanità nel suo complesso di tutte le ricchezze della terra, delle quali era stata espropriata ad opera di un’esigua minoranza.

Il suo pensiero collettivista e comunista, sulla scia di Bakunin e seguendo le prospettive aperte in Europa da Kropotkin, può definirsi comunista antiautoritario.

Inoltre, il suo pensiero, è nettamente antindividualista, in quanto considera i seguaci di questa teoria dei veri e propri autoritari[121].

Nel valutare la società del futuro c’è ottimismo, perché una volta ottenuto il successo della rivoluzione anarchica la ricchezza e i beni a disposizione per soddisfare i bisogni degli uomini aumenteranno in quantità inimmaginabile.

Ed essi saranno semplicemente il prodotto spontaneo dei lavoratori liberi, senza intermediari e privi di interessi egoistici o speculativi.

Per questo sarà possibile dare e ricevere dalla società secondo le proprie possibilità e i rispettivi bisogni perché tutto sarà in comune, senza distinzioni fra mezzi di produzione e i prodotti del lavoro collettivo[122].

Oltre all’apporto divulgativo e teorico, partecipò attivamente, insieme con Malatesta, all’organizzazione del movimento anarchico italiano ed ai moti insurrezionali anarchici di Bologna nel 1874 e nel beneventano quattro anni più tardi.

In seguito poi a numerosi arresti, ormai debilitato e malato fu rinchiuso in un manicomio a Nocera Inferiore, vicino Salerno, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita prima di morire nel 1892.





3.1.3 Camillo Berneri


Fra gli anarchici che più restarono collegati al movimento operaio e alla tematica socialista vi fu sicuramente Camillo Berneri, nato a Lodi nel 1897, e molto attivo politicamente nella Federazione Giovanile socialista.

In seguito al dibattito interno al partito per l’interventismo o meno al primo conflitto mondiale, lasciò criticamente i socialisti ed aderì al movimento anarchico italiano.

Alla fine della prima guerra mondiale, si distinse per la sua collaborazione al giornale di Malatesta Umanità Nova, ma perseguitato dal fascismo fuggì, vivendo un po’ dappertutto nei vari stati europei che spesso, suo malgrado, lo espellevano ritenendolo pericoloso per la sua attività sovversiva.

Egli era ritenuto un “anarchico pericolo e indesiderato”, soprattutto per aver organizzato il fallito attentato al guardiasigilli fascista Rocco, autore del terribile codice penale fascista.

La sua teoria anarchica si articola con l’attacco alla concezione di Stato, più propriamente nell’individuazione della burocrazia come lo strumento dell’oppressione dell’organizzazione accentratrice statale, sia borghese sia sovietico[123].

Per Berneri la salvezza dalla burocrazia, e di conseguenza dallo Stato, si realizza soltanto attraverso il federalismo, che però non deve essere imposto dall’alto, ma derivante dalla rivoluzione sociale, ritenuta quest’ultima il compito eroico delle minoranze fattive[124].

La rivoluzione sociale una volta pienamente realizzata, avrebbe dato vita a comuni indipendenti, liberamente federate in gruppi corporativi che avrebbero, a loro volta, soppiantato le funzioni della burocrazia statale[125].

Questo sistema organizzativo era l’unico adatto proprio per l’Italia, in quanto la nostra nazione si caratterizzava di notevoli diversità regionali[126].

Dal punto di vista economico, Berneri sosteneva che la forma economica anarchica doveva rimanere aperta e sperimentale, personalmente addirittura riteneva che si dovesse sperimentare la libera concorrenza tra lavoro e commercio individualista, e tra lavoro e commercio collettivista.

Inoltre, precisava nel criticare l’involuzione autoritaria e centralizzatrice dei bolscevichi, che l’obbligo alla collettivizzazione doveva essere condannato se frutto di una decisione imposta e non di una libera scelta.

In conclusione, per Berneri l’anarchia portava alla società della tolleranza, non dell’armonia assoluta in quanto questa era solo un’utopia.

Il suo contributo al movimento anarchico italiano è derivato dal suo Anarchismo che può essere definito “dinamico”, perché oltre a partecipare in prima persona alle lotte, cerca di riempire con contenuti nuovi e moderni la teoria anarchica[127].

Ma Berneri, è ricordato in modo particolare anche per la sua visione critica del movimento anarchico, fatta di punti di vista diversi con il resto del movimento e più propriamente con la dottrina, quindi il primo autentico momento in cui l’anarchismo s’interroga criticamente su se stesso[128].

L’anarchico lombardo, che considera l’anarchismo l’ala estrema del movimento socialista, invita apertamente il movimento a guardare fuori di sé, ad organizzarsi, riorganizzarsi, e ad assumere le proprie responsabilità, abbandonando ogni tendenza all’astrazione ed al rinchiudersi in se stesso.

Berneri morì in Spagna ucciso da un sicario di Stalin nel 1937, dopo aver partecipato attivamente alla rivoluzione spagnola nelle file anarchiche italiane presenti, e soprattutto dopo aver sempre sostenuto, con vigore, il suo atteggiamento critico nei confronti dell’anarchismo italiano e del bolscevismo russo.





3.1.4 Francesco Saverio Merlino


Francesco Saverio Merlino, nato a Napoli nel 1856, fu difensore dell’attentatore anarchico Gaetano Bresci al suo processo, oltre che nella prima fase della sua vita fu un agitatore e teorico anarchico.

In seguito giunse a maturazione di un processo di ripensamento ideologico, che lo portò a distaccarsi dal movimento anarchico, dopo una lunga polemica con Malatesta.

Ma pur se nella sua maturità si orientò verso il socialismo senza accoglierne però integralmente i programmi, non abbandonò mai del tutto l’Anarchismo, elaborando alcune sue tesi personali, influenzate dal positivismo, che oggi sono state definite socialismo libertario, e che hanno tantissimi punti in comune con la dottrina anarchica e proprio pochi con la tradizione socialista[129].

Egli rivendica all’anarchismo, nei confronti del marxismo la qualifica di socialismo, in più ritiene la teoria anarco-libertaria la sola in grado di condurre la lotta presente, ma incapace di attuare un programma per una società futura, compito questo che spetta solo socialismo.

Per questo motivo ritiene fondamentale la necessità di amalgamare i due coefficienti, e di parlare di socialismo libertario.

Un socialismo che sta indipendentemente dai sistemi socialisti preposti per attuarlo, in quanto esso è soprattutto una grande aspirazione popolare[130].

Del socialismo, Merlino ne raccoglie soprattutto le istanze parlamentari e le proposte di partecipazione politica, infatti, pur non avendo fiducia nei risultati ottenibili con la rappresentanza operaia e di classe nel parlamento, per motivi tattici ritiene opportuno partecipare alle lotte elettorali, con il solo scopo di uscire dalla dimensione di setta e penetrare tra le masse[131].

Lo sbocco del suo obiettivo consiste nella prospettiva comunista, o meglio nel passaggio dal collettivismo autoritario voluto dai socialisti alla democrazia comunista, consistente nell’assoluta libertà di lavoro e di consumo nell’ambito della solidarietà comune, ed in modo particolare nell’assenza d’ogni comando imposto dall’alto[132].

La società comunista del libertario napoletano è la classica collettività armonica anarchica, basata sull’associazione spontanea e sulla cooperazione, dove il bisogno di ciascun membro della collettività è considerato come l’interesse sociale.




CAPITOLO QUARTO


Anarchismo e Nichilismo



4.1 I padri fondatori e i teorici del Nichilismo


Con il termine nichilismo viene indicata qualsiasi dottrina filosofica che giunge alla negazione della realtà o di valori e princìpi affermati.

Questo fenomeno nell’arco del suo percorso storico, che lo porta al continuo negare dell’ordine esistente, e di conseguenza a qualsiasi entità superiore, sia essa lo Stato o Dio, ha numerosi punti di contatto con la dottrina politico-filosofica dell’Anarchismo.

Infatti, con la dottrina anarchica ne condivide la negazione della realtà esistente e di qualunque autorità.
L’individualista anarchico Max Stirner realizzò, anche se in assenza del concetto, la prima autentica teorizzazione di una posizione filosofica che può essere definita nichilismo[133].

Mentre il maggior rappresentante del movimento anarchico internazionale Michail Aleksandrovic Bakunin, si proclamava fondatore del nichilismo ed apostolo dell’anarchia, radicalizzando il fenomeno nichilista in un connubio esplosivo d'idee anarchiche, socialiste e utopico-libertarie[134].

Del vocabolo nichilismo che deriva dal latino “nihil”, che significa niente, nulla, molti se n'attribuiscono la presunta paternità, nonostante il fenomeno si sia manifestato prima della nascita del termine stesso.

La paternità del termine, che secondo alcuni già nel Medioevo veniva utilizzato per indicare gli eretici cristiani, se l’attribuì con un certo vigore lo scrittore russo Ivan Sergeevic Turgenev (1818-1883).

Egli definisce nel suo romanzo Padri e figli del 1862, nichilista il modo si pensare del protagonista, il qual è in conflitto con la generazione dei padri, e ne nega i valori e i princìpi impegnandosi a rimpiazzarli con altri nuovi.

Il primo uso filosofico vero e proprio del concetto, invece, viene individuato verso la fine del XVIII secolo nel contesto delle controversie che caratterizzavano la nascita dell’idealismo.

Nella contrapposizione dell’idealismo al dogmatismo, il termine viene impiegato per caratterizzare l’operazione filosofica mediante la quale l’idealismo intende “annullare” nella riflessione l’oggetto del senso comune, al fine di mostrare come esso, non sia in verità, altro che il prodotto di un’invisibile ed inconsapevole attività del soggetto.

A seconda del punto di vista favorevole o meno a tale operazione, il termine acquista un senso positivo o negativo[135].

Nichilismo significa allora, nell’accezione positiva la distruzione filosofica di ogni presupposto, in quella negativa invece, la distruzione delle evidenze e delle certezze del senso comune da parte della speculazione idealistica.

Al di là della paternità e dell’uso del termine, comunque i padri fondatori e grandi teorici di questa dottrina sono stati per il filone letterario Fedor Michajlovic Dostoevskij (1821-1881), mentre per quello più propriamente filosofico Friedrich Nietzsche (1884-1900).

Per quanto riguarda Dostoevskij, lo scenario del Nichilismo si sviluppa in tutta la sua ampiezza e profondità nelle opere Delitto e castigo del 1863, i Demoni del 1873 e I fratelli Karamazovy del 1879-80.

Il fenomeno nichilista trova posto con la dissoluzione dei valori, ed esso viene rappresentato nei vari personaggi dei romanzi in tutte le varietà.

Il romanziere russo vede la dissoluzione dei valori come una crisi che consuma l’anima russa, e nonostante egli voglia in un certo modo, avvertire di questa nefasta presenza, le sue opere contribuiscono a diffondere il morbo nichilista, favorendo inoltre, la caduta di certezza stabilite e minando ordinamenti consolidati[136].

Nietzsche invece, fu primo grande profeta e teorico, facendo il nichilismo oggetto di un’esplicita riflessione filosofica nell’opera postuma La volontà di potenza nel 1906.

Con lui l’analisi del fenomeno raggiunge il suo culmine, maturando una consapevolezza storica circa le sue radici, che Nietzsche individua nel platonismo e nel cristianesimo.

Il filosofo tedesco aveva individuato e riconosciuto il fenomeno seguendo il motivo della “morte di Dio” ,infatti, egli sosteneva che il nichilismo si verifica quando i valori supremi si svalutano[137].

Quindi in seguito a questa particolare situazione di disorientamento, che subentra una volta che sono venuti meno i riferimenti tradizionali, cioè gli ideali e i valori che rappresentano la risposta al perché? E che come tali illuminano l’agire dell’uomo.

Nietzsche non ha solo la consapevolezza della svalutazione nel mondo moderno dei grandi valori e dei grandi ideali, ma vuole sollecitare a portare alle estreme sue conseguenze queste crisi, evocando il futuro dilagare del fenomeno nichilista.

Perché se esso si diffonde nel mondo moderno è per l’assenza di una “specie superiore” che solo con la sua fecondità e potenza possa rinsaldare la fede nell’uomo[138].

Il filosofo tedesco rappresenta il nichilismo in due accezioni principali, la prima, negativa, indica il fenomeno della decadenza dell’uomo occidentale, educato del cristianesimo all’ascetismo e alla rinuncia nei confronti della vita.

La seconda accezione, questa positiva, indica la negazione della morale consolidata e dei valori tradizionali e la sua sostituzione con un nuovo sistema di valori.

Il primo grande teorico del Nichilismo, come già sostenuto, è stato l’anarchico tedesco del filone individualista Max Stirner (1806-1846).

La sua opera principale L’unico e la sua proprietà, del 1844, è l’espressione più rabbiosa e corrosiva del radicalismo di sinistra nato come reazione allo hegelismo[139].

Stirner quindi, partendo dal dibattito della sinistra hegeliana, si scaglia contro ogni tentativo di assegnare alla vita dell’individuo un senso che la trascende e che pretende di rappresentarne i bisogni, i diritti e perfino l’immagine.

L’anarchico tedesco, principe degli iconoclasti moderni cerca di smontare ogni sistema filosofico, ogni astrazione, ogni idea che attribuisce a sé l’impossibile compito di esprimere l’indicibilità dell’unico[140].

Stirner critica le tesi di Feuerbach, che vede nell’uomo l’umanità e che l’essenza dell’uomo s’identifica col Dio della religione, giungendo così alle conseguenze estreme di negare Dio e lo Stato e per contro l’esaltazione dell’Io individuale.

Attraverso la negazione di Dio e della religione, secondo l’anarchico, si attua il processo di liberare l’uomo[141].

In modo tale solo l’Io, l’unico costituisce il nuovo inizio della storia che si dispiega dal paganesimo al cristianesimo, quest’uomo dunque non ha più nessun compito come voleva il cristianesimo, l’unica forza che possiede e la capacità di appropriazione.

Stirner sostiene che Dio e l’umanità hanno fondato la loro causa sul nulla, su null’altro che se stessi.

Allo stesso modo quindi, continua i filosofo, io fondo allora la mia causa su me stesso, io che, al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro[142].

Non sono nulla nel senso della vuotezza, bensì il nulla creatore, il nulla dal quale io stesso, in quanto creatore, creo tutto[143].

Proprio l’eccentricità e l’emarginazione dell’autore fecero in modo che il morbo anarchico-individualista fosse per il momento isolato.

Da lì a pochi decenni però si sarebbe inarrestabilmente diffuso, trovando così Stirner solo a posteriori uno spazio ed una collocazione nella storia del nichilismo[144].

La sua diffusione nella Russia dell’ottocento, ad opera soprattutto di uno dei padri dell’Anarchismo Michail Bakunin, rappresenta invece, lo spostamento del significato del termine nichilismo dall’ambito strettamente filosofico a quello più propriamente sociale e politico[145].

Praticamente si verifica l’assunzione di un soggetto privilegiato di un atteggiamento radicale che annichilisce tutto ciò che ne delinea l’agire.

Infatti, fa la comparsa la figura del nichilista quale libero pensatore che demolisce ogni presupposto, ogni pregiudizio e ogni condizione già data o valore tradizionale.

Delineandosi così i tratti del nichilista anarchico-libertario che vivrà la sua stagione più intensa negli ultimi decenni del XIX secolo.

Fino a diventare la dottrina del nichilismo, nel pensiero russo verso la fine dell’ottocento, un fenomeno di portata generale.

I teorici del Nichilismo russo nell’esaltare il senso dell’individualità contestavano l’autorità e l’ordine esistente, attaccando specialmente i valori della religione, della metafisica e dell’estetica tradizionali, considerati come “nullità”, come illusioni destinate a dissolversi[146].

Decisiva per la preparazione e la diffusione concetto di Nichilismo fu, il già menzionato, romanzo di Turgenev.

Anche se la mente del fenomeno fu Nikolaj Gavrilovic Cernysevskij (1828-1889), infatti, il suo romanzo Che fare?, rappresentò uno dei principali manifesti del nichilismo russo.

Nonostante la dura repressione le idee nichiliste si diffusero rapidamente e infiammarono la gioventù russa, per merito di Sergej Gennadievic Necaev (1847-1882), autore di un Catechismo del rivoluzionario.

Il termine “necaevismo” fu allora impiegato per designare le forme più spregiudicate e intransigenti di nichilismo politico, un modo estremo di concepire l’azione rivoluzionaria che fu condiviso da Michail Bakunin.

Alcuni ritengono addirittura che quest’ultimo fosse ispiratore e coautore del Catechismo.

Il nichilismo poi si diffonderà in tutta la sua ampiezza nelle opere del romanziere Dostoevskij.




4.2 Conclusione


Gli stretti collegamenti tra Anarchismo e Nichilismo, hanno dimostrato ancora una volta, come la dottrina anarchica nel corso del suo sviluppo, lungo tutto l’arco storico, ha avuto punti di contatto, d’incontro o in comune, con varie discipline.

Infatti, si possono riscontrare temi e princìpi anarco-libertari in numerosi campi, dalla filosofia all’economia, dai più evidenti nell’ambito più strettamente politico, per arrivare, perfino all’ecologia.

Questa interdisciplinarietà della teoria anarchica è dovuta, grazie al fatto che, essa è un insieme di idee flessibili in uno stato di evoluzione continua aperta ai cambiamenti, praticamente mentre cambia la società muta anche l’Anarchismo.

Una società anarchica non si è mai realizzata, ne tantomeno nell’arco della sua storia la dottrina anarchica ha avuto particolari successi, ma nonostante ciò è stato fondamentale il suo apporto dato al rafforzamento e al consolidamento di alcuni valori, come la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà, che sono alla base della dignità umana.

Con questo lavoro ho cercato di proporre, in modo semplice e sintetico, le idee, e i loro sviluppi, di normali uomini comuni, ma molto preparati culturalmente, che si sono resi protagonisti della realizzazione di una dottrina, purtroppo, molto spesso criticata e disprezzata.

Una dottrina che ha sempre rappresentato una proposta per una società libera retta da uomini liberi, dove in assenza del principio di autorità, una persona saprà reggersi, solo ed esclusivamente, sulle sue convinzioni e in qualunque situazione, grazie a loro, saprà sempre cosa fare e cosa dire.

Alcune volte potrà sbagliare, prendere la decisione meno opportuna, ma non porterà vergogna né su se stesso, né sulla sua causa.

Ma l’anarchia probabilmente, per quella sua particolare visione delle cose ricca di naturalezza e di libertà, definita dagli uomini di cultura utopia, è e sarà per sempre non l’irrealizzabile, ma l’irrealizzato.


Fine.








Grazie per aver letto questo libro; il quale altro che non è, che la mia tesi di laurea discussa il 22 luglio 2002 presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II” alla facoltà di Scienze Politiche.




































BIBLIOGRAFIA



[1] G. WOODCOCK, L’anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, Feltrinelli, Milano 1973, p. 7.

[2] Il termine libertario viene usato per la prima volta continuamente, per indicare il pensiero anarchico, da Sebastian Faure (1857-1942), esponente di spicco del movimento anarchico francese. Cfr. G.M. BRAVO, Storia delle idee politiche, economiche e sociali. UTET, Torino 1972.

[3] P. KROPOTKIN, Kropotkin’s Revolutionary Pamphlets. R.N. Baldwin, Dover Press, New York 1970, p.284.

[4] B.TUCKER., Instead of a Book. Haskell House Publishers, New York 1969, p.13.

[5] E. MALATESTA, Anarchy, Freedom Press, London 1975, p.12.

[6] Nestor Makhno guidò in Ucraina, nelle fasi iniziali della rivoluzione russa, un movimento libertario che si batteva contro l’autorità sia comunista che zarista.

[7] N. MAKHNO, The organisational platform of the libertarian communists, Worker Solidarity Movement, Dublin 1989, pp.15-16.

[8] G.M. BRAVO, op. cit., p.255.

[9] G.M. BRAVO, op. cit., p.256.

[10] Winstanley inoltre, espresse le sue idee libertarie in numerosi altri scritti polemici e satirici del genere “pamphlets”.

[11] G. BERTI, Il pensiero anarchico dal ‘700 al ‘900, Lacaita, Manduria 1998, p.32.

[12] G.M. BRAVO, op. cit., p.17.

[13] G.WOODCOCK, op. cit., p.23.

[14] G. BERTI, op. cit., p.66.

[15] Come ha rilevato Woodcock, Godwin anticipò di circa ottant’anni quelle che poi saranno le “communes rivoluzionarie” . Cfr. G.M. BRAVO, op. cit., p.26.

[16] J. WARREN (1798-1879) fu tra i primi agitatori anarchici negli Stati Uniti, dove visse anche l’esperienza delle colonie comuniste di Robert Owen.

[17] Anche nella legislazione toscana del riformatore Leopoldo I nel 1786, il termine “anarchico” aveva un significato estremamente negativo. Cfr. G.M. BRAVO, op. cit., p.253.

[18] A. KOHN, “No contest: the case against competition”, Houghon Mufflin Co., New York 1992, p.156.

[19] L. GALLEANI, “The End of Anarchism?”, Ciuenfuegos Press, Orkeney 1982, p.28.

[20] “Nazionali” non si riferisce alla “nazione” intesa come un paese con confini delimitati, in quanto per la teoria anarchica i confini dovrebbero sparire.


[21] Tale progetto prevedeva che una grande città doveva insorgere, organizzarsi e quindi essere d’esempio per il resto del paese. Cfr. M.A. BAKUNIN, “Statism and Anarchy”, Cambridge University Press, Cambridge 1980, p.263.


[22] Kropotkin riteneva indispensabile per gli anarchici prendere parte alle lotte dei lavoratori nelle fabbriche. Cfr. P. KROPOTKIN, Campi, fabbriche e officine, Antistato, Milano 1982, p.76.

[23] Durante il “biennio rosso” gli anarchici parteciparono attivamente alle occupazioni delle fabbriche sotto la guida dell’Unione Sindacale Italiana diretta dall’anarchico Armando Borghi, ma la rivolta fallì per la moderazione del sindacato C.G.L. e perché i Socialisti si accordarono con il governo Giolitti. Cfr. G. WOODCOCK, op. cit., p.311.

[24] F. SCHIAVINA, Sacco e Vanzetti: cause e fini di un delitto di Stato, Comitato anarchico Pro vittime politiche d’Italia, Roma 1996, pp.40-42.

[25] G. BERTI, op. cit., pp. 45-46.

[26] G. WOODCOCK, op. cit., p.350.

[27] Durante gli anni ’70 in Italia, in piena “strategia della tensione”, spesso gli anarchici furono accusati di attentati compiuti proprio dai loro principali accusatori, cioè dalla Destra e dagli ambienti militari “deviati” che volevano destabilizzare lo Stato, per diffondere un desiderio d’ordine, di polizia, e quindi instaurare un governo di chiara ispirazione autoritaria e fascista.

Scaliati G., Trame Nere. I movimenti della destra dal dopoguerra ad oggi, Frilli Editori, 2004

[28] R. ROCKER, Anarcho-Syndacalism, Phoenix Press, London 1988, p.16.

[29] G.M BRAVO, op. cit., p.266.

[30] A. BERKMAN, The ABC of Anarchism, Freedom Press, London 1977, p.68.

[31] G.M. BRAVO, op. cit., p.268.

[32] G.M. BRAVO, op. cit., p.269.

[33] G. BERTI, op. cit. pp. 98-99.

[34] G.M. BRAVO, op. cit., p.269.

[35] M. STIRNER, L’unico e la sua proprietà, Adelphi, Milano 1991, p.380.

[36] G.M. BRAVO, op. cit., p.270.

[37] B. TUCKER, op. cit., pp. 34 e ss.

[38] G.M. BRAVO, op. cit., p.265.

[39] G. WOODCOCK, op. cit., p.95.

[40] G.M. BRAVO, op. cit., p.265.

[41] P.J. PROUDHON, Che cos’è la proprietà, Cerroni, Bari 1978 pp.157 e ss.

[42] G. BERTI, op. cit., p.185.

[43] P.J. PROUDHON, La capacità politica della classe operaia, Anarchismo, Catania 1973, p.157.

[44] G. BERTI, op. cit., p.214.

[45] G.M. BRAVO, op. cit., p.266.

[46] P.J. PROUDHON, Del pensiero federativo, Miranda, Milano 1979, p.290.

[47] G.M. BRAVO, op. cit., p.267.

[48] G. WOODCOCK, op. cit., p.126.

[49] G. M. BRAVO, op. cit., p.274.

[50] G.M. BRAVO, op. cit., p.275.

[51] M.A. BAKUNIN, De la guerre à la commune textes de 1870-1871, F. Rudè, Paris 1972, pp. 251-252.

[52] M.A. BAKUNIN, Stato e Anarchia, Feltrinelli, Milano 1968, pp.331-333.

[53] M. BAKUNIN, Aux compagnos de la fèdèration jourassienne, Archives Bakounine, Leiden 1964, p.60.

[54] G.M. BRAVO, op. cit., p.278.

[55] M. BAKUNIN, Dieiu et l’Etat, Oeuvres, Paris1912, p.282.

[56] G. BERTI, op. cit., p.258.

[57] G.M. BRAVO, op. cit., p.280.

[58] G. WOODCOCK, op. cit., p.173.

[59] G.M. BRAVO, op. cit., p.281.

[60] G. WOODOCOCK, op. cit., p.185.

[61] G.M. BRAVO, op. cit., p.282.

[62] G.M. BRAVO, op. cit., p.283.

[63] P. KROPOTKIN, La scienza moderna e l’anarchia, Elèuthera, Milano 1998, p142.

[64] P. KROPOTKIN, Il mutuo appoggio, Salerno, Roma 1982, p.113.

[65] G.M. BRAVO, op. cit., p.284.

[66] P. KROPOTKIN, La conquista del pane, Tempi Nuovi, Milano 1921, p.42.

[67] P. KROPOTKIN, op. cit., p.36.

[68] P. KROPOTKIN, Lo Stato e il suo ruolo storico, Anarchismo, Catania 1981, pp.71-72.

[69] P. KROPOTKIN, op. cit., p.293.

[70] G. WOODCOCK, op. cit., p.176.

[71] G. BERTI, op. cit., p.309.

[72] G. WOODCOCK, op. cit., p.177.

[73] G.M. BRAVO, op. cit., p.287.

[74] G. WOODCOCK, op. cit., p.177.

[75]J. GRAVE, La société mourante et l’anarchie, Paris 1894, pp.15-16.

[76] G.M. BRAVO, op. cit., p.299.

[77] G.M. BRAVO, op. cit., p.300.

[78] E. DOLLEANS, Storia del movimento operaio, Sansoni, Firenze 1968, pp.93-97.

[79] G. BERTI, op. cit., p.789.

[80] V. GRIFFLUELHES, L’action syndacaliste, Ait, Toulose 1973, pp.27-37.

[81] E. POUGET, L’action directe, La fiaccola, Ragusa 1973, pp.18-20.

[82] F. PELLOUTIER, De la révolution par la gràve gènèrale, La fiaccola, Ragusa 1973, p.279.

[83] G.M. BRAVO, op. cit., p.301.

[84] G.B. FURIOZZI, Dal Socialismo al Fascismo, Esselibri, Napoli 1998, p.7.

[85] G. SPADOLINI, La lotta socialista in Italia, La Nuova Italia, Firenze 1948, pp.141-151.

[86] M. SERRA, Una cultura dell’autorità, la Francia di Vichy, Laterza, Bari 1980, p.100.

[87] G. WOODOCOCK, op. cit., p.195.

[88] G.M. BRAVO, op. cit., p.290.

[89] G. WOODCOCK, op. cit., p.202.

[90] G. WOODCOCK, op. cit., p.202.

[91] G. BERTI, op. cit., p.668.

[92] L. TOLSTOJ, Il regno di Dio è in voi, Publiprint, Trento 1988, p.116.

[93] L. TOLSTOJ, op. cit., p.254.

[94] G.M. BRAVO, op. cit., p.291.

[95] G. WOODCOCK, op. cit., p.206.

[96] G.M. BRAVO, op. cit., p.291.

[97] G. WOODCOCK, op. cit., p.286.

[98] G.M. BRAVO, op. cit., p.303.

[99] G: WOODCOCK, op. cit., p.286.

[100] G. WOODCOCK, op. cit., p.288.

[101] Molti anarchici, tra cui proprio Bakunin e Proudhon, erano iscritti alla massoneria. Cfr. G. WOODCOCK, op. cit., p.289.

[102] P.C. MASINI, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta, Rizzoli, Milano 1969, p.67.

[103] M.A. BAKUNIN, op. cit., p.263.

[104] G. WOODCOCK, op. cit., p.298.

[105] P.C. MASINI, Storia degli anarchici italiani nell’epoca degli attentati, Rizzoli, Milano 1981, p.12 e ss.

[106] G.M. BRAVO, op. cit., p.304.

[107] P.C. MASINI, op. cit., p.134.

[108] G. BERTI, op. cit., p.372.

[109] E. MALATESTA, Repubblicanesimo sociale e anarchismo, “Umanità Nova”, Roma 27 aprile 1922.

[110] G. BERTI, op. cit., p.375.

[111] E. MALATESTA, Rivoluzione e lotta quotidiana, Antistato, Vicenza 1991, pp.87-88.

[112] E. MALATESTA, op. cit., p.129.

[113] E. MALATESTA, His life and ideas, Freedom Press, London 1977, p.109.

[114] E. MALATESTA, Fra contadini, La fiaccola, Ragusa 1972, p.115.

[115] G.M. BRAVO, op. cit., p.304.

[116] E. MALATESTA, Anarchism and syndacalism, Freedom Press, London 1907, pp.263-264.

[117] C. CAFIERO, Compendio al capitale di Karl Marx, Riuniti, Roma 1996, pp.10-11.

[118] C. CAFIERO, Rivoluzione, anarchia e comunismo, Reprint Assandri, Torino 1976, p.60.

[119] C. CAFIERO, op. cit., p.8.

[120] C. CAFIERO, op. cit., p.120.

[121] G.M. BRAVO, op. cit., p.280.

[122] C. CAFIERO, op. cit., p.142.

[123]C. BERNERI, Il federalismo libertario, La fiaccola, Ragusa 1992, pp.43-44.

[124] C. BERNERI, Il compito delle minoranze rivoluzionarie, “Umanità Nova”, Milano 5 luglio 1921.

[125] C. BERNERI, op. cit., pp.123-124.

[126] C. BERNERI, op. cit., p.82.

[127] G.M. BRAVO, op. cit., p.310

[128] G.BERTI, op. cit., p.858.

[129] G.M. BRAVO, op. cit., p.307.

[130] G. BERTI, op. cit., p.950.

[131] F.S. MERLINO, Gli anarchici e la questione elettorale, Sovello, Roma 1976, pp.213-214.

[132] F.S. MERLINO, Anarchismo e democrazia, La fiaccola, Ragusa 1974, p.188.

[133] F. VOLPI, Il nichilismo, Laterza, Bari 1999, p.25.

[134] J.F. WITTKOPF, Michail A. Bakunin, Rowolhlt, Reinbek 1974, p.83.

[135] F. VOLPI, op. cit., p.13.

[136] F. VOLPI, op. cit., p.32.

[137] F. NIETZSCHE, La volontà di potenza, Bocca, Milano 1946, p.6.

[138] F. NIETZSCHE, op. cit., p.24.

[139] G.M. BRAVO, op. cit., p.268.

[140] F. VOLPI, op. cit., pp.25-26.

[141] G.M. BRAVO, op. cit., pp.269-270.

[142] M. STIRNER, op. cit., p.13.

[143] M. STIRNER, op. cit., pp.380-381.

[144] F. VOLPI, op. cit., p.27.

[145] F. VENTURI, Il populismo russo, Einaudi, Torino 1972.

[146] F. VOLPI, op. cit., p.29.

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