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L'efficacia della lotta alla mafia, condotta da Cesare Mori e i suoi risultati pratici furono condizionati dalle relazioni che vi furono fra mafia e fascismo, e nello specifico dai rapporti con importantissimi capi mafiosi sia nel "periodo Mori" che successivi, come nel caso Tresca. Tali rapporti contraddicono, o quantomeno ridimensionano, le tesi dello scontro irriducibile fra mafia e fascismo.

Emblematici del rapporto mafia - fascismo (che poi si intersecherà con l'intervento dei servizi segreti americani nel periodo pre, durante e post seconda guerra mondiale) sono stati la vicenda di Cesare Mori e la protezione data dal regime nel 1935 a Vito Genovese, che si sdebiterà con la costruzione della casa del fascio di Nola e successivamente sempre costui sarà il regista dell'assassinio di Carlo Tresca[1]. Assassinio che permise il riciclo degli antifascisti dell'ultima ora, come Generoso Pope (precedentemente sostenitore di Mussolini), nella Mazzini Society attiva in America, questa vicenda è riferibile all'aspra lotta intestina nella "Mazzini Society" per ammettere o meno alcuni italiani, presenti in in America, ma con passato di netto appoggio al fascismo, nei comitati di fronte unito antifascista nati nel 1943. Nel periodo dell'assassinio di Carlo Tresca, Vito Genovese si trovava in Italia e quindi la ricostruzione delle sue responsabilità' è soprattutto di natura storica più che provata dal punto di vista investigativo, nel senso stretto del termine. Non son mancati comunque sulla vicenda investigazioni e una vasta popolarità in diversi periodi negli USA, ed e' ritenuto, con quasi certezza, che il killer fu Carmine Galante [2]poi affiliato alla famiglia di Joseph Bonanno. [3]Viene fatto anche un escursus sulla parte inerente lo sbarco alleato in Sicilia e sugli avvenimenti dell'immediato dopoguerra poiché Vito Genovese, uno dei personaggi chiave anzi citati, avrà un enorme potere in Sicilia anche nel periodo post bellico dimostrando una costante duratura e ascendente importanza.

il risultato pratico degli interventi di Cesare Mori

Cesare Mori, figura mitizzata dal fascismo, nel 1922 era prefetto di Bologna e si dimostrò inflessibile nell'applicazione della legge, essendo fra i pochissimi rappresentanti degli organi di repressione dello stato che considerassero lo squadrismo fascista al pari del "sovversivismo" di sinistra e quindi da reprimere in egual maniera. Dopo aver bloccato una spedizione punitiva di squadristi fu duramente contestato dal fascismo rampante, ormai era appoggiato da larghi strati di borghesia industriali e proprietari terrieri, per cui all'ascesa al potere del Fascismo Mori fu dispensato dal servizio attivo. Si ritirò in pensione nel 1922 a Firenze, assieme alla moglie; medesima sorte toccò nello stesso periodo a Guido Jurgens, Vincenzo Trani e a Federico Fusco, tuttavia quest'ultimi non ebbero altre possibilità di carriera durante il fascismo, forse in quanto non volevano scendere a patti col regime per nessun motivo. Mori venne richiamato in servizio e gli fu affidato da Benito Mussolini l'incarico (vista la sua fama di inflessibilità) di repressione dei fenomeni criminali in Sicilia, i metodi che impiegò furono quantomeno sbrigativi arrivando perfino a prendere in ostaggio donne e bambini per raggiungere il suo scopo, a tale riguardo scrive lo storico Christopher Duggan nel "Prefetto di ferro". [4] e sintetizzando con le parole di Duggan. "I metodi brutali di Mori crearono malcontento nella popolazione, che spesso fu tentata a schierarsi dalla parte dei mafiosi, di fronte a forze di polizia che apparivano quasi come invasori stranieri, senza rispetto delle più elementari regole di legalità. Leggiamo ancora Denis Mack Smith: "Ironicamente, l'operato di Mori potrebbe aver rafforzato proprio quella diffidenza nei confronti dello Stato che, come il governo, era stato così desideroso di vincere".}} e ancora sempre Denis Mack Smith "Mori era amico dei latifondisti. [...] Dal 1927 gli agrari erano di nuovo al potere, e la Sicilia ne pagò a caro prezzo la riabilitazione; e gli anni Trenta furono caratterizzati da abbandono e declino"

[5] Non rispettò comunque, col consenso di Benito Mussolini però, di perseguire l'uomo più in vista del fascismo in Sicilia, Alfredo Cucco, e qui probabilmente in quel momento Alfredo Cucco non era integrabile nella tattica del PNF in Sicilia da cui alcuni storici interpretano la libertà d'azione di Mori su Cucco un desiderio di Mussolini di alleggerire temporaneamente il PNF di individui disturbanti per il suo sviluppo nell'isola.Per quanto riguarda Cucco Leonardo Sciascia scrive"figura del fascismo isolano, di linea radical-borghese e progressista, per come Christopher Duggan e Denis Mack Smith lo definiscono, che da questo libro ottiene, credo giustamente, quella rivalutazione che vanamente sperò di ottenere dal fascismo, che soltanto durante la repubblica di Salò lo riprese e promosse nei suoi ranghi."[6]

Non fu risparmiato neppure l'ex ministro della Guerra, il potente generale Antonino Di Giorgio. Nel caso specifico di Cucco lo storico Paolo Pezzino nel suo libro Le mafie ipotizza che la messa fuori gioco di Cucco fu un particolare caso politico in quanto fascista avverso agli agrari. Mori, grazie anche ad una propaganda fascista sulle sue azione, molto ben orchestrata mediaticamente, divenne notissimo sino a quando fu rimosso dal suo incarico e richiamato. Ormai, la dura lotta alla mafia il regime fascista la aveva dimostrata, quindi Mori fu insignito del titolo di senatore del Regno, richiamato dalla Sicilia e messo fuori gioco, mentre i pezzi grossi mafiosi, collusi col fascismo, subivano lievi pene ed amnistie, in modo da poter tornar ad operare sotto la copertura dei gerarchi fascisti siciliani o persino ad divenire gerarchi loro stessi. La mafia era entrata, come accade anche adesso, in rapporto simbiotico con i poteri dello stato. Arrigo Petacco nel suo libro Il prefetto di Ferro [7]spiega bene come avvenne la fascistizzazione della mafia spiegando proprio come per poter arrivare a ciò, ovvero obbligare la mafia a mediare col fascismo, la figura di Mori fosse stata essenziale per lo scopo che astutamente Mussolini si era prefisso.

Considerazioni di testimoni e di addetti ai lavori

Dopo il congedo di Mori, vi fu ben presto una recrudescenza del fenomeno mafioso in Sicilia. Come scrisse nel 1931 un avvocato siciliano in una lettera indirizzata a Mori:[8]

Ora in Sicilia si ammazza e si ruba allegramente come prima. Quasi tutti i capi mafia sono tornati a casa per condono dal confino e dalle galere... Alfredo Cucco invece rientra nel partito solo nel 1937, e nel 1938 è tra i firmatari del Manifesto della razza, nell'aprile del 1943 Mussolini lo nomina vice segretario nazionale del PNF, quindi aderisce alla Repubblica Sociale Italiana dove diviene Sottosegretario alla Cultura popolare. Alla fine della guerra, nonostante tali precedenti, sarà prosciolto "stranamente" da ogni accusa e diverrà un notabile del neonato MSI. "Il Fascismo non unì alla lotta sul piano militare, alcun intervento di tipo sociale, facendo anzi dei passi indietro, soprattutto nelle campagne, riaffidando quasi interamente il potere ai latifondisti. Ha scritto uno dei massimi storici dell'Italia contemporanea, Denis Mack Smith: "Mori era amico dei latifondisti. [...] Dal 1927 gli agrari erano di nuovo al potere, e la Sicilia ne pagò a caro prezzo la riabilitazione; e gli anni Trenta furono caratterizzati da abbandono e declino" ("Introduzione" a Duggan, p. IX)(Christopher Duggan, La mafia durante il Fascismo nota fuori citazione). Un dato può dare l'idea di cosa significò questo nuovo ordine sociale in Sicilia: dal 1928 al 1935 le paghe agricole, secondo le statistiche ufficiali, diminuirono del 28% ;Commissione parlamentare Antimafia, p. 66;." [9] definire poi quale fu l'operato nella realtà dei fatti del prefetto Cesare Mori non è cosa semplice se si sfronda dai residui della propaganda fascista che ancora adesso sono ricordati a livello popolare. Si può dire, in linea di massima, che fu congruente allo sviluppo del regime che, se da una parte era impossibilitato a prendere il potere della mafia, dall'altra doveva vincolare la mafia ad un certo "ordine di regime" in modo che la facciata fosse salva e Mori, forse anche in gran parte incolpevole, fu lo strumento del Mussolini per arrivare a tale obiettivo.[10] [11]

"In effetti il fascismo, dopo la grande retata di "pesci piccoli" realizzata da Cesare Mori, viene a patti con l'"alta mafia", nel 1929 richiama a Roma il "Prefetto di Ferro" (verrà nominato senatore) e, in un certo senso, "restituisce" la Sicilia ai capi mafiosi ormai fascistizzati. Infatti, i condoni e le amnistie, subito concesse dal governo dopo il richiamo di Mori, hanno favorito molti pezzi da novanta che, appena tornati in libertà, si sono subito schierati fra i sostenitori del regime anche se, dopo il 1943, gabelleranno i pochi anni di carcere o di confino come prova del loro antifascismo."da il sito dedicato a Benito Mussolini[12] vi e' l'ammissione dell'inefficienza dell'azione di Mori da parte proprio attuali degli ammiratori del dittatore fascista, nonché l'ammissione della collusione mafia-fascismo.[13] [14][15] [16]

"Fece infatti piazza pulita di briganti, ma quando si trattò di mettere in galera la gente di rispetto ammanigliata con Roma fu licenziato in tronco. Finì senatore, con velleità letterarie inappagate e un libro di ricordi, Con la mafia ai ferri corti, che dette qualche grana a Mondadori. Mussolini gli scrisse garantendogli che i suoi quattro anni di Sicilia sarebbero rimasti «scolpiti nella storia della rigenerazione morale, politica e sociale dell'isola nobilissima», ma a quanto risulta la mafia riprese indisturbata il suo cammino. Lo scalpello era moscio." Giovanni Grazzini in un suo articolo di commento al film Il prefetto di ferro concorda con simile visione degli effetti dell'intervento di Mori. [17]

"La sua azione energica permise di distruggere quasi interamente la struttura di base della malavita organizzata siciliana e offrì a Mussolini un argomento per la sua propaganda. Ma quando Mori iniziò a diventare troppo famoso e soprattutto a indagare troppo in alto, venne messo da parte, e le tracce del suo lavoro accuratamente eliminate."[18] Anche secondo Arrigo Petacco nel suo libro Il Prefetto di Ferro il fascismo si occupa dei "pesci piccoli" riportando alla Sicilia i capi mafiosi fascistizzati che avevano subito nulle o lievi pene tramite tramite varie forme giuridiche utilizzate ad hoc. [19] Dagli studi di Giovanni Raffaele, studioso della storia di Sicilia, che ha scritto L'ambigua tessitura. Mafia e fascismo nella Sicilia degli anni Venti si riassume [20] "La conclusione è che nella zona presa di mira da Mori non vi fosse mafia in senso stretto, proprio perché i meccanismi dell'accumulazione, del consenso e del controllo politico seguivano altri canali consolidati, che della mafia - intesa come organizzazione specifica e gerarchicamente strutturata - potevano fare a meno. Dalla ricerca emergono però anche la complicità del fascismo col sistema di mafia e, per certe zone, la forza intatta di un'élite che, per il controllo sociale, di mafia non aveva bisogno."

la ricostruzione effettuata da Alessandro Politi sul sito dell'arma dei carabinieri

Il giudizio globale presente sul sito dell'arma dei Carabinieri,a cura di Alessandro Politi analista strategico[21] esperto di OSINT, per l'operato di Cesare Mori in Sicila concorda con i giudizi precedenti e sottolinea l'effetto di fascistizzazione di grossi capi mafiosi " .....La stessa politica della repressione poliziesca, per quanto efficiente, non aveva spostato di una virgola le condizioni sociali in cui stagnava la Sicilia ed alla fine il regime si accontentò del successo di facciata."[22] concordando nella sostanza con l'analisi dello storico Christopher Duggan.

Seconda Guerra Mondiale

Nuvola apps xmag.png Per approfondire, vedi caso Tresca .

Uno dei fatti più rilevanti nella collusione tra fascismo e capi mafiosi fu il "caso Tresca", in cui erano implicati Vito Genovese, Joseph Bonanno, Frank Garofalo e Carmine Galante, secondo le denuncie al tempo di Ezio Taddei ed attualmente secondo lo storico Mauro Canali[23] che ha avuto accesso a documenti desecretati da polizia e servizi segreti USA

Dallo sbarco alleato in Sicilia all'immediato dopoguerra

Nuvola apps xmag.png Per approfondire, vedi Antonio Canepa e Portella della Ginestra.

Caratteristica fondamentale del rapporto che la mafia ebbe col fascismo fu quella di cambiare posizione verso quest'ultimo per seguire i propri interessi. Così Vito Genovese e Albert Anastasia diventarono stretti collaboratori di Charles Poletti dopo lo sbarco statunitense: è ben conosciuta una foto [24] in cui Genovese è ritratto, con la divisa dell'esercito americano in compagnia di Salvatore Giuliano[25].

Giuliano godeva della protezione di Genovese quando questo passò con i gli statunitensi ma, dai documenti desecretati dall'OSS, era appoggiato sia da fascisti che dagli agenti segreti americani. È ancora da rimarcare che i capi mafiosi riciclati dagli americani avevano il compito, quasi di polizia, di eliminare i gruppi criminosi che lavoravano in modo autonomo e lo fecero con zelo. Di questa situazione di cambio di campo, o quantomeno di riciclaggio dei mafiosi amici o meno del fascismo, uno dei principali registi fu Lucky Luciano.

"Lucky Luciano, il noto boss rinchiuso nelle carceri americane, passò i nomi di 850 persone su cui “contare" e gli ufficiali dell'OSS, che dirigeranno sul campo "l'operazione sbarco", saranno Max Corvo, Victor Anfuso e Vincent Scamporino[26] Il loro gruppo sarà conosciuto come il "cerchio della mafia". Tra gli americani, in divisa dell'esercito, c'erano Albert Anastasia (ucciso nel dopoguerra in un negozio di barbiere) e don Vito Genovese, (il don Vito Corleone del film "Il padrino"), stretti collaboratori di Charles_Poletti. Scrivono Roberto Faenza e Marco Fini “Gli americani in Italia”: "È così che quando nel 1943 gli americani sbarcheranno in Sicilia, la prima azione dell'OSS sarà [...] restituire la libertà ai mafiosi imprigionati dal regime fascista".[27]"

Sempre dalla stessa fonte viene precisato gli scopi delle inchieste USA sulla criminalità organizzata italiana:

"Quando, nel 1951, la Commissione americana si occupò degli italiani è evidente che ne approfittò per liberarsi di alcune componenti anarchiche. Perché allora la componente anarchica era molto presente tra gli italiani negli Stati Uniti: penso a gente come Nicola Sacco, Bartolomeo Vanzetti e Carlo Tresca [28]"

In un'intervista al regista Pasquale Scimeca, questi afferma: "I mafiosi che erano sfuggiti alla repressione del Prefetto Mori, emigrando in America, avevano fatto fortuna, esercitavano una rispettabile influenza e disponevano di non poche entrature in vari ambienti come quelli militari, dove prestavano il loro ausilio come interpreti, o strani accompagnatori. Alcuni di loro furono addirittura arruolati direttamente nei servizi segreti della Marina Americana. Illustrissimi, del calibro di Joe Profacy, Vincent Mangano, Nick Gentile, Vito Genovese e l'immancabile Lucky Luciano, si resero disponibili ad offrire la loro preziosa consulenza sfruttando gli antichi legami mai interrotti con la terra natia. Per portarsi avanti, nel contempo, L’OSS (Office Strategic Service) mandò Max Corvo e Vincent Scamporino, il capo del settore italiano del secret intelligence, a Favignana dove erano rinchiusi i mafiosi “perseguitati” dal Prefetto di ferro e li fece liberare [29] "

Cosi' scrive Giorgio Bongiovanni direttore di Antimafia 2000: "Dopo lo sbarco il loro primo incarico fu quello di mettere ordine, chi poteva farlo meglio di coloro che avevano sempre avuto un controllo serrato del territorio? In pochissimo tempo i padrini ripresero il comando e eliminarono con accanita sistematicità le decine di bande che infestavano l’isola, tutte tranne una: quella di Salvatore Giuliano, ricondotta sotto l’egida della famiglia di Montelepre, che controllava da giusta distanza la mitica azione rivoluzionaria del bandito. In men che non si dica venne a crearsi in Sicilia una catena di persone e personaggi, in numero sempre crescente, disposti a mettersi dalla parte dei vincitori. I capimafia di fatto si sentirono nobilitati e vennero elevati al grado di “liberatori”. Ma la vera legittimazione venne con l’assegnazione dei comuni ai vecchi boss che si ritrovarono di nuovo padroni dei loro feudi e con la fascia tricolore posta di traverso sul petto: Don Calò (Calogero Vizzini) divenne sindaco di Villalba, Salvatore Malta di Vallelunga, Genco Russo (Giuseppe Genco Russo) sovraintendente agli Affari Civili di Mussomeli e altri rivestirono incarichi ufficiali in diversi ambiti [30] "

Tutto ciò era inserito in un momento di scontri sociali e rivendicazioni da parte degli strati meno abbienti della popolazione siciliana, che portarono ad un gran numero di caduti in piazza. I morti fra i manifestanti in questo periodo furono circa 80, a fronte di due appartenenti agli organi di polizia dello stato, con un rapporto di circa 40 ad 1; i feriti, più o meno gravi, fra i manifestanti furono centinaia. "Morti nelle proteste di piazza dall'Armistizio alla fine della guerra, tratto da una ricerca della fondazione Luigi Cipriani|

  • 24 settembre 1943: A Palma di Montechiaro (Agrigento), per stroncare la manifestazione della popolazione contro il richiamo alle armi, reparti militari sparano sulla folla uccidendo un uomo e una donna.
  • 29 marzo 1944: Partinico (Palermo), manifestazione contro il carovita e accaparratori di grano, sottufficiale dei carabinieri uccide Lorenzo Pupillo, minorenne, muore durante gli scontri il maresciallo dei carabinieri Benedetto Scaglione.
  • 27 maggio 1944: Regalbuto (Enna), raduno separatista con Andrea Finocchiaro Aprile, Luigi La Rosa, Santi Rindone, Bruno di Belmonte, Guglielmo Carcaci, Concetto Gallo, Concetto Battiato, Isidoro Piazza, fra gli altri si verificano scontri e cade soto il fuoco dei carabinieri Santi Milisenna del Pci, segretario della federazione di Regalbuto. Altri due manifestanti vengono gravemente feriti.
  • 28 maggio 1944: Licata (Agrigento), a causa del ritorno in carica all'ufficio di collocamento del già deposto gerarca fascista vi è una protesta popolare, durante la quale polizia e carabinieri aprono il fuoco, col risultato di tre caduti fra i manifestanti e circa 18 feriti. Alla protesta seguono 120 arresti.
  • 19 ottobre 1944: Palermo, manifestazione pacifica popolare contro la mancanza di pane, ne consegue che un plotone di fanteria del 139° Rgt della divisione Sabauda spara sulla folla, col risultato di 23 morti e 158 feriti: ovvero vi è una connotazione di strage, secondo la definizione accettata dai siti ANPI e dagli esperti del settore. Fra i caduti della popolazione: Giuseppe Balistreri, Vincenzo Cacciatore, Domenico Cordone, Rosario Corsaro, Michele Damiano, Natale D'Atria, Giuseppe Ferrante, Vincenzo Galatà, Carmelo Gandolfo, Francesco Giannotta, Salvatore Grifati, Eugenio Lanzarone, Gioacchino La Spisa, Rosario Lo Verde, Giuseppe Maligno, Erasmo Midolo, Andrea Olivieri, Salvatore Orlando, Cristina Parrinello, Anna Pecoraro, Vincenzo Puccio, Giacomo Venturelli, Aldo Volpes.
  • 20 ottobre 1944: Sui giornali però il comunicato imposto dal governo in carica recita "In occasione di una dimostrazione diretta ad ottenere miglioramenti di carattere economico, compiuta ieri a Palermo da impiegati delle banche e dell’esattoria, gruppi estranei, sobillati da elementi non ancora chiaramente individuati, prendevano l’iniziativa per inscenare una manifestazioni sediziosa. Davanti alla sede dell’Alto Commissariato venivano esplosi colpi d’arma da fuoco contro reparti dell’Esercito, che erano così costretti a reagire. Si deplorano 16 morti e 104 feriti. L’ordine pubblico è stato ristabilito. Il Comitato provinciale di liberazione nazionale si è subito riunito ed ha dichiarato di mettersi a disposizione dell’Autorità governativa locale per la ricerca dei responsabili della manifestazione sediziosa".
  • ottobre 1944: Licata (Agrigento), manifestazione di contadini, 2 morti e 19 feriti dovuti al fuoco dei carabinieri i carabinieri aprono il fuoco uccidendone due, ne coneguono 80 denunce di manifestanti.
  • 14-15 dicembre 1944: Catania, manifestazione contro il richiamo alle armi con conseguenti tumulti e devastazione di Municipio, sede del Banco di Sicilia con relativi uffici dell’esattoria comunale, nel proseguo i manifestanti si spingono fino alla sede del Distretto militare, i militari aprono il fuoco e cade Antonio Spampinato. Ne consegue l'arresto di 53 manifestanti, fra questi vi sono militanti conosciuti del movimento separatista siciliano quali Egidio Di Mauro, Salvatore Padova da Ispica, Giuseppe La Spina mentre Concetto Gallo, i fratelli Gullotta, Michele Guzzardi, Giuseppe Galli, Isidoro Avola, Guglielmo Paternò Castello vengono denunciati a piede libero.
  • 17 dicembre 1944: Pedara, al mattino vengono lanciate 5 bombe a mano in 2 distinte piazze del paese, senza danni; sempre nel corso della protesta per il richiamo alle armi, nel medesimo pomeriggio a Vizzini i carabinieri sparano sui dimostranti che stanno incendiando la sede del municipio, col risultato di 2 morti fra i dimostranti intenti ad incendiare la sede del Municipio, uccidendone 2.
  • 4 gennaio 1945: Ragusa, l’esercito apre il fuoco, su dimostrazione che cerca di bloccare il trasporto dei giovani arruolati verso il fronte, sulla folla che tenta di bloccare un camion, che trasportava giovani verso il fronte; risulta gravemente ferito un giovane e ucciso il sacrestano della chiesa di san Giovanni; la rivolta dei cosiddetti non si parte, invece di sedarsi si alimenta.
  • 5-6 gennaio 1945: Ragusa, i non si parte prendono possesso di alcuni quartieri ed costruiscono barricate, dando così inizio ad una insurrezione armata; fra i dirigenti vi sono militanti socialisti ma ancor più comunisti. Questi ultimi non sono a conoscenza che l'organismo dirigente del loro stesso partito ha definito la loro insurrezione rigurgito fascista. L'esercito interviene in modo assai pesante col risultato di 19 morti e 63 feriti fra i rivoltosi a Ragusa e provincia. Alcune fonti storiche ritengono tali dati una sottostima di un accadimento definibile anche in questo caso come strage. (vedere fonti sentenze e regolamenti magistratura militare per esattezza)
  • 11 gennaio 1945: Naro, la rivolta dei non si parte si inasprisce. Gli organi di repressione dello stato fanno fuoco col risultato di 5 morti. Il bilancio della repressione sarà di 5 morti e 12 feriti; nel prosieguo vi sono 53 arresti.
  • 12 gennaio 1945: Licata, durante i tumulti contro la leva obbligatoria, viene assassinato un manifestante.
  • 11 marzo 1945: Palermo, assalto da parte della folla all'ufficio delle imposte e all'ispettorato dei dazi e consumi; nel prosieguo i rivoltosi si dirigono verso la prefettura; muoiono negli scontri un commissario di p.s. ed un giovane operaio.
  • 11 settembre 1945: Piazza Armerina (Enna), scontri fra dimostranti ed appartenenti agli organi di repressione dello stato; un carabiniere fa fuoco su Giovanni Pivetti, militante socialista, che muore.
  • 2 ottobre 1945: Piazza Armerina, lavoratori protestano contro il carovita; ne conseguono cariche dei poliziotti, che costano una vittima ai manifestanti, oltre alcuni feriti. Le manifestazioni di protesta comunque proseguono per 2 giorni.

"

Bibliografia

  • Ezio Taddei ,Il "caso" Tresca 2006 ISBN:&nbsp888820798-8
  • Italia Gualtieri Carlo Tresca: vita e morte di un anarchico italiano in America 1999 - 71 pagine

"Regione Abruzzo, Centro servizi culturali di Sulmona, Circolo cultura & societa. Giornata della memoria, 20 maggio 1994"

Collegamenti esterni

note

  1. Tutta la Verità sul caso Tresca di Mauro Canali
  2. wikipedia inglese Carmine Galante
  3. vedere Tutta la verità sul caso Tresca di Mauro Canali, l'autore e fra quelli accreditati dal SISDE per i suoi lavori che spesso ne riportano stralci sul sito]
  4. "L'assedio di Gangi" ebbe inizio la notte del 1 gennaio 1926 [...] Nevicava abbondantemente. I banditi erano stati spinti dal freddo a tornare alle loro famiglie, e la polizia sapeva più o meno esattamente dove si trovavano [...] la cittadina era costruita sul fianco di una collina ripida e molte case avevano due ingressi, uno al pianterreno e l'altro al primo piano. Vi erano anche nascondigli abilmente costruiti dietro muri [...] In queste condizioni, l'operazione ebbe un andamento più lento del previsto. Il primo bandito ad arrendersi fu Gaetano Ferrarello, un uomo alto, anziano, con una lunga barba, molto orgoglio e dotato di una certa nobiltà d'animo [...] scopo dell'azione non era semplicemente la resa dei banditi, ma anche la loro umiliazione: "Volevo dare alle popolazioni la tangibile prova della viltà della malvivenza", scrisse Mori nelle sue memorie. Non si doveva sparare: i banditi dovevano essere privati dell'onore di una resistenza armata [...] (prosegue Mori) ma io avevo un'idea diversa. Dissi ai miei uomini di entrare nelle case dei criminali, dormire nei loro letti, bere il loro vino, mangiare le loro galline, uccidere il loro bestiame e venderne la carne ai contadini della zona a prezzo ridotto". Fu dato ordine di prendere ostaggi [...] sembra che gli obiettivi principali siano stati donne e bambini. Che le donne siano state maltrattate, come affermarono in seguito critici di Mori, non è certo. Sarebbe stato indubbiamente conforme allo spirito, se non alla lettera dell'impresa, perché scopo della cattura di ostaggi era far leva sul senso dell'onore dell'uomo nei confronti della moglie e della famiglia...".da Il "prefetto di ferro" estratto da scritto di Duggan
  5. da Il "prefetto di ferro"
  6. scritto di Leonardo Sciascia
  7. "E, infatti, un western siciliano più che un'indagine storica sulla mafia, vicino a Sergio Leone più che a Francesco Rosi"da recensione dell'omonimo film tratto dal libro su Repubblica
  8. Template:cita libro
  9. da Il "prefetto di ferro"
  10. approfondire su Mafia e Fascismo L'operazione incompiuta del prefetto Mori a firma di Davide Caracciolo
  11. Il "prefetto di ferro"
  12. da il ilduce.net
  13. da il ilduce.netovvero vi é l'ammissione dell'inefficienza dell'azione di Mori proprio dagli attuali ammiratori del cosidetto duce
  14. critica Il prefetto di ferro di Giovanni Grazzini
  15. approfondire su Mafia e Fascismo - L'operazione incompiuta del prefetto Mori a firma di Davide Caracciolo
  16. Il "prefetto di ferro"
  17. da articolo di Giovanni Grazzini Il Corriere della Sera, 2 ottobre 1977
  18. da recensione libro
  19. da ilduce.net
  20. scheda Libro
  21. Analisi strategica L’analista strategico l’analista operativo
  22. Arma " [...] Le statistiche testimoniavano il crollo di reati come abigeati, rapine, estorsioni, omicidi, danneggiamenti ed incendi dolosi, ma i pezzi grossi restavano ancora in giro. E attuavano un disegno classico della mafia. Abbandonavano lo scontro frontale per scegliere la strada della connivenza, cercando di instaurare rapporti con i vertici del fascismo. Mori, alla fine, sarà promosso per essere rimosso quando i danni avrebbero potuto essere irreparabili per i mafiosi. La stessa politica della repressione poliziesca, per quanto efficiente, non aveva spostato di una virgola le condizioni sociali in cui stagnava la Sicilia ed alla fine il regime si accontentò del successo di facciata."
  23. l'autore é fra quelli accreduitai dal SISDE per i suoi lavori che spesso ne riportano stralci sul sito], Mauro Canali
  24. Foto di Vito Genovese con Salvatore Giuliano
  25. e lo stato.htm Il bandito Giuliano e lo stato
  26. "Ma Scamporino è anche il legale dei sindacati controllati da Cosa Nostra. In Sicilia, prima dello sbarco, le missioni degli agenti di Scamporino si avvalgono di una fitta rete di protezione mafiosa, che oltre a dare riparo e assistenza, fornisce loro ogni genere d’informazione di valore militare"da Italia Sociale
  27. da corsa infinita dei bersaglieri
  28. trombealvento "Un certo Ezio Taddei, livornese" Bersagliere un po' anarchico intervista al regista Pasquale Scimeca
  29. da Una storia di stragi e misteri di Giorgio Bongiovanni
  30. da Una storia di stragi e misteri di Giorgio Bongiovanni direttore di [1]=Antimafia 2000
  31. l'autore e fra quelli accreditati dal SISDE per i suoi lavori che spesso ne riportano stralci sul sito]
  32. "Dalle centinaia di documenti rinvenuti nel 1997 dallo storico Aldo Sabino Giannuli presso l'archivio dell'Ufficio Affari Riservati di Federico Umberto D'Amato (noto anche come archivio del Servizio informazioni e sicurezza, Sis), apprendiamo che negli anni 1944 - 1947 la banda di Salvatore Giuliano è direttamente collegata ai gruppi eversivi neofascisti, monarchici e antibolscevichi, in particolare romani e meridionali (cfr. Aldo Sabino Giannuli, Salvatore Giuliano, un bandito fascista, rivista Libertaria, anno 5, n. 4, ottobre - dicembre 2003, pp. 48 - 58). Sul tema, citiamo di seguito alcuni documenti:ecc.ecc.ecc.ecc.ecc."Documenti statunitensi e italiani sulla banda Giuliano, la XMas e il neofascismo in Sicilia di Giuseppe Casarrubea

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